Per effetto della globalizzazione oggi siamo eletti "cittadini del mondo". Attraverso la fitta rete delle comunicazioni siamo infatti priettati in tempo reale in qualunque parte dell'universo: dove arriva l'occhio della telecamera o del computer, là siamo anche noi.
Proprio in virtù di ciò nascono oggi nuove esigenze. Quello che da un lato ci rende "onnipotenti" e "onnipresenti", dall'altro ci annichilisce, ci fa sparire nel labirinto di questa comunicazione mass-mediale e risucchiare dal buco nero dell'anonimato.
Da qui prende avvio una consequenziale perdita d'identità: i segni significanti che connotano un luogo, una persona, un oggetto si annullano a favore di dati memorizzati dalle intelligenze artificiali.
Paradossalmente, più aumenta questo tipo di comunicazione, maggiore si fa la solitudine umana. A fronte di ciò, e per evitare la spogliazione dell'essere, si fa urgente la necessità di difendere le "differenze": qualità che connotano e definiscono l'identità.
Infatti mai come oggi si sono risvegliati interessi specifici che definiscono questo o quel luogo come, per esempio, le specialità culinarie, la riscoperta dei singoli dialetti o le esplosive violenze per rivendicazioni etniche, ecc.
Non vedo perché in arte bisognerebbe invece spazzare via i localismi a favore di millantati internazionalismi.
E qui vengo al sodo riferendomi alle polemiche di questi giorni riguardanti le collezioni genovesi e liguri degli ultimi 50 anni raccolte dal museo di Villa Croce.
A questo proposito ritengo importante che si continui a "riconoscere" le istanze artistiche nate, o che nasceranno, nella nostra terra, non mancando però di accostarle ad altre esperienze similari che avvengono intorno e al di là dei nostri confini.
Si potranno così mettere a confronto le nostre esperienze con quelle nazionali ed internazionali, primo per non rimanere avulsi dalla scena dell'arte, secondo per cogliere (nella comparazione) quelle "differenze" che permettano di "riconoscere" questa o quella regione, stato, economia, religione o società.
Per ciò che riguarda le acquisizione delle collezioni il discorso si fa dolente: ci vorrebbero altre possibilità finanziarie e soprattutto bisognerebbe acquisire nuove mentalità menageriali fondate sulle sponsorizzazioni.
Quando cioè si progetta una mostra è necessario individuare "prima" lo sponsor, magari (e soprattutto) spostandoci anche fuori dai nostri confini.
Miriam Cristaldi