Note biografiche.
Claudio Costa nasce a Tirana in Albania il 22 giugno del 1942 da genitori italiani.
Nel ’62 vince a Milano il premio Diomira per il disegno e nel ’63 il premio S. Fedele.
Dal ’62 al ’65 studia architettura al politecnico di Milano.
Nel ’64 vince la borsa di studio per l’incisione indetta dal governo francese e si
trasferisce quindi a Parigi presso l’atelier di S. W. Hayter (dal ’65 al ’68) dove
ha l’occasione di incontrare Marcel Duchamp, punto di riferimento importante
per il suo lavoro in bilico tra la scattante forza dell’idea e la calda materialità
dell’oggetto trovato.
A Parigi, nel’68, vive la rivoluzione del maggio francese che condizionerà
fortemente il suo stile di vita; partecipa agli ateliers liberi che si sono formati
per stampare le affiches del movimento studentesco. Nell’autunno torna in Italia,
a Rapallo, dove approfondisce la figura di Ezra Pound che lì aveva soggiornato
per parecchio tempo.
Nel 69 inizia un lavoro con riferimenti all’antropologia e alla paleontologia
(ricostruzione degli uomini primitivi). E’ di quest’anno la sua, importante,
prima personale alla galleria genovese La Bertesca, spazio che ha visto nascere
(un anno prima) il gruppo dell’Arte Povera. Conosce gli artisti di questo movimento
con cui ha alcune affinità di materiali ma obiettivi diversi. Inizia infatti una ricerca
su materiali non specifici in arte, usati allo stato puro, senza implicazioni simboliche
che individua in grafiti, amido, colla di pesce o di coniglio, acidi, fotocopie, argille.
Nel 71 pubblica per le edizioni Masnata il testo teorico “Evoluzione Involuzione”
in cui scandaglia aspetti antropologici.
Nel ’72 si apre ad amicizie Fluxus, di cui condivide l’equazione arte-vita,
in particolare con Filliou, Brect, Chiari, Ben, Vostell.
Nel ’73 l’interesse antropologico lo porta a studiare i riti e i miti delle
popolazioni primitive attraverso un viaggio in Marocco e contatti
col museo di Wellington per la realizzazione di un lavoro
sulla popolazione neozelandese dei Maori
Nel ’74 è presente con una personale al museo Ludwig di Aachen, poi
ad Amburgo e a Monaco con la mostra collettiva del
Gruppo Arte Antropologica in “Spurensicherung” (= Arte delle tracce)
- teorizzata da Gunter Metken - insieme agli artisti Christian Boltanski,
Roger Welch, Didier Bay, Nancy Kitchel, Jean Le Gac, Anna e Patrick Poirier,
Charls Simonds, Nancy Graves, Jean Marie Bertholin, Nikolaus Lang,
Paul-Armand Gette, Jochen Gerz.
Nel 1975 studia la cultura contadina e fonda a Monteghirfo, paese
dell’entroterra ligure vicino ai luoghi della sua infanzia, il
“Museo di antropologia attiva” basando il suo pensiero teorico
sul rovesciamento del “ready made” : infatti, se Duchamp
dichiara opera d’arte l’oggetto spostato nel museo, Costa - al contrario -
applica lo spostamento del museo attorno all’oggetto dichiarando
museo il contesto attorno all’oggetto (oggetto che rimane quindi fermo
nel luogo di appartenenza mentre chi si sposta è il museo).Un museo
della civiltà contadina, dunque, ma anche museo della memoria
quale recupero di una civiltà in estinzione da consegnare a future generazioni.
Nel ’77 si trasferisce a Genova e teorizza l’ “Work in regress”,
un lavoro nato in contrapposizione all’ “Work in progress” di James Joice;
è anche invitato ad esporre a Documenta 6 di Kassel dove nella sezione
“Archeologia degli umani” , curata da Gunter Metken, conclude
il ciclo strettamente antropologico col lavoro intitolato “Antropologia riseppellita”.
Nel 1978 partecipa a Bologna alla mostra “Metafisica del quotidiano”
con opere di matrice alchemica. La scoperta della tradizione ermetica
lo indirizza verso lo studio “della filosofia e della magia naturali” con cicli
di lavoro dal titolo: “il giallo come materia”, “Il nero come sostanza”,
“la calcinazione del bianco”, “Le meduse del tempo”.
L’alchimia, in questo momento si fa oggetto di studio che concluderà
nell’86 con la sua partecipazione alla Biennale di Venezia nella sezione
curata da Arturo Swarz. Nell’ultimo periodo di vita Claudio Costa spiega
l’intero suo percorso artistico attraverso una visione alchemica del mondo
essenzializzata nei quattro elementi Terra, Acqua, Aria, Fuoco, corrispondenti
alla suddivisione del suo lavoro in 4 cicli. Questo in adesione ad una lettura
che esula da pratiche protoscientifiche (ormai desuete), ma che si pone
idealmente come simbolo della trasformazione che l’uomo opera
in sé durante il cammino della propria vita.
Un cammino che dalla nigredo della Terra arriva alla rubedo, o al fuoco dello spirito.
Nel 1981 è invitato alla mostra “Mithos e Rituals” alla Kunstalle di Zurigo
dove ha occasione di conoscere Joseph Beuys che, dopo Duchamp, diventa
punto di riferimento non indifferente, specie nel tipo di fede riposta
nella natura e nell’uomo, in particolare nella qualità di una
comunicazione rivolta all’altro da sé.
Nell’85 è invitato alla mostra “Museo immaginario
dell’Archeologia” nei pressi di Lascaux: la visita alle grotte
di questo luogo lo impressiona. D’ora in poi richiami
ai graffiti rupestri saranno presenti nei suoi lavori come
mezzi per evocare le origini dell’uomo e come riflessione
sull’origine dell’arte: egli ritiene che per vivere il presente
e proiettarsi nel futuro sia fondamentale conoscere il proprio passato
specie quello remotissimo. Questo per recuperare una
conoscenza sapienzale perduta nel tempo.
Nel 1986 conclude il lavoro strettamente alchemico
con l’opera intitolata “Diva bottiglia (per un Museo dell’Alchimia)”,
esposta alla Biennale di Venezia nella sezione “Arte e Alchimia”.
Intanto trasferisce il suo studio nell’ex ospedale psichiatrico
di Genova-Quarto dove inizierà un proficuo rapporto di arte-terapia coi pazienti.
Nei lavori dell’87 si evidenziano, su fondi bianchi, forme totemiche nere
(con richiami a mostruosi “insettacci”, maschere tribali, robot)
come espressioni di paure tratte dall’ombra dell’inconscio e
trasferite nella luce della coscienza. Vengono usati altri materiali:
lamiere, legni anneriti, terre rosse, così da definire un’iconografia hard,
priva di compiacimenti, meccanomorfa. Nascono in questo momento
lavori in pseudo- bronzo: oggetti rivestiti di pittura dagli
effetti bronzei così da memorizzare nel presente quella mitica età storica.
Espone al Mercato del Sale la personale il “Corpo alchemico primitivo”
e alla galleria La Polena, a Genova, la mostra “Bronzea, gli ultimi lavori conosciuti”.
Un granello di sabbia è diventato una pietra: nell’88 fonda
nell’ex ospedale psichiatrico di Genova-Quarto,
l’Istituto delle Materie e Forme Inconsapevoli
(Arte della persona, ed esercita la professione di arte-terapeuta
in collaborazione col centro Diurno di salute mentale.
Questo Istituto si concentra soprattutto sulle problematiche
volte allo sviluppo della creatività nell’ambito psichiatrico
ed incentiva incontri, relazioni, con personalità della cultura.
Nell’89 codifica una nuova materia: la ruggine, considerata cifra
espressiva del suo lavoro. Egli sottolinea la naturalità di questo
fungo del ferro perché è mirabilmente capace d’irradiare qualità
pittoriche oscillanti tra l’oro e i rossi bruciati e di evocare fortemente
l’elemento fuoco. L’artista, per l’uso, confeziona una sorta di
“ruggine prefabbricata” stendendo al sole lamine di ferro bagnate con acqua e sale.
Alla fine dell’89, inizio ’90, prendono avvio i viaggi in Africa:
è invitato da Claudio Spadoni a Malindi, in Kenya, all “African dream Village”
(di Giulio Bargellini), con l’opera “L’albero della cuccagna”
(tema ricorrente in quattro sue installazioni).
La cultura africana lo induce a un critico confronto con se stesso
portandolo inoltre a lavorare nelle dimensioni molto grandi.
Fa uso di materiali del posto (maschere, totem, oggetti naturali e artigianali)
che reinventa con libertà interpretativa. Nascono quantità di lavori tuttora inediti.
Nel giugno del ’90 è ancora a Malindi, invitato dall’amico veronese
Nino Pezzino che lo soprannomina “Claudio l’africano”,
nella cui casa esegue grandi installazioni.
In Italia partecipa inoltre a una serie di mostre intitolate
“Arte come Evocazione” (a cura di Miriam Cristaldi, ’90-’92).
E’ presente a Parigi con la personale “Prehistorie ed anthropologie”,
alla Galerie 1900-2000 con testi di Flaminio Gualdoni ed Enrico Pedrini.
A Milano , alla galleria Cavellini-Cilena, espone
“L’assedio instancabile del fare” a cura di Flaminio Gualdoni.
Nel luglio del ’91 è di nuovo a Malindi, invitato da Nino Pezzino,
dove crea altri lavori africani.
A dicembre è a Kampala, in Uganda. Tornato in Italia, a Verona,
presso la galleria La Giarina, espone la mostra “Africa” con testi
di Giorgio Cortenova e Miriam Cristaldi.
Nel ’92 fonda nell’ex ospedale psichiatrico di Genova-Quarto
il Museo attivo delle Materie e Forme Inconsapevoli
(naturale emanazione dell’Istituto omonimo) insieme
a Miriam Cristaldi (critico d’arte), Luigi Maccioni (psichiatra) e
Antonio Slavich (direttore dell’ospedale). E’ questo
un museo-attivo di espressioni artistiche che raccoglie
opere di artisti professionisti e pazienti psichiatrici.
Costa espone i lavori di Davide Raggio, un lungodegente
psichiatrico considerato genius loci dell’ospedale genovese.
A Torino, alla galleria Tauro Arte, presenta “Lavori africani”
con testi di Francesco Poli e Miriam Cristaldi.
I simboli accoppiati del cuore e del cervello entrano
da questo momento con frequenza nei suoi lavori
come metafora della Maestà dell’uomo che fa uso
sapiente di questi organi dosando con oculatezza ragione e sentimento.
E’ invitato a Dakar, in Senegal, presso l’Istituto Italiano di Cultura.
E’ inoltre invitato alla V° Biennale d’Arte di Dakar.
Per la terza ed ultima volta è ancora a Malindi per lavorare,
ospite, da Nino Pezzino.
Nell’ospedale psichiatrico vede la luce il lavoro “Terre emerse”
composto di lamiere di ruggine affogate nella cera liquida
per simulare isole nell’oceano.
Nel ’93 espone alla galleria Soave “Terre emerse”, a cura
di Marisa Vescovo.
Inizia a Sarzana il ciclo della Virtualità ( trilogia sull’ “Arte come pre-"
a cura di Miriam Cristaldi) ove è presente con l’opera “Il sonno sospeso degli angeli”.
Per la seconda volta è invitato a Dakar dall’Istituto Italiano di Cultura
con il compito di insegnare alla scuola d’Arte della città. Qui,
alla Galleria Nazionale di Dakar, allestisce una mostra pubblica
con tutti i pezzi creati sul posto.
Promuove, in collaborazione con l’IMFI, nell’ex ospedale psichiatrico
di Genova, il convegno”Arte: luoghi, percorsi e voci, arte tra virtualità
e oggetto estetico”.
Nel ’94 è a Milano, da Massimo Valsecchi, con la mostra personale
intitolata “Claudio Costa”.
Esegue la performance dell’ “Appeso” alla cava di marmo La Piana
(Massa Carrara), in occasione dell’ultima operazione sulla trilogia
della Virtualità, con commento di Bruno Corà.
In luglio, inscena la sua ultima performance intitolata “Arcimboldo evocato”
nella piazza di Sarzana (La Spezia).
Nel ’95 si delinea il progetto
“Skull Brain Museum – Africa ‘95” = “Museo del cranio e del cervello”
che dichiara opera d’arte l’Africa Settentrionale.
Questo progetto evidenzia che il profilo di un cranio preistorico
combacia perfettamente col profilo dell’Africa settentrionale.
Nei 34 paesi, compresi in questo profilo geografico,
l’artista avrebbe dovuto fondare
altrettanti Musei con presenze europee
e africane unite in un unico abbraccio universale.
Il 2 luglio scompare improvvisamente.
miriam cristaldi