Morto Fluxus, viva Fluxus!

Quarant’anni dopo la sua nascita (movimento internazionale fondato nel 1962 da George Maciunas, formatosi con artisti avanguardistici vicini a John Cage, ufficialmente nato col festival di musica moderna a Wiesbaden nel ’62 e da alcuni considerato finito con la morte del suo fondatore, nel ’78) , Genova festeggia il suo compleanno con le accesissime candeline della “costellazione” Fluxus.

Un complesso di “Stelle” (artisti-pilastro del movimento) presenti alla mostra “Fluxus Constellation” che a Genova, nel museo d’arte contemporanea di Villa Croce, è stata realizzata con il fruttuoso incontro tra pubblico e privato. Una stretta collaborazione (nuova per la città) tra museo, gallerie d’arte e collezionisti per tentare un ulteriore passo verso la storicizzazione del movimento e al contempo per mostrare l’inossidabile “passione” del gruppo attraverso una serie di performance che dal museo si allargano agli spazi delle gallerie cittadine.
Genova ha da sempre avuto cultori del fenomeno artistico: da Francesco Masnata, che negli anni ’60 ha accolto alcuni artisti nella sua galleria “La Bertesca”, alla galleria Unimedia di Caterina Gualco, gallerista presentata al francese Ben Vautier da Claudio Costa, artista che ha avuto non poche tangenze col gruppo Fluxus, e ancora Rosa Leonardi, con alcune mostre di Giuseppe Chiari e altri.

La mostra, curata da Sandra Solimano (vicedirettrice del Museo di Villa Croce), si compone di un comitato scientifico formato dal collezionista e fotografo d’arte Francesco Conz (Verona), Gino Di Maggio (Fondazione Mudima di Milano), Guido Giubbini (direttore del museo genovese), Caterina Gualco, Henry Martin, Enrico Pedrini (collezionista in particolare di Giuseppe Chiari) e Sandro Ricaldone.

Vistosa assenza è quella di Rosanna Chiessi (di Reggio Emilia), attorno alla quale si sono raccolti in quegli anni (e tuttora) molti artisti Fluxus.

Un’importante revisione storica è stata avviata nel ’90 da Achille Bonito Oliva con “Ubi Fluxus ibi motus, 1990 1962” alle Zitelle, nell’isola della Giudecca a Venezia, nell’ambito di quella Biennale, col contributo di Gino di Maggio.

Sulla diatriba se Fluxus sia morto o vivo non c’è molto da dire. E’ certo che questo “flusso energetico” – simile allo scorrere di una foglia sul pelo dell’acqua  fiumana - diffusosi in America del nord, in Giappone e in Europa, sta ora qualificandosi nella sua corposità storica e se gli intenti di allora erano quelli di essere “contro” l’arte, oggi ne rivendica con diritto la paternità.

Anche se numerose sono le ascendenze  Fluxus - dal Surrealismo allo spirito Dada, dal ready made duchampiano al Lettrismo o alla Poesia Visiva – e le tangenze - con l’ Internazionale Situazionista o col Nouveau Realisme (nel comune intento di abbattere le vacuità della borghesia e l’aspetto commerciale dell’arte) questo dissacrante  movimento si occupa di tutto ciò che è arte tradizionale per combatterla.

In questo senso si  dichiara contro gli “ismi”, ma si delinea con caratteristiche atipiche nel senso che non ha alcun proclama teorico o alcun “manifesto” da sbandierare.

I suoi artisti tendono a non dare definizioni e a mettere in luce più quello che non è, che ad affermare quello che è.

L’attività di Fluxus come “sperimentazione eccezionale” riguarda  espressioni d’avanguardia. le più disparate: happening, film sperimentali, musica contemporanea concreta, elettronica, concerti, eventi, azioni, scritte, massime, poesia, sperimentazioni teatrali, danza e forme di antimusica, ma ”…la storia di Fluxus non ha finito di essere scritta, come Dada manterrà un’aura mitica perché manca di tracce tangibili, pur restando un crogiuolo di proposte.”,  scrive nell’80 Jean Marc Poinsot  nel catalogo di “Fluxus”, al museo Saint-Georges di Liegi.

Tutto rivolto all’attenzione del banale quotidiano, elevato ad arte, non caricato di significati simbolici o sacrali, ma conservato nella sua accezione di realtà, secondo l’equazione arte=vita, Fluxus entra nella vita così come la vita entra nell’arte attraverso una continua ed incessante, interscambiabile osmosi.

Ogni piccolo gesto quotidiano assume valenze artistiche come ad esempio radere i capelli, bruciare spartiti musicali, tagliare il nastro alle inaugurazioni, versare l’acqua da una bottiglia all’altra, soffiare sui semi volatili di fiori palustri, battere le mani, esplodere in forti risate, dare delle manate sul muro, spaccare un violino, fracassare un pianoforte, fare bolle di sapone, far cadere una torre di dadi… Tutte piccole azioni che hanno dato vita alle performance realizzate a Villa Croce dagli artisti presenti Ben Vautier, Ben Patterson, Emmett Williams,  Philip Corner, Geoffrey Hendricks, Alison Knowles, Larry Miller, Eric Andersen.

Significative le opere presenti in mostra (in molti casi preparate per l’evento): dalle installazioni “Tre media” al noto “Tv budda” davanti al video, di Nam Jun Paik, considerato fondatore della videoarte (qui mancano le sue grandi installazioni video), alla “camera” orror-vacui di Ben Vautier, colma fino all’inverosimile di oggetti banali e scritte su parete o su piccole “lavagne”; dai scintillanti “Guerrieri della notte” di Daniel  Spoerri al “Flying double-bass”, un violoncello con ali metalliche sospesa in volo ed esposta nella tromba dello scalone, di Ben Patterson; dal “Leone d’oro” di Alison Knowles, ai cieli di Geoffrey Hendricks; e ancora, dai lavori con le cicche di sigaretta di Al Hansen al “Chair Event” di George Brecht; dagli strumenti musicali provvisti di motori che azionano suoni extra funzionali, alla camera buia di Ben Patterson : uno spazio notturno in cui brillano sfere-stellari ove sono rappresentati tutti gli artisti invitati

Alla mia domanda che cos’è Fluxus, risponde Geoffrey Hendricks: “ Qualcuno dice che Fluxus è un niente diventato qualcosa; qualcuno dice che il problema di Fluxus è come smettere di parlare di Fluxus; qualcuno dice <io sono più Fluxus di te>; c’è chi dice che Fluxus è un errore che funziona, altri dicono che non esiste, altri ancora che è dappertutto…”.

Rivolta la stessa domanda a Emmett Williams, così mi risponde:” te lo dirò domani alle 6 del mattino”. Infine lo chiedo a Ben Vautier che  spiega: “Fluxus è la vita in arte, ma non sono proprio sicuro…; è un pochettino di ego nella vita; Fluxus è importante perché nel ’63 era un periodo di non arte, ma oggi Fluxus è diventato arte”.Gli chiedo ancora qual è la sua posizione rispetto a Beuys, anch’egli presente nel firmamento Fluxus. Dichiara: “Come lui, ho anch’io intenti politici, ma diversi da quelli dell’artista tedesco. Non combatto i partiti, ma l’arte ha sempre una funzione politica dirompente”.

 

                                                            Miriam Cristaldi