MIMMO PADOVANO  (GENOVA)

 

Il lavoro pittorico di Mimmo Padovano (studio Ghiglione, piazza S: Matteo 1, giugno, luglio), in alcuni casi risolto in forma installativa, si basa essenzialmente sugli elementi primari della terra e dell’acqua. Entro queste due nature (interscambiabili) prende corpo un luminoso e raffinato universo in cui spicca, in posizione centrale, l’emblematica  figura  del “frammento” o del “ coccio”.

Icone, queste, da concepire filosoficamente come parti di un intero verso cui tendere e più specificamente come possibili paradigmi di una prassi sociologica atta a raggiungere la totalità della persona  attraverso un complesso  “processo d’identificazione”.

Ma anche come espressione di una continua trasformazione che capovolge i tradizionali canoni, nel nome di un “rovesciamento dell’ordine prestabilito” secondo la nota visione artistica di Claudio Costa.

Ecco allora che ogni elemento si presenta e si disconosce per assumere connotazioni altre.

Così avviene  in primis per il coccio stesso: la sua apparenza pittorica scintillante ce lo mostra come elemento di nuova formazione (anziché frammento antico) e di natura acquea nella sua colorazione azzurra, mentre la superficie su cui poggia assume morfologie antichizzate.

D’altra parte tale superficie, anche se si mostra come immagine ocra della terra, è sommersa da una sottile pellicola d’acqua che ne diluisce i contorni e diffonde luci bluastre (martorizzate da fitte increspature di stucco) perdendo così connotazioni di solidità stanziale.

Allo stesso tempo c’e uno sdoppiamento della visione: la superficie verticale a parete (come appare dalla collocazione) può anche essere percepita orizzontalmente se colta da un punto di vista dall’alto.

E ancora, là dove si evidenzia il coccio, in alcuni casi reale, ma più sovente reso concreto attraverso effetto “tromp l’oeil”, nasce una finta ombra che concorre a far risaltare la virtualità della sua presenza corporea. Nell’immaterialità.

Giochi dunque tra reale e virtuale, tra presenza e assenza, tra liquidità e solidità, tra vero e falso  o ancora tra il dentro e il fuori in cui il passato circola nel presente  e viceversa, per presagire un futuro senza riferimenti dove “un’identità culturale è in continua e inconsapevole transizione”.

Ma in quest’ultima mostra, Mimmo Padovano presenta un nuovo elemento: la feritoia, che nasce da labili e inconsapevoli accenni del precedente lavoro.

Attraverso una presa di coscienza.

La feritoia, anch’essa frammento di visione, è quella soglia limite oltre la quale s’intravede (meglio s’immagina) la totalità dell’universo.

Ma anche qui le categorie si scambiano i ruoli: dal taglio nel vuoto arriva l’immateriale forza di uno sguardo che si trasforma in sostanza acquorea. E gocce d’acqua scendono dal buio della feritoia per scorrere in  scie segniche quali tracce di un remoto passato.

L’artista elabora in questo senso metafore che rappresentano il senso umano e la nostra nuova capacità trasformativa adattabile ai vertiginosi cambiamenti dell’attualità.

Una condizione esistenziale che l’antropologo Marc Augé definisce di “surmodernità” (espressione dell’eccesso), quale nuova sensibilità, basata sul cambiamento,  che caratterizza la contemporaneità.

 

                                                            Miriam Cristaldi