Davide Mansueto Raggio

 

Davide Mansueto Raggio non c’è più. A causa di disturbi al cuore è mancato ieri sera (mercoledì 22 maggio,) all’ospedale di Chiavari.

Genova ricorda e piange questo personaggio schivo, burbero, dai grandi occhi azzurri e lungodegente nell’ex ospedale psichiatrico di Genova-Quarto.

Nato a Celesia S. Colombano (Ge ‘26) da famiglia contadina, Davide è presente oggi, coi suoi lavori, nei musei più importanti di Art Brut (nominata anche arte psicopatologica , outsider o arte irregolare), in particolare nel museo di Losanna.

Con una grande installazione, ha pure partecipato alla mostra del Ducale “Figure dell’anima” (‘98) ed è apparso diverse volte su riviste specializzate come “L’Arte Naive”,  diretta da Dino Menozzi e Giambattista Voltolini, entrambi collezionisti e divulgatori del suo lavoro.

Ha coraggiosamente esposto alla libreria Il Sileno (’90) ed è stato invitato da gallerie cittadine come il Centro d’Arte La Maddalena (’93). L’ultima sua mostra  “Quarto di Raggio” (’98) è stata organizzata dall’Istituto Materie e Forme Inconsapevoli nello spazio del Museattivo Claudio Costa.

Certo, questa dolce figura allampanata, con l’eterna sigaretta ( o sigaro) in bocca, si è innamorata dell’arte vedendo e amando il lavoro del suo grande amico Claudio Costa (scomparso nel ’95), arteterapeuta nell’ex o. p. di Quarto e ivi fondatore dell’Istituto delle Materie e Forme Inconsapevoli

Da lui ha appreso la tecnica del collage e l’uso dell’oggetto trovato.

Davide usava anche il “sasso matto” (così lo chiamava), composto da mattone ridotto in briciole. Poi con la cenere di sigaretta, impastata col vinavil, dava forma a piccole figurine. Che realizzava anche con impasti di argilla cruda.

Antonio Slavich, allora direttore dell’ex o.p. (anni ’80/90), gli aveva concesso  uno studio per lavorare e Davide lo aveva riempito di arbusti, radici, cartoni, foglie di palma, canne, nocciole, pigne, tutti oggetti trovati e raccolti nel parco dell’ospedale per la realizzazione di opere, dando luogo a un’inestricabile “giungla”. 

Aveva anche appeso a parete (fino all’inverosimile) cartoni dipinti ( a cera o a pastello) e disseminato di fantastiche installazioni gli ampi corridoi del manicomio, fino a raggiungere lo studio di Costa, che così si era pronunciato riguardo il suo percorso artistico: “… quella di Davide Raggio è una dichiarazione di poetica intrecciata a filo doppio con l’oggetto manufatto che, attraverso di lui, vive e resta vivo tra i viventi della terra…”.

Infatti, secondo una fervida creatività e una sorta di personale animismo, Davide “vedeva” nelle macchie, nei graffi o negli strappi - casualmente segnati su carte o su radici d’albero - forme d’occhio, naso, bocca che andavano a comporre “personaggi viventi”. E in silenzio ne ascoltava l’ intima “voce”.

Così, attraverso piccoli aggiustamenti, una cavità nel legno poteva diventare occhio e uno strappo su cartone, ghigno umano.

Sovente, passando davanti alle sue “Furie” o ai suoi “Pinocchi”, Davide li cullava amorevolmente come avrebbe fatto un padre con le sue creature, avviando con l’opera un intimo quanto appassionato dialogo.

Ma la peculiarità di Raggio stava nell’instancabile ricerca di nuovi linguaggi espressivi.

L’ultimo (’95) è stato quello degli strappi applicati su cartone d’imballo, mettendo in evidenza i ritmi ondulatori della carta sottostante.

Gli strappi causavano “cirri” di carta arrotolata, proprio in corrispondenza di mani, piedi e bocche digrignanti, dando vita a curiosi  personaggi “guerrieri”.

Così, il corpus del suo lavoro (che attende ora una severa revisione critica) denuncia quegli aspetti antropomorfici capaci di tradurre un’illesa naturalità nella seduzione di un’irrefrenabile poesia del cuore.

 

                                                            Miriam Cristaldi