La Storia di Massimo: Capitoli 11 – 15

 

 

 

Capitolo 11 - 166 d.C.

Il tempo in Germania passò in fretta. La presenza minacciosa delle legioni aveva contenuto le tribù dal loro lato del fiume, ma vigilanza e addestramento costanti continuarono per i successivi quattro anni, poiché la guerra sembrava inevitabile a quel punto. Alcune tribù germaniche si erano addirittura fatte largo verso Sud e stavano minacciando l'Italia, dal momento che le legioni laggiù erano state ridotte dal bisogno di uomini ad Est.

Nel 166 Massimo era divenuto un attraente giovane di vent'anni con eccezionali capacità in tutti gli aspetti della guerra. Poteva avere la meglio in tutto su tutti gli uomini della sua età. Sebbene non avesse mai visto una vera battaglia, aveva partecipato a molte simulazioni e la sua bravura con le armi mozzava il respiro a Dario. Colui che tallonava da presso Massimo era Quinto, e i due uomini erano rivali accaniti in ogni aspetto della vita.

Ma Quinto aveva ancora un vantaggio su Massimo: l'essere nato in una famiglia romana della classe senatoriale, il che significava che egli alla fine avrebbe potuto avanzare nel comando ben più di Massimo. Tuttavia, al momento Massimo aveva nella manica un asso di gran lunga più importante dei diritti di nascita di Quinto: una profonda amicizia con un centurione che divideva con lui molti segreti, informazioni confidenziali che si supponeva non dovessero oltrepassare le porte del pretorio.

Una notte, Massimo e Dario sedevano nella tenda di quest'ultimo, trascorrendo rilassati la serata giocando a dadi e bevendo vino, quando il centurione condivise l'informazione più recente.
- Siamo stati avvertiti che la guerra nell'Est è finita, Massimo, e che le legioni sono tornate a Roma.

- Sono belle notizie. - Massimo pensò a Lucio, come faceva spesso, e si chiese come ne fosse uscito l'amico.

- Non sono esclusivamente belle notizie. No, non sono per niente belle notizie.

Una piega comparve sulla fronte di Massimo, facendogli increspare la pelle tra gli occhi e abbassare le estremità delle sopracciglia. I seri occhi blu esigevano una risposta.
- Che cosa vuoi dire?

Dario osservò il giovane. Il fascino di Massimo era evidente perfino nella tenue luce della lampada ad olio che gettava balenanti rilievi sulle folte onde castano scuro, che egli scacciava sempre dalla fronte scrollando il capo o pettinandole indietro con le dita. Molte giovani donne dei villaggi vicini lo trovavano davvero molto attraente ed egli non aveva alcuna difficoltà a passare del tempo in compagnia di donne ben disposte, quando lo desiderava. Quei capelli dovevano sparire, pensò Dario, se fossero entrati in guerra. I capelli lunghi erano pericolosi, per non parlare della difficoltà di tenerli puliti, e la pulizia era una priorità nell'esercito. Sospirò nel vedere la scura barba corta che copriva la mascella e la gola del giovane. Non sembrava che egli volesse davvero farsi crescere la barba, ma sembrava egualmente avverso a radersi, così aveva sempre l'aria un po' trascurata, un'aria che - Dario sospettava - alle signore piaceva molto. Massimo quella sera indossava l'armatura di cuoio, che faceva decisamente risaltare le sue larghe spalle e le braccia muscolose. Nell'insieme, una figura che catturava l'attenzione.

- Perché non ti radi?

- Cosa? Di che parli? Credevo stessimo discutendo dello stato della guerra nell'Est.

Dario scosse la testa e allungò la mano per tirare un ricciolo che cadeva sulla fronte di Massimo.
- Sii molto grato che siamo in Germania, amico mio, ben lontano da Roma.

Massimo divenne circospetto.
- Perché?

- Perché i soldati che tornano dall'Est hanno portato la peste a Roma. La gente muore a migliaia. E' una morte terribile, la peste. Ti divora dentro e fuori. L'unica cosa buona della peste è che la morte è rapida. Gli eserciti nell'Est sono totalmente decimati a causa sua e si è sparsa perfino nelle case più nobili della città.

- Gli imperatori?

- Sono stati risparmiati, sembra, ma non si sa se le loro famiglie sono state altrettanto fortunate.

L'immagine di un incantevole giovane volto dagli occhi verdi, incorniciato da soffici riccioli castani, si formò spontaneamente nella mente di Massimo. Lucilla. Non pensava a lei da anni. Si chiese che aspetto avesse adesso, all'età di... quanto? Diciotto anni? Forse era perfino sposata con figli, dato che molte ragazze romane si sposavano all'età di quindici anni. Recitò una preghiera silenziosa per la sua salvezza.

- Sembra che la gente stia fuggendo dalla città. Quelli abbastanza ricchi per farlo, naturalmente.

- Dove vanno?

- Alcuni sulle colline circostanti. Molti temono che la peste si diffonda anche là e vanno ancora più lontano. A quanto pare hanno l'impressione che l'aria fresca del nord li proteggerà dal morbo, così si stanno dirigendo da questa parte. - Dario gettò il dado, poi lanciò un'occhiata a Massimo. - Si dice che Marco Aurelio e Lucio Vero sono sulla strada per venire qui con le loro famiglie, per stare sotto la nostra protezione finché la città sarà di nuovo sicura.

- Qui?

- Mmm. E' il tuo turno.

- Ma, che succede se entriamo in guerra?

- La guerra sarà combattuta sull'altra sponda del fiume. Le famiglie saranno completamente al sicuro qui, anche se un po' scomode. E' il tuo turno, Massimo.

- Pensi...

- Non lo so.

- Non sai nemmeno che cosa stavo per chiederti.

- Se Lucilla verrà qui? Non lo so. - Dario fece un largo sorriso. - Vuoi, per favore, lanciare il dado?

Massimo eseguì, ma la sua mente era chiaramente altrove.

- E' di una classe sociale completamente fuori dalla tua portata, Massimo, - disse Dario, giocando a sua volta.

- Me ne rendo conto.

Dario si allungò sul tavolo e gli diede uno schiaffo leggero all'orecchio. Massimo lo guardò torvo.
- Adesso ho la tua completa attenzione? So che puoi avere qualunque donna tu voglia, ma quella non fa per te. Mi hai sentito?

- Ti ho sentito. - L'espressione torva di Massimo si trasformò in un largo sorriso sfrontato, poi in un'aperta risata.

Dario si limitò a scuotere la testa.
- Tira il dado!

 

Capitolo 12 - Riunione

Lo strano corteo procedeva lentamente attraverso le fitte foreste scure dell'Europa Settentrionale. Otto carri blindati, ognuno tirato da tre coppie di cavalli, trasportavano i familiari più prossimi di Marco Aurelio e Lucio Vero, ma anche numerosi senatori da Roma e le loro famiglie. Le guardie pretoriane degli imperatori scortavano la processione da ogni lato, pronte a respingere qualunque attacco. Ma il viaggio da Roma era stato lungo, privo di avvenimenti notevoli e noioso, specialmente per Lucilla che si trovava nel mezzo tra incessanti piagnistei e capricci del suo giovane fratello e incessanti piagnistei e rimproveri di sua madre.

Gli ultimi quattro anni erano stati difficili per la famiglia, poiché i ragazzi avevano visto pochissimo il loro padre, Marco Aurelio, dopo il viaggio in Spagna. Egli era stato occupato dagli affari di stato e, quando aveva del tempo da trascorrere con loro, sceglieva invece di leggere la filosofia stoica e di annotare i propri pensieri sull'argomento. Questa mancanza di attenzioni era stata difficile specialmente per Commodo, che ammirava enormemente suo padre e desiderava ardentemente la sua approvazione. Ma il ragazzo sembrava solo infastidire l'Imperatore, con il suo comportamento puerile.

La loro madre, Annia Galeria Faustina, raramente vedeva il marito, così aveva sviluppato qualche interesse da sola. Le piacevano i giochi nella grande arena ed era molto affezionata a particolari gladiatori sui quali riversava notevoli attenzioni, con grande imbarazzo di Lucilla ed esasperazione di suo padre. Molte volte egli aveva minacciato di far cessare i giochi ma Annia era sempre riuscita a convincere suo marito che i suoi interessi erano puramente ricreativi. I giochi eccitavano anche Commodo, e madre e figlio spesso trascorrevano là giorni interi, divertendosi con le scene di morte.

Lucilla una volta era andata con loro per curiosità, ma ciò che aveva visto l'aveva fatta stare male e si era rifiutata di tornarvi nonostante le suppliche di suo fratello. Egli l'aveva minacciata dicendo che, quando fosse diventato imperatore, l'avrebbe obbligata ad andare ai giochi e a sedersi con lui nel palco reale. Come al solito, Lucilla lo aveva ignorato.

La giovane donna sospirò. Leggere era impossibile, poiché il carro dondolava continuamente sui solchi della strada e la luce interna era egualmente inaffidabile. Per passare il tempo, lasciò andare la sua mente ai ricordi, all'ultima volta che suo padre aveva preso con sé i figli in un viaggio come questo. Aveva creduto che quel viaggio fosse interminabile, ma non era nulla in confronto a questo. Desiderò che stessero dirigendosi in Spagna anche questa volta, perché ricordava bene il giovane attraente con il grosso cane grigio che era di servizio là e lei poteva pensare a cose peggiori da fare che passare un po' di tempo con lui. Massimo, quello era il suo nome. Un nome grandioso per una persona così giovane.

Un improvviso scossone gettò Lucilla indietro contro i cuscini e Commodo sul pavimento. Ella soffocò una risata quando il ragazzo si alzò, imprecando e minacciando di uccidere il conducente del carro una volta che il dannato coso si fosse finalmente fermato. Egli brandì una piccola spada e colpì l'aria ferocemente. Allarmata, Lucilla si voltò verso la madre, che continuava il suo pisolino nonostante lo scossone.
- Madre, fallo smettere. Finirà col ferirsi o col ferire qualcuno con quell'affare.

Annia aprì un occhio e fissò suo figlio. Un sorriso animò i suoi lineamenti ancora belli ed ella si allungò e attirò Commodo contro l'ampio seno, soffocandolo di baci.
- Tu sei il mio piccolo bel gladiatore, vero Commodo? Il piccolo gladiatore coraggioso della mamma.

Lucilla per un momento osservò la scena in silenzio, poi distolse lo sguardo e seppellì il volto tra i cuscini. Non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe potuto sopportare tutto ciò.

Tre giorni più tardi, il carro finalmente si fermò, all'interno del perimetro di un enorme accampamento militare ben fortificato. Lucilla uscì con sollievo all'aria aperta e respirò profondamente prima di essere aiutata a montare sulla sua graziosa giumenta bianca, Venere. Si aggiustò il mantello blu attorno al corpo, stingendosi al collo la folta pelliccia. Anche Commodo salì a cavallo; Annia scelse invece una portantina coperta. Ella tirò le tendine intorno a sé per cercare di chiudere fuori la campagna selvaggia che la spaventava terribilmente. Nata e cresciuta in città, tutto questo andava ben oltre quanto avesse mai sperimentato.

Lucilla piegò la testa all'indietro e scosse i bei capelli finché i riccioli le precipitarono come una cascata sulla schiena. Guardò in alto gli enormi rami che la sovrastavano, tra i quali si intravedevano squarci di cielo blu, e rise di piacere. Grandi uccelli, con rauche strida di malcontento per esser stati disturbati, volavano di albero in albero. Perfino l'aria fredda di quella tarda primavera non poteva smorzare il suo entusiasmo per essere libera da quel carro-prigione. Circondata da guardie pretoriane, avanzò verso la grande aquila dorata situata sopra il principale accesso all'accampamento. Squilli di tromba annunciarono le famiglie degli imperatori e i senatori che le seguivano in coda. Appena dopo l'entrata Lucilla poté vedere, fila dopo fila, i soldati in armatura completa fermi sull'attenti. Ella inclinò il capo verso di loro, passando, mostrando il suo rispetto davanti alle loro teste chine.

La guardia pretoriana la condusse verso il generale, che si distingueva per la pelliccia di lupo argentato sulle spalle e l'armatura riccamente ornata. Il cuore di lei mancò un battito. Conosceva questo generale. Era lo stesso generale che aveva comandato la legione in Ispania. Era questa la stessa legione, dunque, qui, in Germania? I suoi occhi esaminarono velocemente gli uomini vicini al generale... Patroclo, così si chiamava. Non era nemmeno sicura di che aspetto potesse avere Massimo, ora, o se egli fosse ancora con questa legione, ma... Restò senza fiato quando riconobbe il grosso cane grigio appena dietro il generale. L'animale appariva molto più vecchio, con del pelo bianco sul muso, e un po' in sovrappeso, ma era sicuramente Ercole.

Poi si concentrò sull'uomo in piedi di fianco al cane. Era rigido sull'attenti, la testa china, ma qualcosa in lui le sembrava molto familiare. Il cuore di lei cominciò a martellare. I cortissimi capelli di lui erano diversi da quelli lunghi, folti e ondulati che lei ricordava, ma si trattava di Massimo, ne era certa.

Non prestò quasi attenzione alle mani che si tesero per aiutarla a smontare né al saluto formale del Generale Patroclo. Ella mormorò la risposta appropriata, poi volse la sua attenzione al cane.
- Ercole! Mi ricordo di te! - Si diede un colpetto sulla gamba. - Vieni qua, bello. Vieni qua.

Il cane lanciò un'occhiata al soldato di fianco a lui, con una domanda negli occhi marrone. Ercole non si mosse finché l'uomo non diede la sua approvazione con un cenno del capo; allora si alzò a fatica sulle zampe e si trascinò verso Lucilla, la lingua pronta a leccarla. Lucilla rise accettando il benvenuto del cane, poi si raddrizzò e si rivolse direttamente al soldato.
- E' molto più amichevole di quanto ricordavo, Massimo. Hai fatto meraviglie con lui.

Lucilla gioì dello sguardo sorpreso negli occhi del giovane, subito sostituito da uno scintillio ammiccante. Egli chinò ancora la testa con grande serietà, proprio mentre le sue labbra si stiravano in un sorriso.
- Mia signora.

Il generale era occupato ad accogliere gli altri ospiti, così Lucilla andò direttamente dal soldato, fermandosi ad appena qualche centimetro da lui.
- Massimo.

Egli alzò la testa. La sua espressione era molto grave ora, tranne che per gli occhi, che si strinsero leggermente per il divertimento.
- Mia signora, sono al tuo servizio.

Il timbro profondo, inebriante della sua voce mandò un brivido lungo la schiena di Lucilla. Voleva farlo continuare a parlare.
- Che cos'è che agita Ercole?

- Ha l'artrite alle anche, e lo fa soffrire quando il tempo è umido. - Si abbassò per grattare le orecchie del cane. - Spero che il viaggio non sia stato troppo intollerabile, - disse Massimo cortesemente.

- No. - La voce di lei si fece lontana mentre lo studiava. Era molto alta per essere una donna, ma anch'egli era alto e si guardavano l'un l'altra quasi direttamente negli occhi. Lui aveva il fiero portamento eretto di un soldato e le sue spalle erano molto ampie sotto la grigia armatura di metallo. I capelli cortissimi gli donavano, decise Lucilla, perché scoprivano il collo forte e si accordavano con la barba accuratamente spuntata che gli copriva la mascella, nascondendo completamente la fossetta in mezzo al mento che lei ricordava. Il suo volto era intensamente abbronzato dal sole e i suoi occhi blu conservavano quell'aria un po' triste che l'aveva affascinata anni prima. Lucilla decise che il tempo era stato molto generoso con Massimo... molto generoso davvero.

Massimo era giunto alla stessa conclusione su di lei. Mentre lei valutava lui, lui valutava lei. La sua altezza lo sorprese... era più alta di molti soldati, ma certamente non possedeva la loro mole, come rivelava il lungo collo snello che pareva quasi troppo fragile per sostenere il peso della testa. I suoi folti riccioli erano lasciati liberi, tranne che per due bande d'oro puro che glieli trattenevano indietro, lontani dal volto. La sua pelle era pura come panna ed egli moriva dalla voglia di carezzarle la guancia con le dita. Le sue labbra piene erano di un lieve colorito roseo e i suoi occhi di un verde profondo lo osservavano con grande serietà. Egli sospirò profondamente, senza rendersi conto di come lei potesse interpretare quell'atto e fu molto sollevato quando ella sorrise e infine rise. Ricambiò il sorriso senza esitazioni.

- Forse questo esilio non sarà così brutto, dopo tutto, Massimo, - disse a voce abbastanza bassa perché lui solo potesse udirla. - No, per niente brutto. - Le sue lunghe dita gli scivolarono attorno al braccio, proprio sotto la pesante armatura ed ella lottò contro l'impulso di stringere il muscolo solido che sentiva sotto la mano, quando si girò per presentare Massimo a sua madre, la quale aveva l'aria più infelice che Lucilla le avesse mai visto.

- Madre, questo è l'uomo che incontrai anni fa in Ispania quando Commodo e io ci recammo là con nostro padre. Si chiama Massimo... - Lo guardò con aria interrogativa.

- Massimo Decimo Meridio, o Augusta, - completò Massimo, chinando la testa ancora una volta. Sebbene fosse evidente che la bellezza di Lucilla le veniva dalla madre, quest'ultima non era invecchiata bene ed era piuttosto appesantita, un fatto che i suoi vestiti costosi non potevano nascondere. Lucilla continuò con le presentazioni.
- Commodo, ti ricordi di Massimo?

- No, - rispose sgarbatamente il ragazzo, mentre congedava con un sorriso beffardo l'inchino di benvenuto di Massimo.

Massimo si sentiva abbastanza audace da sussurrare a Lucilla:
- Non è cambiato, vedo.

Lucilla lo fissò sorpresa, poi gettò indietro la testa e rise. Quando la sua risata si calmò, ella attirò a sé l'orecchio del suo accompagnatore e disse con calma:
- Faresti bene a non farti sentire da mia madre. Pensa che lui sia perfetto. Ti potrebbe far frustare per questo, o peggio.

Lo guardò dritto negli occhi così che Massimo capisse che lei non avrebbe riportato a sua madre quella frase imprudente.
- Dove dovrò soggiornare, Massimo?

- Nel pretorio, mia signora. Là sarai al sicuro e avrai i tuoi quartieri. Ti accompagnerò là, se lo desideri.

- Al sicuro da cosa? - Lucilla aveva ancora la mano sul braccio di Massimo mentre lui la conduceva oltre i soldati restanti.

- Be'... da tutto.

- Dalle tribù germaniche?

- Sì.

- Dagli animali selvaggi?

- Naturalmente.

Lei lo guardò con la coda dell'occhio.
- Dai... soldati di bell'aspetto?

La mano grande di lui coprì quella di lei.
- Se lo desideri.

- Non sono sicura di desiderarlo. Non sono per niente sicura.

Non appena passarono davanti a Dario, Massimo allungò la mano e gli mise un dito sotto il mento, facendogli chiudere di scatto la bocca spalancata. Lo sbalordito centurione rimase a guardare la coppia che continuava per la sua strada, seguita da vicino da quattro guardie pretoriane. Si chiese se quelle guardie avrebbero avuto più guai da uno dei soldati di Roma che da tutte le tribù barbare d'Europa.

Anche gli occhi di un giovinetto seguivano il loro procedere. Oh sì, si ricordava di Massimo.

Si ricordava molto bene.

 

Capitolo 13 - Innamorarsi

Ci vollero due giorni prima che Massimo vedesse di nuovo Lucilla e anche allora fu solo di sfuggita. Lei e gli altri congiunti degli imperatori, così come i senatori, erano confinati nel pretorio e intrattenuti dal generale e dal suo stato maggiore.

Massimo usò ogni possibile scusa per avvicinarsi a quei quartieri e i suoi occhi passavano al setaccio la zona alla ricerca della donna stupenda dai fluenti riccioli castani. Quell'unica rapida apparizione gli aveva fatto martellare il cuore. Aveva cominciato a chiedersi se la sua immaginazione avesse esagerato la bellezza di lei, ma un solo breve sguardo lo rassicurò altrimenti. Moriva dalla voglia di parlarle ma non riuscì a trovare alcuna scusa plausibile per entrare nel pretorio, nonostante avesse meditato per ore sul problema.

Dario non era di alcun aiuto. Sembrava che godesse sottilmente nel mandare Massimo in tutti gli angoli dell'accampamento con incarichi futili. Qualunque soldato avrebbe potuto svolgerli, ma Dario insisteva che doveva farli Massimo. Si chiese se Lucilla fosse stanca della sua reclusione all'interno di quei quartieri quanto lui lo era del proprio esilio al di fuori.

Lei lo era. Sebbene fosse stato fatto ogni sforzo per rendere lussuoso il suo alloggio, questo era tanto esiguo da farle quasi venire i crampi. Ogni volta che camminava tra le tende per far visita agli altri o consumare un pasto, scrutava brevemente sopra la palizzata per cercare Massimo. Lui non c'era mai. Poteva averla dimenticata così in fretta? Come occupava il tempo? Oh, poteva udire le esercitazioni e gli ordini gridati quando i soldati si preparavano per la battaglia, ma cosa faceva per il resto del tempo? E di sera? Desiderava sedersi accanto al fuoco con lui e semplicemente parlare e ascoltare la sua meravigliosa voce calda.

Frustrata, si distese sul letto e chiuse gli occhi, le tende di velo trasparente ondeggianti nella brezza. Semplicemente non aveva nient'altro da fare che ascoltare le miriadi di suoni emessi dall'accampamento pieno di uomini e desiderò di essere al fianco di un soldato in particolare. La mente presto si intorpidì e lei scivolò in uno stato tra la veglia e il sonno.

La pazienza definitivamente agli sgoccioli, Massimo si avvicinò all'entrata del pretorio e fu immediatamente bloccato da due guardie pretoriane pesantemente armate. Alzando la voce, spiegò che stava solo cercando il cane, Ercole, perché l'animale era abituato a fare una passeggiata serale alcune volte alla settimana.

Lucilla aprì gli occhi di scatto e sollevò la testa dal cuscino, chiedendosi quale suono fosse penetrato attraverso il suo assopimento al punto da destarla. Ascoltò attentamente. La voce venne di nuovo ed ella gettò le gambe fuori dal letto, i piedi alla ricerca delle pantofole. Tenendo strettamente chiuso il mantello con una mano, corse fuori dalla sua tenda nel cortile comune e si fermò, voltando la testa da ogni lato per prestare ascolto alla voce di Massimo. Un fischio basso e la parola Ercole attirò il suo sguardo verso l'entrata dei quartieri, dove Massimo si era accovacciato per sistemare il pesante collare sul collo del cane.

- Massimo, - lo chiamò.

Egli si raddrizzò, poi chinò la testa.
- Buona sera, mia signora. Stavo giusto per portare Ercole a fare un giretto attorno al campo. Vorresti unirti a noi?

Una delle guardie cominciò a rispondere:
- La signora non è...

- Come osi parlare per me! - Lucilla era furiosa e scatenò la sua ira sulla guardia. - Ricorda di stare al tuo posto, pretoriano. Sei tu che servi me, non viceversa!

La guardia arrossì e mormorò delle scuse prima di inchinarsi profondamente.

Placatosi il suo scatto d'ira, Lucilla si rivolse a Massimo.
- Sarò felice di accompagnare te ed Ercole, Massimo. Rimarremo entro le mura dell'accampamento?

- Naturalmente, mia signora.

Lucilla si voltò verso le guardie.
- Allora non avremo bisogno di voi. Massimo provvederà a proteggermi se necessario. E' chiaro?

Con le labbra strette per la collera, entrambe le guardie annuirono, poi guardarono furiose il giovane soldato con il cane. Una osò parlare.
- Non è nemmeno armato, mia signora.

- Massimo, - Lucilla si rivolse a lui direttamente. - Perché non vai a prendere la tua spada mentre io trovo delle calzature appropriate. Ti incontrerò di nuovo qui tra pochi minuti.

Egli piegò il capo in segno d'intesa, poi se ne andò lasciandosi sfuggire un largo sorriso. Non sarebbe stato prudente far vedere alle guardie infuriate la sua espressione. Camminò velocemente fino alla sua tenda, dove si legò con una cinghia fodero e pugnale prima di inguainare la spada.

- Massimo, - disse la voce dall'entrata.

Il giovane non si diede neanche la pena di voltarsi.
- Sì, Dario?

- Stai attento.

- Starò attento. Guarda come sono armato di tutto punto solo per scortare Lucilla intorno all'accampamento.

Dario sospirò.
- Non intendevo quello.

Ma Massimo non aveva tempo di ascoltare oltre le preoccupazioni dell'amico e lo spinse fuori dall'entrata, andando via di corsa, fischiettando con aria spavalda.

Alcuni minuti più tardi, passeggiava adagio lontano dai quartieri con la più bella donna del mondo appoggiata al suo braccio e il vecchio cane alle calcagna. Sollevò il mento ancora di più agli sguardi invidiosi degli altri soldati mentre superavano file e file di tende.

- E' tutto così organizzato, - osservò Lucilla.

- Deve esserlo. Un esercito deve essere pronto a combattere nel giro di pochi minuti, se necessario, o a togliere l'accampamento in fretta. Ogni cosa è al suo posto e ogni uomo conosce il suo lavoro.

Lucilla guardò il profilo deciso di Massimo. - E qual è il tuo lavoro? Che cosa hai fatto da quando ti vidi in Ispania?

- Molte cose, mia si...

- Massimo, quando siamo soli, per favore, chiamami Lucilla.

- Lucilla. - Gli piaceva quel suono sulla lingua. - Il mio primo lavoro di qualche importanza era signifer, quando avevo diciotto anni... la prima età possibile.

Allo sguardo interrogativo di Lucilla, Massimo spiegò.
- Un signifer porta lo stendardo in battaglia. E' un incarico più importante di quanto sembri, perché il signifer indica il cammino alla legione, in battaglia, e degli uomini sono morti cercando di recuperare lo stendardo di una legione perso in battaglia. E' un simbolo importante di Roma.

- Capisco. Per quanto tempo sei stato signifer?

- Non molto. Le mie poche promozioni che seguirono furono molto rapide. Passai da optio¹ a tesserarius² e adesso sono cornicularius³, o sergente maggiore. Presto servizio agli ordini di Dario. Il prossimo passo è molto importante... centurione, e sono il primo in lizza per la promozione, insieme al mio amico Quinto. Poi ci sono numerosi avanzamenti possibili con quel grado, ed è tutto ciò fino a cui posso aspirare.

- Perché? - Lucilla era sinceramente curiosa.

- Perché bisogna essere nati nei più alti livelli della società romana per diventare tribuno o generale.

- Sei mai stato in battaglia?

- Non ancora, ma credo che accadrà presto. Quando deve arrivare tuo padre?

- Entro una settimana, credo. Si deve fermare per ispezionare le legioni lungo il cammino. Le famiglie sono venute direttamente qui.

- Adesso ci stiamo allenando per simulare una battaglia dimostrativa per lui, quando arriverà.

- Ne prenderai parte anche tu?

- Naturalmente.

La presa di Lucilla si fece più stretta sul braccio di lui. - Sarà pericoloso?

- E' possibile restare feriti. La cosa può farsi molto violenta, perfino quando il nemico sono altri soldati della tua stessa legione.

- Che cosa dovrai fare?

- Dario vuole che Quinto ed io combattiamo l'uno contro l'altro. Siamo abbastanza equamente assortiti, così sarà un combattimento leale.

- Allora non ha veramente importanza chi vince, vero? - domandò Lucilla speranzosa.

- Ha una grande importanza. C'è in gioco l'orgoglio... l'orgoglio dei soldati e dei centurioni che li comandano. - Intuendo l'angoscia di Lucilla, cambiò argomento. - Dimmi che cosa hai fatto tu da quando ti vidi in Ispania.

Lucilla sospirò.
- Non molto.

Massimo smise di camminare e la guardò.
- Non molto?

- Suppongo tu creda che io conduca una vita molto eccitante e affascinante? - Al cenno di assenso della sua scorta ella rise seccamente. - Proprio il contrario. Sono difesa e protetta molto più della maggior parte delle donne della mia età. Sono annoiata a morte. Venire qui è stata la prima avventura che ho avuto dal mio viaggio in Ispania.

- Ma sicuramente incontri un sacco di gente nuova?

- Politici abbastanza vecchi da essere mio padre... - Massimo notò una nota di amarezza nella voce di lei. - ...e le loro tediose famiglie. La gente veramente interessante è nelle strade di Roma e a me non è permesso unirmi ad essa. Forse è per questo che tu mi piaci tanto. - La sua voce era quasi timida, adesso. - Tu sei così vero. Tu hai avuto una vera famiglia. Tu hai amici veri che ti amano per quello che sei, non per ciò che rappresenti. Per molti versi tu conosci la vita molto più di me, Massimo.

Un uggiolio dietro di loro li fece fermare e voltare all'unisono a guardare il cane, che immediatamente si sedette sulle zampe posteriori. Massimo si accovacciò e lo carezzò con dolcezza.
- Non mi ero accorto che ci eravamo allontanati tanto. Comincia ad essere troppo per lui. - Guardò in su verso Lucilla. - Ti dispiace se ci sediamo per qualche istante?

- No davvero. Dove?

Massimo si rimise in piedi e indicò dietro la fila di tende alla sua destra.
- Ci sono dei ceppi piantati ai lati dell'intervallum
4.

- Ti seguo.

Massimo si diresse tra due tende tallonato da Lucilla, ma furono di nuovo fermati da un abbaiare frenetico. Ercole chiaramente non voleva muoversi, ma non voleva nemmeno che i suoi compagni se ne andassero. Lucilla rise quando Massimo ordinò al cane di star zitto, ma senza alcun esito. L'abbaiare continuò finché non ritornarono vicino al cane.

- Cane testardo, - brontolò il giovane.

- E' ovvio che sta soffrendo, Massimo. Perché non lo porti tu? - Lucilla stava scherzando, ma Massimo si tirò il cane vicino ai piedi, si piegò velocemente su un ginocchio, chinò la testa sotto la pancia dell'animale e sollevò lo sbigottito Ercole sulle proprie spalle ampie, con le zampe del cane strette nelle mani al suo petto.

Deliziata, Lucilla applaudì, come fecero gli uomini alla vista dell'attraente giovane coppia.

Massimo chinò la testa con aria fintamente seria, poi si diresse verso la grande zona aperta nel mezzo dell'accampamento, con Ercole sulle spalle che sembrava un mantello di folta pelliccia con una coda scodinzolante. Depositò il cane sul terreno vicino a un ceppo, poi offrì il sedile a Lucilla, prima di scivolare sull'erba ai suoi piedi.
- Almeno non darà la caccia alle pecore, - disse Massimo, accennando agli animali che masticavano l'erba bassa.

- E' qui che verrà inscenata la battaglia?

- Sì, proprio qui.

- A mio fratello piacerà. Gli piace qualunque cosa finisca in ferite o morte. Lo eccita, per qualche motivo. Probabilmente vorrà partecipare. Si crede un vero combattente, sai?

- E' un po' giovane per queste cose.

- Sì, ma tutte le volte va a vederle. Mia madre lo porta ai giochi dei gladiatori e passano l'intera giornata divertendosi a guardar morire la gente. Poi mia madre...

- Sì?

Lucilla scosse la testa.
- Niente. - Guardò oltre le mura dell'accampamento i rami più elevati degli alti alberi. - Che cosa c'è al di là dell'accampamento?

- In quella direzione, il fiume Danubio. E' molto largo e molto profondo... e molto freddo.

- Mi piacerebbe molto vederlo.

- Dubito che mi sarebbe permesso di accompagnarti là fuori. Il nemico è proprio sull'altra sponda del fiume. Qualche volta li puoi sentire la notte urlare tra di loro.

- Massimo, io voglio davvero andare là fuori.

- Forse, se un contingente di pretoriani viene con noi.

- No. Solo tu e io.

- E' impossibile, Lucilla.

- Non sarei al sicuro con te?

Massimo esitò. - Naturalmente. Ma non oltrepasseremmo neanche l'entrata, così non pensarci nemmeno.

Lucilla rimase in silenzio per un momento, poi disse con molta dolcezza.
- Io sono alta come te, Massimo. Non ho le spalle larghe, ma sono alta. Con i capelli infilati sotto un elmo potrei...

- Non pensarci nemmeno.

- Perché no? Oh, Massimo, muoio dalla voglia di un po' di eccitazione nella mia vita. Tu non hai idea di quanto sia brutto essere la figlia di un imperatore.

- Se venissimo presi sarei congedato con disonore... dopo che ogni centimetro di pelle mi fosse strappato dal corpo.

- Non verremo presi.

Massimo restò silenzioso mentre fissava gli alberi lontani, carezzando pigramente con la mano la folta pelliccia del cane. Prendendo il suo silenzio per un cedimento nella sua decisione, Lucilla iniziò con garbo la sua opera di persuasione.
- Non rischierei la tua carriera o la tua sicurezza, Massimo. Lo sai. Ma sono certa che non verremmo presi. Non dobbiamo star fuori per molto.

L'espressione di Massimo restò risoluta.

Lucilla allungò la mano esitante, finché le sue dita sfiorarono i capelli sulla nuca di lui. Il suo tocco leggero fu come un fulmine scagliatogli attraverso il corpo e Massimo rimase come inchiodato a terra, le membra intorpidite. Le dita di lei si mossero in su tra i suoi capelli poi scesero dietro il collo, esplorando la carne sconosciuta. Inconsciamente, egli inclinò leggermente la testa in avanti, incoraggiando la carezza, gli occhi chiusi. Le dita di lei rifecero il loro cammino tra i suoi capelli, poi esplorarono la pelle sensibile dietro un orecchio, facendolo leggermente rabbrividire.

Lucilla si stupì della reazione di lui al suo tocco delicato. Le piaceva l'idea che questo soldato forte e vigoroso potesse sciogliersi un po' con una lieve carezza. Dimentica di possibili osservatori, Lucilla continuò la sua esplorazione del collo di Massimo, usando il pollice e le altre dita per massaggiare gentilmente i muscoli saldi, dall'attaccatura dei capelli alla spalla, finché non poté spingersi più in là sotto la pesante armatura. Si sporse in avanti e avvicinò la bocca all'orecchio di lui, notando che aveva gli occhi chiusi. Sussurrò:
- Perché indossi tutta questa corazza?

La voce profonda di Massimo era sonnolenta.
- Ovviamente per proteggermi da te.
Lei sorrise prima di baciargli rapidamente la pelle sensibile sotto l'orecchio, poi sedette di nuovo eretta, la mano ancora sul collo di lui. Amava la sensazione della pelle di lui... come morbida seta su una roccia. Non aveva mai toccato così un uomo, prima, e non era desiderosa di fermarsi. E questo era l'uomo che lei voleva toccare.

Massimo sospirò profondamente e scosse un po' la testa per scrollarsi di dosso il suo languore, ma sapeva di aver perso la battaglia. Il pollice di Lucilla stava ancora intessendo la sua magia sotto il suo orecchio. In tutte le sue numerose relazioni con le donne del luogo egli non aveva mai provato nulla di simile. Quelle unioni erano state dirette e rapide, senza alcun contatto che non fosse assolutamente necessario. Non aveva goduto di una simile tenerezza da quando era bambino, con sua madre, e ne aveva sentito la mancanza. Non aveva avuto idea di quanto ne avesse sentito la mancanza.

Ancora seduto per terra, si girò per guardarla in viso, tenendole avvinti gli occhi con i suoi. La mano di lei ora si era fermata sulla sua gola e lei sentiva pulsare il battito del suo cuore sotto il palmo. Le sue dita esplorarono la ruvidezza della barba di lui, poi si mossero lungo la linea della sua mandibola per carezzargliela lì dove era più lunga, più morbida. Per un lungo momento nessuno dei due parlò, poi Massimo ruppe il silenzio.
- Il solo modo per far funzionare la cosa è che io entri nel pretorio con un amico. Questo amico ti darà la sua armatura e tu uscirai con me, travestito da lui.

Lucilla fece un largo sorriso.
- Mi piace la tua immaginazione, soldato. - Le dita di lei si mossero sulle sue labbra.

- Il problema sarà trovare un amico abbastanza stupido da farsi coinvolgere in questo piano ridicolo. - Il tono leggero di Massimo smentiva le sue aspre parole ed egli infine afferrò la mano di lei nella propria e baciò dolcemente le sue dita, ad uno ad uno.

- Sono certa che non avrai problemi. - La voce di Lucilla era soffocata.

Massimo scosse di nuovo la testa, interrogandosi sulla propria sanità mentale. Rimise la mano di Lucilla nel grembo di lei.
- D'accordo. Domani notte, appena dopo che ha fatto buio. Sii pronta ad andare.

- Grazie, Massimo. Non vedo l'ora.

Con il grosso cane di nuovo sulle spalle, Massimo e Lucilla ritornarono al pretorio, dove egli la salutò all'entrata. Appena prima di voltarsi, lei sigillò il loro piano con un sorriso e una strizzatina d'occhio.

 

¹ Comandante in seconda del centurione, senza grado di ufficiale. (N.d.T.: cfr. anche il sito Roma Antica)
²
Trasmetteva ai soldati gli ordini del generale. Era responsabile della parola d'ordine. (N.d.T.: idem)
³
Aiutante (N.d.T.: idem)
4 Spazio intercorrente tra due file di tende (N.d.T.)

 

Capitolo 14 - Fuori dalle mura

Lucilla si stava facendo prendere dal panico. Era quasi il crepuscolo e Commodo era ancora sdraiato scompostamente sul suo letto. Era lì da ore e, dapprima, Lucilla era stata indulgente, sapendo che il ragazzo era annoiato quanto lei. Lo aveva intrattenuto con storie sulle grandi conquiste romane e aveva parlato con lui dell'imminente simulazione di battaglia che sarebbe stata allestita quando fosse arrivato il loro padre. Ma adesso doveva proprio andarsene.

- Commodo, caro, mi sento davvero stanca e vorrei ritirarmi.

Egli scivolò più in là nel letto e diede un colpetto allo spazio al suo fianco.
- Puoi sdraiarti qui, Lucilla.

Sebbene avesse solo quattordici anni, il suo desiderio di starle vicino fisicamente faceva sentire Lucilla decisamente a disagio. Costrinse le sue labbra in un sorriso.
- Fratello, è giunto il momento che tu vada nella tua stanza, cosicché io possa ritirarmi.

Commodo toccò la sua veste morbida, che era stata gettata negligentemente sul letto al suo fianco, prima di dire:
- Allora dammi il bacio della buonanotte, sorella, e promettimi che passerai del tempo con me, domani. - Il suo tono cambiò e divenne di accusa, lievemente ferito. - Ieri hai trascorso tutto il pomeriggio con Massimo e mi hai lasciato qui da solo.

- Lo so, carissimo, ma domani farò in modo che Massimo trascorra del tempo con noi due. Ti piacerebbe?

- Possiamo andare a cavalcare?

- Non lo so. Dovrò chiederglielo.

Commodo immediatamente sembrò sospettoso.
- E quando lo vedrai per chiederglielo?

- Gli manderò un biglietto, carissimo. Ora per favore... voglio andare a letto.

Commodo ancora non si mosse, ma girò il viso verso la sorella.
- Non mi piace star da solo la notte.

- Lo so, ma sei attorniato da persone che ti amano, Commodo. Non c'è motivo di aver paura.

Il ragazzo infine gettò le gambe fuori dal letto e Lucilla trattenne il respiro.
- Dammi il bacio della buona notte, - pretese lui. Si avvicinò a sua sorella, che era di una buona decina di centimetri più alta di lui. Come di consueto, ella gli prese le guance tra le mani e gli sfiorò rapidamente la sommità del capo con le labbra.

- Adesso va'.

Riluttante, Commodo si diresse verso la porta e Lucilla trattenne il respiro. Egli si voltò e disse.
- Non dimenticarti di domani.

Lei sorrise. - No, Commodo. Buona notte, fratello.

Se n'era andato. Lucilla non si era accorta di aver trattenuto il respiro finché questo non le sfuggì tutto in una sola volta. Ora doveva solo aspettare che Massimo comparisse con il suo amico. Non dubitava che sarebbe venuto, perché lui le aveva dato la sua parola. Non vedeva l'ora di rivederlo.

 

Il ruolo di Massimo in quell'avventura non era dei più semplici. Aveva trovato un giovane soldato alto e snello e lo aveva convinto a prender parte a quella mascherata, intendendo assumersi pienamente tutta la responsabilità se il loro inganno fosse stato scoperto. Massimo non era per niente sicuro che Petronio avesse capito il potenziale pericolo di ciò che stavano per fare; al contrario, sembrava considerarlo una burla. Il ragazzo idolatrava Massimo e avrebbe fatto qualunque cosa per lui.

I due giovani indossavano le loro tuniche di lana marrone, gambali di cuoio e armatura di metallo. Massimo portava in mano l'elmo, mentre Petronio lo indossava. L'elmo gli copriva il mento e le guance, quasi nascondendogli la faccia.
- Petronio, smetti di sogghignare, - ordinò Massimo, e il giovane subito si sforzò di mantenere un'espressione seria. Entrambi erano disarmati ma Massimo aveva nascosto due spade proprio fuori dall'entrata posteriore dell'accampamento. Come d'abitudine, portava un pugnale nascosto nello stivale.

Sotto il braccio, Massimo teneva stretto un sacchetto di pelle contenente i dettagli per la battaglia dimostrativa preparati dal suo centurione, che Dario gli aveva chiesto di consegnare al generale. Quello era il momento buono per farlo.

Appena dopo il calar del sole, i due soldati si avvicinarono all'entrata del pretorio. Petronio mantenne la testa leggermente abbassata, come gli era stato ordinato da Massimo, e fu solo il suo compagno a parlare. Furono fermati, come previsto, ma autorizzati a passare quando Massimo spiegò la sua missione. Massimo si diresse verso la tenda del generale e Petronio seguì le direttive di Massimo e sgattaiolò via per trovare Lucilla.

Massimo non voleva fermarsi a parlare con il generale, quella sera, così consegnò il sacchetto ad un aiutante di campo, poi tornò sui suoi passi, in direzione dei quartieri di Lucilla, facendo con comodo e salutando i soldati che incontrava lungo il cammino. Nel giro di un sorprendentemente breve tempo fu raggiunto dal suo compagno, che si mise a camminare al suo fianco. Massimo restò un momento raggelato quando un dolce profumo gli solleticò le narici, e pregò che le guardie pretoriane non lo notassero. Distese la mano per segnalare a Lucilla di fermarsi e attese finché l'entrata fu impegnata da uomini che uscivano dal pretorio, poi le fece segno di seguirlo alla svelta. I due si mescolarono agli altri e lasciarono il pretorio senza problemi. Solo allora Massimo osò sbirciarla di sottecchi. Le labbra gli si contrassero quando vide che l'armatura di Petronio le si adattava quasi alla perfezione ed ebbe una visione fugace di una pelle levigata e candida sotto l'elmo. I capelli di lei erano completamente nascosti e, a meno che qualcuno non l'avesse guardata da molto vicino, nessuno avrebbe potuto indovinare che lei era tutto fuorché un giovanissimo soldato.

Massimo disse con calma:
- Seguimi e non dire una parola.
Si diresse verso l'uscita posteriore con Lucilla proprio dietro di sé, così vicina che avrebbe potuto giurare di sentire il calore di lei attraverso le loro armature. Massimo salutò le guardie al cancello ma non fu interrogato, proprio come si era aspettato. Una volta fuori, si legò le due spade con un movimento fluido, poi discesero per un sentiero ben battuto fino al fiume.

Massimo rallentò un po', consapevole che Lucilla non era abituata all'enorme peso del metallo sulle spalle e sentì la mano di lei sfiorare la sua.
- Buona sera, mia signora, - sussurrò.

- Buona sera, signore, - rispose Lucilla, un sorriso nella voce. - E' filato tutto senza intoppi.

- Sì, ma non sarà così facile riuscire a rientrare.

- Ce ne preoccuperemo quando sarà il momento. Massimo, posso togliermi questo elmo tremendo, adesso?

- Non ancora. Non finché ci sarà qualche possibilità di essere visti dalle mura dell'accampamento e finché mi sarò accertato che non c'è nessun altro qui, stanotte. - Egli continuò a scendere per il sentiero, che adesso era diventato più stretto. Canne alte fino alle spalle crescevano lungo ciascun lato e i cespugli al di là apparivano fitti alla luce luminosa della luna. Massimo all'improvviso afferrò la mano di Lucilla e la spinse verso sinistra su di un sentiero strettissimo che lei non aveva neppure notato. Era largo a sufficienza solo per una persona alla volta ed era completamente nascosto dai cespugli e dall'erba alta che li afferrava alle armature e alle gambe.

Massimo poteva udire il respiro affannoso di lei dietro di sé, ma non si fermò, finché raggiunsero una piccola radura e Lucilla si ritrovò a fissare un largo specchio d'acqua che rifletteva la bianca luna piena sulla superficie increspata.

Quando Lucilla restò senza fiato a quella vista, Massimo le tolse l'elmo e lo buttò in terra, prima di prenderle la testa fra le mani, affondando le dita nei suoi capelli finché i riccioli le si riversarono come una cascata sulla schiena. Senza lasciarle la testa, egli attirò il volto di lei vicino al suo e sfiorò dolcemente le sue labbra con le proprie.
- Non so perché, - sussurrò, - ma sei straordinariamente più bella, con l'armatura da soldato.

Lei sorrise di piacere al suo complimento e si appoggiò contro di lui, ma il metallo risuonò contro il metallo e fu come se si fosse appoggiata ad un palo. Massimo rise sommessamente e disse:
- Seguimi.

In pochi passi raggiunsero una piccola spiaggia circondata da alti alberi i cui rami si allungavano sopra l'acqua. Alla base di uno dei tronchi si trovavano delle rocce larghe e piatte. Mentre Lucilla fissava il fiume, Massimo le slacciò in fretta la corazza e gliela tirò via, poi si tolse la propria, deponendole entrambe con cautela vicino alle rocce. Lei si gettò nelle sue braccia, i seni premuti contro il suo petto. Un braccio forte le circondava la vita e l'altro le premeva contro la schiena, la mano di lui le sosteneva la testa quando le dischiuse le labbra con le sue per un tenero bacio. La baciò ancora e ancora, finché Massimo la sentì tremare. Premette il volto di lei contro la propria spalla e la strinse forte tra le braccia.
- Che cosa c'è, tesoro?

- Non ero mai stata baciata prima, - rispose lei con voce soffocata. - Nessun uomo aveva mai osato.

- Ho oltrepassato i miei limiti?

Lucilla sollevò la testa e lo guardò negli occhi adombrati.
- No. - Sorrise. - Speravo che lo facessi. Solo, non immaginavo quanto sarebbe stato meraviglioso. - Gli accarezzò la guancia con il dorso delle dita. - Vorrei che il mondo si fermasse in questo preciso istante e restassimo per sempre in questo luogo. Solo noi due. - Si strinse a lui e dischiuse le labbra, invitandolo ad un altro bacio.

Invece, Massimo le prese la mano e la condusse alla roccia piatta sotto la grande quercia, dove egli sedette con la schiena contro il tronco, divaricando le ginocchia piegate. Ella si sedette subito tra le sue gambe e appoggiò la schiena contro il suo ampio petto, la testa contro la sua spalla. Le braccia di Massimo le cinsero la vita proprio sotto i seni e lei avvolse le proprie braccia intorno a quelle di lui.

Rimasero in silenzio per un po', ascoltando i suoni della notte: le onde sciabordanti, il verso di un gufo in lontananza, la brezza che mormorava tra gli alti rami sopra di loro.

Lucilla girò il volto verso quello di lui.
- Mi hai chiamata tesoro.

- Sì.

- Perché?

Massimo scrollò le spalle.
- Perché lo sei.

- Ben poche persone mi chiamerebbero così. Alcuni mi considerano irascibile e manipolatrice.

- Be', ne ho visto un accenno nel modo in cui hai trattato le guardie pretoriane l'altro giorno, ma devo ammettere che mi è alquanto piaciuto. Li hai sicuramente rimessi al loro posto. Tuttavia, con me, non sei stata altro che un tesoro.

- Mi sento così diversa quando sono con te. Massimo, sono così sola, tranne che con te. Sarai sempre qui per me, vero?

- Sì.

- Me lo prometti?

- Sì, te lo prometto. - Massimo le baciò la punta del naso, poi le mise un dito sotto il mento sollevandole il volto per un altro bacio. Lei lo colse di sorpresa ruotando il corpo fino a che un seno premette contro di lui e dischiuse la bocca senza esitazione. Questa volta Massimo sfiorò la punta della sua lingua con la propria e fu felice di udirla ansare ma non ritrarsi. Approfondì il bacio finché le loro lingue s'intrecciarono ed egli attirò dolcemente quella di lei nella propria bocca. Lucilla ricambiò prontamente e il bacio divenne selvaggio e appassionato.

Quando egli cominciò a ritrarsi, Lucilla gli prese il viso tra le mani chiedendo che il bacio continuasse. Mentre la lingua di lui le esplorava la bocca, egli spostò la mano sulla sua schiena, poi intorno al suo fianco, finché si fermò a coppa sul seno. Lucilla gemette e Massimo scivolò scomodamente sulla roccia. Il cervello gli mandava segnali d'avvertimento perché si stava spingendo troppo in là, ma il suo corpo si rifiutava di tenerne conto.

Senza interrompere il bacio, la mano di Lucilla febbrilmente sollevò l'orlo della tunica di lui, poi vagò sotto la stoffa finché le dita trovarono la pelle levigata della sua schiena. Lui fremette quando gli fece scorrere le unghie sulla pelle. Staccò la bocca ansimando in cerca d'aria e le labbra di Lucilla raggiunsero la sua gola, mentre la mano di lui lasciava il suo seno per cercarle alla cieca l'orlo della tunica.

All'improvviso, Massimo si raggelò. I suoi occhi si erano aperti per un momento, ma era stato sufficiente per mettere in allarme il suo cervello di soldato.
- Lucilla, fermati! Fermati! - mormorò rauco. - Abbiamo visite.

Sconvolta, Lucilla si girò tra le sue braccia per seguire il suo sguardo attraverso il fiume, dove vide qualcosa di scuro sull'acqua che si stava muovendo verso di loro molto rapidamente.
- Che cos'è?

- Una zattera. - Massimo si stava già sistemando il vestito ma i suoi occhi non lasciarono mai la forma scura. - Quattro, forse cinque uomini... germanici. Con l'intenzione di spiare, presumo. Sono troppo pochi per un'imboscata, ma potrebbero essere una pattuglia di ricognizione. Non possono vederci sotto quest'albero e non si aspettano di trovarci qui, ma saremo nei guai quando lo faranno. Lucilla, non ho tempo di riportarti dentro le mura dell'accampamento. - Massimo maledisse la propria stupidità per averla portata lì fuori. - Mettiti in fretta l'armatura, rannicchiati dietro questa roccia e resta lì. Non fare rumore, qualunque cosa accada. Mi hai capito? Qualunque cosa accada.

- Vai a chiedere aiuto?

- Non c'è tempo. Prima che sia tornato indietro con i rinforzi, quelli potrebbero essere ovunque nei boschi e non li troveremmo mai. Devo poterli tenere d'occhio. Ora fa' come dico e non fare rumore. - Massimo la spinse via da sé un po' rudemente, le sollevò l'armatura sopra la testa e gliela legò strettamente, poi le mise l'elmo senza curarsi dei riccioli che le si riversavano ancora sulla schiena.

Mentre lei si nascondeva dietro la roccia, Massimo si era messo l'armatura, tranne l'elmo, e due spade erano strette minacciosamente nella sua mano destra. Sembrava che finalmente stesse per sperimentare un vero combattimento in una notte in cui aveva sperato tutto fuorché quello.

 

Capitolo 15 - L'attacco

Con due spade strette in una sola mano, Massimo saltò sul ramo più basso della quercia e si sollevò con le braccia sui rami dalle foglie germogliate da poco. Poi si arrampicò velocemente più in alto finché ebbe una buona visuale della spiaggia e dell'acqua al di là di essa. Prima di poter decidere che cosa fare doveva sapere con che cosa sarebbe venuto alle prese.

Mentre la zattera si avvicinava silenziosamente, riuscì a contare quattro uomini, ognuno con una spada ma senza scudo. Sembrava che avessero armi leggere per viaggiare in silenzio e velocemente attraverso la foresta... e per scalare le mura dell'accampamento. Gli uomini erano enormi, parve a Massimo. Almeno la sua altezza e due spanne più alti. Sapeva che il solo modo per sconfiggere il gruppo era attaccarlo di sorpresa, il che avrebbe lasciato almeno due morti.

Mentre si avvicinavano rapidamente, Massimo cercò di distinguere l'uomo che doveva essere il capo del gruppetto, perché quello era l'uomo che voleva per primo. Eliminare lui poteva gettare gli altri nello scompiglio. Due uomini stavano remando e uno era seduto, mentre un altro stava in piedi e faceva dei segni agli altri. Quello era il suo uomo.

Scegliendo un ramo robusto, Massimo si spostò lentamente su di esso, finché fu vicino all'estremità, l'addome appiattito contro il legno sottostante, entrambe le braccia libere. Bilanciò una spada nella mano destra e attese che la zattera entrasse nel suo raggio d'azione.

Il suono di una spada in volo arrivò troppo tardi per mettere in allarme i germanici, i quali alzarono la testa in tempo solo per vedere il balenio del metallo roteare nell'aria prima che andasse a conficcarsi con ferocia nel cuore dell'uomo in piedi. La bocca spalancata in un grido silenzioso, egli cadde fuori dalla zattera con un tuffo.

Gli altri balzarono in piedi con le armi sguainate, ma non riuscirono a vedere il loro nemico. Massimo li udì discutere violentemente, probabilmente per decidere se sbarcare e combattere quel nemico invisibile o tornare indietro attraversando il fiume. Sfortunatamente per loro, fecero la scelta sbagliata.

Freneticamente adesso, remarono per raggiungere la riva, balzando in acqua quando ancora arrivava alla loro vita. Trascinarono la zattera dietro di sé e la tirarono a riva, poi rimasero ritti schiena contro schiena, grondanti, le spade sguainate, cercando Massimo con occhi, orecchie e nasi. Massimo quasi sorrise. Dubitava che potessero sentire il suo odore, ma di sicuro lui sentiva il loro. Quasi senza fretta, Massimo scelse la sua vittima successiva. Non era l'uomo più grosso, ma era nella posizione giusta per quello che il giovane intendeva fare. Estraendo silenziosamente il pugnale dallo stivale, Massimo lo scagliò verso il basso con tutta la sua forza e l'uomo più vicino a lui cadde come un sasso, il pugnale conficcato nel collo.

Stringendo in mano l'arma che gli restava, Massimo saltò a terra, rotolò e tornò in piedi acquattandosi, un ringhio furioso nella gola. I due uomini rimasti si voltarono velocemente per affrontarlo e uno sorrise compiaciuto quando capì che il soldato romano era solo. Quello fu il primo che Massimo assalì. Roteando in alto la spada, la abbassò verso il collo dell'uomo, ma questi si spostò rapido per deviarla e il metallo incontrò il metallo.

Massimo si mosse veloce come un lampo per liberare la spada e stavolta la spinse verso l'alto, ma anche questa mossa fu deviata. Mentre combatteva con un uomo, con cautela teneva d'occhio l'altro, che cercava di portarsi in posizione dietro di lui per attaccarlo da due lati. Massimo cambiava continuamente posizione per tenere in vista entrambi gli uomini e nel frattempo bilanciava la pesante spada. Erano uomini ben addestrati e Massimo capì che si sarebbe avvantaggiato solo quando uno di loro avesse fatto un errore.

Per Massimo fu difficile guadagnare terreno solido sotto i piedi mentre girava di scatto il corpo e la spada da una direzione all'altra, tenendo i due uomini a distanza. Adesso era lui a stare sulla difensiva e gli altri erano in vantaggio. Continuava a parlare in tono iroso e a imprecare con rabbia, sperando di innervosire i suoi avversari, ma questi andavano acquistando sicurezza. Spostando la spada da una mano all'altra per conservare energia, Massimo si rese conto che lo stavano facendo indietreggiare verso l'acqua, dove le onde avrebbero infiacchito i suoi movimenti. Disperatamente, si scagliò in un arco basso contro un uomo, il braccio steso in fuori che tagliava l'aria con forza, e fu soddisfatto di udire l'uomo urlare e di vederlo mollare la spada, afferrandosi in basso la gamba con un grido di agonia.

Ventre a terra, Massimo afferrò la spada del ferito e rotolò via poco prima che l'uomo ancora in piedi seppellisse la spada nella sabbia, proprio dove Massimo si trovava qualche istante prima. Egli fu in piedi in un attimo, con una spada in ciascuna mano adesso, menando colpi avanti e indietro minacciosamente. Per la prima volta vide l'incertezza sul viso dell'altro uomo e lanciò il suo attacco facendolo arretrare verso l'acqua. Quando l'uomo, che adesso era atterrito, incespicò, Massimo fu su di lui, affondandogli una spada nel collo. La lama ne uscì con un gorgoglio mentre l'uomo lentamente scivolava in ginocchio, gli occhi morti spalancati e fissi. Cadde a faccia in giù nell'acqua scura del fiume.

- Massimo! Dietro di te!

Il giovane si girò di scatto, in tempo per vedere il germanico ferito balzare verso di lui con un urlo terrificante. Cadendo all'indietro nell'acqua a causa dell'urto, proprio sopra l'uomo morto, Massimo perse la presa su una spada, che affondò in fretta. Un pugno gli si abbatté sulla mandibola facendogli vedere le stelle, ma tenne stretta la sua seconda spada e con l'elsa colpì con forza l'uomo sotto il mento. Questi vacillò all'indietro dando momentaneamente a Massimo il tempo di riprendersi, ma si stava ancora tirando in piedi quando fu attaccato di nuovo. Questa volta finirono entrambi in acqua e vennero su sputacchiando. Massimo aveva ancora la spada ma nell'acqua sembrava uno svantaggio, così la lasciò andare e con il pugno colpì con forza il naso del suo nemico, una volta, due volte. Udì lo scricchiolio quando l'osso andò in frantumi e il sangue sprizzò su entrambi.

Massimo diede un calcio all'uomo sanguinante facendolo cadere, poi gli saltò addosso spingendolo a faccia in giù nell'acqua. Tenendogli una mano dietro il collo, Massimo usò tutto il suo peso per trattenervelo sotto finché il germanico cessò di dibattersi e le bolle d'aria smisero di salire in superficie.

Esausto e intirizzito rimase in piedi con l'acqua fino ai fianchi guardando la superficie. Dietro di sé udì Lucilla che lo chiamava e finalmente si voltò e si fece strada faticosamente fino alla spiaggia. Immediatamente, lei lo abbracciò facendogli scorrere le mani su tutte le parti del corpo che riusciva a toccare, cercando eventuali ferite.

- Sto bene. Non sono ferito.

A quelle parole rassicuranti Lucilla cominciò a singhiozzare e Massimo la premette con dolcezza contro il proprio corpo bagnato, la fredda armatura tra di loro. Si rese conto che probabilmente per lei era stato tanto difficile rimanere a guardare quel che era avvenuto sulla spiaggia quanto per lui l'avervi partecipato. Tuttavia... lui aveva ucciso degli uomini quella notte. Aveva ucciso degli uomini.

Aveva ucciso degli uomini.

Durante l'addestramento, un giovane soldato qualche volta si domandava se davvero avrebbe potuto farlo, e Massimo aveva superato quella prova. Adesso sapeva che avrebbe potuto uccidere degli uomini se necessario.

Lucilla ora stava piangendo sommessamente.
- Non ho mai visto niente di così terrificante... o di così meraviglioso. Massimo, eri stupefacente.

- Be', in questo momento sono solo infreddolito e stanco. Devo riportarti all'accampamento e fare rapporto su questo incidente. E' un bene che il vento soffi verso sud stanotte o mezzo accampamento avrebbe udito la lotta e si sarebbe precipitato qui in un attimo.

Lucilla usò la sua manica per detergere con delicatezza il sangue dal volto di lui, poi lo baciò sulle labbra prima di prendergli il braccio e dirigersi verso il sentiero.

- Aspetta un attimo. Raccogli i capelli sotto l'elmo. Sei di nuovo Petronio, ricordi? - Massimo rise. - Poveretto. Deve chiedersi dove diamine siamo finiti.

Mentre Lucilla si sistemava i capelli Massimo disse:
- Quando dirò alle guardie all'entrata che cosa è successo ci sarà un bel po' di confusione. Quando accadrà, vai dentro e scambiati con Petronio più in fretta possibile. Spiegagli brevemente che cosa è successo e digli di incontrarsi con me immediatamente per ulteriori istruzioni. Fino a quel momento deve tenere la bocca chiusa. E' tutto chiaro?

- Perfettamente chiaro, signore. - Lucilla s'inchinò leggermente, in segno di obbedienza.

- Non essere impertinente, - borbottò Massimo mentre infilava sotto l'elmo un ricciolo errabondo. La baciò rapidamente poi la condusse per il sentiero dietro di sé. All'entrata tutto accadde come Massimo aveva detto e Lucilla volò verso la propria tenda, il cuore che le batteva forte per l'eccitazione e l'amore per quel giovane soldato che aveva completamente catturato il suo cuore.