Il termine Pop Art fu coniato nel '55 per indicare la cultura americana di massa (mid-cult) e si riferiva ai prodotti dei mass media, agli oggetti di consumo, ai fumetti e ai cartoons.

Alla fine degli anni '5O, all'Action Painting seguì un nuovo movimento, chiamato più tardi Pop Art, che per la prima volta confermò definitivamente New York come centro mondiale del mercato dell'arte contemporanea, influenzando i linguaggi artistici di tutta Europa: in Italia nacque un forte interesse verso questa nuova corrente (prese avvio la Nuova Scuola Romana) in occasione dell'esposizione di opere popartistiche alla Biennale di Venezia del '64.

Se Rauschenberg e Johns aprirono il futuro pop facendo da ponte con l'immediato passato (Espressionismo Astratto) mediante la combinazione  del gesto pittorico  con l'oggetto di consumo, con Warhol, Oldemburg, Lichtenstein, Dine ed altri, si assiste per la prima volta in modo chiaro e inequivocabile all'assunzione dell'oggetto d'uso quale assoluto protagonista dell'immagine pittorica o plastica.

Con l'importante retrospettiva "American Pop Art" in mostra a Palazzo Ducale (fino al primo maggio) curata da Sam Hunter (curatore della fondazione Leo Castelli), corredata di catalogo (ed. Nuova Tavolozza, Palermo) con testi critici di Achille Bonito Oliva e di Paul Schimmel (direttore del Whitney Museum di New York) - e sponsorizzata dalla Mercedes-Benz -  vengono esposte 6O opere (provenienti da collezioni pubbliche e private) di maggiori artisti statunitensi rappresentanti  tale movimento quali : Jim Dine, Robert Indiana, Jasper Johns, Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg, Mel Ramos, Robert Rauschenberg, James Rosenquist, George Segal, Andy Warhol e Tom Wesselmann.

Bonito Oliva così spiega il contesto americano pop di quegli anni: "La merce è la grande madre che accudisce il sonno, i sogni e gli incubi dell'uomo americano fino al punto di incentivare il bisogno di nuovi consumi. L'arte diventa il momento di esibizione splendente di tale sogno, la pratica alta  che mette sulla scena del linguaggio lo stile basso delle immagini, prodotte dai mezzi di comunicazione di massa. Immagini che affollano il panorama visivo e tattile della città...".

La mostra pur contenendo un ristretto numero di opere riesce dignitosamente ad esprimere il clima culturale di quegli anni, pragmatico e consumistico, fautore d'immagini "felici" che hanno cancellato le tradizionali componenti psicologiche per assumere  caratteri più specificamente dissacratori, percepibili nell'ossessiva riproduzione  di prototipi pubblicitari eseguiti  con nuovi codici estetici.

 

                                                Miriam Cristaldi