Rovesciando l'ordine di precisi codici linguistici Claudio Costa ha potuto ri-formulare continuamente nuovi modelli espressivi.

Così se Duchamp "estranea" l'oggetto Costa al contrario opera un "paesamento" che ne esalta la funzione e lo carica di significati inediti; col "Work in regress" ( termine teorizzato nel '77 come enunciato che stabilisce fondamentale la ricerca delle origini per rifondare antropologicamente l'immagine dell'uomo a partire dalla sua stessa preistoria) egli si contrappone al "Work in progress" di Joyce, e ancora, i suoi studi antropologici partono dalla terra mentre Beuys parla di miele trasportato verso l'alto;  inoltre, col suo andare a ritroso nel passato partendo dal presente, rovescia l'atteggiamento dei paleontologi che giungono al presente iniziando con la ricostruzione del passato. Anche la fase alchemica abbracciata dall'artista dal '78 fino all''86 ( quest'ultima data corrisponde alla sua partecipazione alla Biennale di Venezia)  apertamente annunciata, contrasta col vero alchimista che non può rivelare tale pratica.

Per questi ed altri motivi appare appropriato il titolo della mostra antologica "L'ordine rovesciato delle cose" ( enunciato di Costa)  presentata a Villa Croce a Genova - fino al 30 aprile - dalla curatrice Sandra Solimano e dedicata all'artista genovese Claudio Costa, nato a Tirana nel '42 e scomparso improvvisamente a Genova nel luglio del '95. La mostra è corredata di catalogo, delle edizioni Skira, Milano, con testi scritti da Becker, Cortenova, Del Guercio.

Pur nell'alta resa del periodo artistico contemplato dalla curatrice (dal '68 ai primi anni '90), questa antologica risulta insufficiente e incompleta poiché "non appare documentato  con valutazione adeguata" (com'è scritto in catalogo) l'ultimo arco di vita.

Un periodo, questo, fondamentale, e certamente il più vivace, per lo sviluppo artistico-formativo di Claudio; periodo in cui svolge la sua esperienza nell'ex manicomio di Ge-Quarto (dall''86 al '95 fondandonell''89 l'Istituto delle Materie e delle Forme Inconsapevoli e tre anni dopo il Museo omonimo con Antonio Slavich e la sottoscritta) arrivando a realizzare inconsuete opere di grandi dimensioni  accanto a straordinarie installazioni prodotte nei frequenti viaggi africani.

 La panoramica di Villa Croce prende avvio con le opere esposte per la prima volta alla galleria "La Bertesca" nel '69 (emblematico spazio che ha dato i natali all'Arte Povera due anni prima) per finire con i lavori costitutivi del "Concerto Barulé (a Rossiglione nell'entroterra ligure) tentando di fornire un primo riconoscimento dell'operato di questo artista, apprezzato in Italia e all'estero, sempre dissociato dalle logiche di mercato e che, con la vita, ne ha pagato le conseguenze.

Di carattere libero e indipendente - Costa aveva partecipato al maggio parigino del '68 da cui aveva assorbito quello spirito di contestazione che spesso lo ha caratterizzato - ha potuto esprimersi in grande autonomia svincolandosi da etichette e da correnti stilistiche, pur attingendo a modelli culturali come l"Arte Povera", il Concettuale e avvicinandosi per certi aspetti ad atteggiamenti Fluxus, propri di quegli anni, ma sempre con le dovute distanze, mai da epigono.

In virtù di ciò si è straordinariamente allargato con un amplissimo ventaglio di possibilità a differenti processi culturali appropriandosene: dall'antropologia alla paleontologia, dallo strutturalismo all'alchimia, dalle filosofie orientali alla cultura preistorica fino a quella industriale,

com'è possibile cogliere dalle opere esposte.

In particolare risulta suggestivo il lavoro "Antropologia riseppellita", realizzato con casse esposte a Documenta 6, a Kassel, in Germania, nel '77. In questi grandi contenitori, aperti sul pavimento, giacciono confusi oggetti contadini con quelli preistorici, cocci e foglie, interamente ricoperti di "mota alluvionale" come se il fango potesse accomunare idealmente in un unico tempo eterno cose del passato remotissimo, del passato prossimo e del presente; rimangono bene in vista solo reperti psdeudo-scentifici allineati secondo ritualità d'antropologo.

Infatti, nei primi anni '7O, Claudio ha fatto parte del noto gruppo d'"Antropologia" denominato anche "Mitologie Individuali" teorizzato da Gunter Metken, con i Beker, Boltanski, i Poirier, Simonds e Graves.

Rigore assoluto, radicalità nelle scelte, antiesteticità (quasi un pugno allo stomaco) sono le caratteristiche che segnano l'opera  di Claudio Costa, ma tutto appare  così incredibilmente armonizzato nei toni severi delle ocre, delle terre, del fango, da risultare fortemente "estetico", pittorico, armonioso.

Altro momento di alta poesia appare l'opera dedicata al "Museo attivo" di Monteghirfo (aperto al pubblico nel '75), nato per la salvaguardia della cultura materiale ligure, col quale Claudio affermava che "l'oggetto per essere riconosciuto e mostrato deve essere inamovibile dal suo spazio di appartenenza". A tale proposito egli disse: "Il tempo renderà più chiari questi lavori, se avrò ragione a proseguire su una strada che oggi pochi conoscono perché è stata in parte dimenticata, ma che forse sarà riaperta a molti".

 

                                                            Miriam Cristaldi