L’albero della vita

 

di

 

Alfonso Gaeta

 

 

La materia "viva" del legno ha sempre interessato e affascinato gli artisti.

Quale inconfondibile simbolo della vita dinamica e del femminile (albero come ventre della Grande Madre), il legno - con le sue venature, la sua morbidità tattile e il "calore" della sua anima - riesce a creare affetti di tenera carnalità.

Una sorta di carne vegetale che sprigiona delicate sensazioni epidermiche, suscitando in chi osserva emozioni ancestrali legate al contesto antropologico.

Dalla storia dei tempi ad oggi, infinite sono le produzioni artistiche che si sono avvalse di questa materia fibrosa: dai totem africani alle effigi etrusche, dagli scranni delle chiese alle statue votive , dalle sculture cinquecentesche alle sagome degli artisti contemporanei.

In primis il romano Mario Ceroli che con le sue notorie silhouette in legno ha creato un inconfondibile linguaggio "povero".

Anche il levantino Alfonso Gaeta, personalità schiva e difficilmente inquadrabile in codici linguistici - lontanamente accostabile ad esperienze di suggestione informale - punta tutto su questo materiale; in particolare insistendo sull’ essenzialità e naturalezza del risultato estetico.

Minore (anzi nullo) è l’intervento manuale, maggiore è l’effetto di rustica naturalezza. Evitando perciò qualunque azione dello scalpello ed affidandosi esclusivamente al taglio della sega elettrica con cui ridurre il legno in sottili e lunghi listelli o in grandi forme sferiche.

Per poi incollare i frammenti lignei l’uno sull’altro e dare avvio a sculture personalissime.

Ovviamente seguendo i ritmi delle nervature, delle strozzature dei nodi, rispettando l’ ordine delle cromie (dalle più chiare alle più scure) – attraverso un complesso gioco di simmetrie e di combinazioni a carattere speculare.

L’artista riesce così a sagomare strutture fortemente immaginative, ricche di tracce e rimandi, capaci di suggerire significati che vanno oltre il semplice dato oggettivo.

Questo, proprio in virtù dei segni naturali come le striature, la concentricità delle forme anellari, i tagli, le falle, o di quelli artificiali: ad esempio gli effetti caleidoscopici dovuti a ricercate specularità, rese attraverso difficili e misuratissimi accostamenti delle sezioni lignee.

Allora una voluminosa sfera d’ulivo (o castagno), trafitta da fori naturali o da profonde cavità connaturate al legno, può apparire come un possibile mappamondo, una specie di libera geografia attraversata dal flusso delle nervature lignee.

Nervature simili a filamenti ondosi che assumono il sembiante di probabili reti fluviali, fantastici "paralleli" o articolate dune sabbiose.

Ma potrebbe anche suggerire la pericolosa idea di un ordigno atomico pronto a esplodere (Giò Pomodoro insegna). Questo in adesione alla crudezza del panorama contemporaneo.

Allo stesso tempo prendono corpo forme totemiche (in eucalipto, ulivo o paduk africano) che s’innalzano sinuose seguendo ritmi spiraliformi, in successione dinamica, simulando l’andamento rotatorio a lisca di pesce.

Oppure si slanciano in verticale (od orizzontale) a guisa di steli frontali, entro cui zone centrali impallidiscono visibilmente: naturali effetti di chiaroscuro dovuti al succedersi di differenti zone anellari (ossatura che denuncia il tempo).

E ancora, una grossa radice, tagliata e ricomposta, può proporsi come corpo vivente in esposizione su lastra di cristallo. Alla percezione visiva l’oggetto si carica di significati inesauribili…

Così come per l’Albero della vita: una fantasiosa e inusuale struttura ottenuta con sezioni d’albero d’ulivo. Frammenti di legno ricurvo e nodoso vengono accostati magistralmente in modo da ottenere effetti speculari e allo stesso tempo di profilare il caratteristico perimetro arcuato a chioma d’albero.

Le sfilacciature della materia stessa contribuiscono a indicare quegli effetti nocchiosi tipici del tronco.

E allora una linfa energetica sembra scorrere impetuosa nelle vene del legno mentre un filo di brillante smalto pare assumere l’effetto di rugiada splendente.

Natura e cultura si tendono la mano.

Dice Claudio Costa: "Il mio lavoro è difficile, antiestetico, a volte brutale. E’ impensabile che possa entrare nelle raffinate strategie di mercato… ma io continuo, continuo a muovermi nella ricerca, quando scopro qualche verità non mi fermo, cerco ancora…".

Anche Alfonso Gaeta è una personalità in cammino.

 

 

Miriam Cristaldi

 

Genova 22 marzo 2002