Villa Croce si presenta alla città con la mostra "1950-2000 Arte genovese e ligure dalle collezioni del Museo d'arte contemporanea di Villa Croce" composta da oltre 3000 opere di cui 100 esposte per 38 artisti selezionati - disposte in tutti i piani della palazzina - e corredata di catalogo (edito Silvana, Milano) a cura di Guido Giubbini e Sandra Solimano, quali direttore e vice del museo stesso.

Entrambi dichiarano che il materiale conservato "vuole essere una documentazione parziale delle collezioni per la parte relativa agli artisti e una storia dell'arte genovese e ligure della seconda metà del novecento" ricordando che tali opere sono state raccolte in 15 anni di lavoro, cioè da quando si è costituito il Museo nell'85 - da allora fino ad oggi sempre diretto dalle stesse persone - grazie all'attuazione di alcuni acquisti ma soprattutto grazie alle donazioni degli artisti o dei loro eredi.

Sistema che può andare bene, anzi la città ringrazia la generosità di tali artisti, ma che appare insufficiente laddove sono presenti (talvolta in sovrabbondanza) opere donate da artisti minori mentre mancano assolutamente alcuni nomi genovesi importanti. Alcuni esempi: Emilio Scanavino (in mostra con un quadro imprestato da un collezionista privato ed appeso nello scalone), Giannetto Fieschi (qui presente solo con un piccolo dipinto), Emilio Prini, Ugo Carrega e ancora tanti altri artisti come luigi Tola e Rodolfo Vitone, ed ancora i bravi esponenti del levante Luiso Sturla, Italo Primi, Vittorio Ugolini ecc., come pure sono assenti, tra i giovani, Formento, Sossella, Viel, Vitone junior, Arena, Ghiglione (apprezzati in campo nazionale e alcuni internazionale).Assente inoltre la collezione Cernuschi-Ghiringhelli appartenente al Museo.

Lacune ammesse dagli stessi curatori-direttori ma che impediscono comunque  una serena e completa lettura di una "storia dell'arte ligure" anche se esiste la buona volontà e l'impegno per futuri acquisti.

Certo, manca la strategia degli sponsor. Nei musei americani, prima di approvare un progetto si chiede lo sponsor, e la bravura di un direttore dipende molto dalla sua capacità manageriale di trovarlo.

Poiché le risorse economiche delle aziende pubbliche risultano spesso e volentieri esigue sarebbe auspicabile che anche noi, a Genova, ci muovessimo in tal senso, per essere liberi nella scelte artistiche e nelle acquisizioni di opere.

Anche perché sembra giusto che sia il museo ad aiutare l'artista e non viceversa.

L'esposizione segue l'ordine classico cronologico e si divide in tre sezioni: anni '50-'60 rappresentati dalle ultime avanguardie con l'astrazione geometrica del MAC,  attraverso pezzi esemplari di Mesciulam, l'astrattismo informale di Fasce, Cherchi, Sirotti, Chianese e l'astrazione nucleare di Allosia.

Gli anni '60-'70 iniziano con le neo-avanguardie di M. Oberto, per la sua ricerca rivolta alla "poesia visiva",  dell'"arte programmatica" di Tempo 3 e dei significativi "cromemi" e "Guard rail" di Borella. La seconda decade vede, tra gli altri, le ricerche concettuali e antropologiche di Costa, le tangenze poveristiche di Dellepiane, la bravura tecnica dell'iperrealismo di Caminati. E ancora, tra gli esponenti degli anni '80, Porcelli, Carioti, Pretolani e fra i più giovani (anni '90) Galante e Merani  e tanti altri artisti, ugualmente bravi, con cui mi scuso poiché non riesco a citarli per brevità di spazio.

Una mostra da vedere, anche se resta impossibile per i portatori di handicap  a causa dei complessi e affastellati spazi del museo.

 

                                                            Miriam Cristaldi