La Storia di Glauco: Capitolo 86

 

Capitolo 86 - Clara

Glauco fu riscosso dalle sue riflessioni dal cigolio dei cardini della porta ed alzò lo sguardo, vedendo una Clara molto diversa che camminava verso lui. Si era sciolta i capelli, allontanandoli dal viso con un nastro blu legato dietro le orecchie. Essi le scendevano sulla schiena come una cascata, fino alla vita snella, in ricche e lucenti onde color mogano, che fluttuavano ad ogni suo passo. Le sue mani stringevano uno scialle celeste che si era drappeggiata sulle spalle e la cui frangia le solleticava i polsi. Quel colore enfatizzava e celebrava le rosse tonalità nei suoi capelli. Le sue guance sembravano più rosee, i suoi occhi color miele più luminosi, ed il suo passo più leggero.

Glauco si alzò per salutarla e tese la mano per aiutarla a sistemarsi sul masso. Lei stava per accettare la sua gentilezza, poi si morsicò il labbro ed allontanò la propria mano, ripiegandola nello scialle. Glauco sapeva che era imbarazzata per la pelle ruvida e le unghie spezzate, risultato del suo lavoro molto duro, così si limitò a sorridere per celare il disagio di lei.
- Sei molto graziosa, - disse tornando a sedersi. - Quel colore ti dona molto.

Ella esitava ad incontrare il suo sguardo o ad accettare il complimento.
- Lo comprai con un po’ del denaro che mi lasciasti tu. Non costava molto. Lo acquistai da un venditore ambulante, in città, la scorsa primavera. Questa è la prima volta che lo indosso.

- Desideravo che spendessi quel denaro per te stessa. Ti meriti cose belle. - Egli guardò il granaio cadente, poi di nuovo lei. - Che cosa è successo all’asino? E’ morto?

- No… ho dovuto venderlo.

Glauco aggrottò leggermente la fronte e lei spiegò, piuttosto sulle difensive.
- Mio padre aveva bisogno di molte cure mediche per la sua anca, poi di molte medicine per il dolore continuo. Tutto ciò costava molto, tutto il denaro che lasciasti tu e anche dell’altro. - Cambiò rapidamente argomento. - Non voglio parlare della mia situazione. Raccontami quello che ti è successo da quando sei stato qui. Hai trovato Lucio?

- Sì.

- E?

- E’ un buon amico, ma non è mio fratello... non è figlio di Massimo.

- Quindi... mio padre mentiva.

Egli annuì.
- Chissà cosa fu a fargli dire quelle cose. Ma non importa. Ora conosco tutta la verità.

Clara studiò il suo viso mentre egli parlava e notò nuove pieghe ai lati della bocca e tra le sopracciglia, la cicatrice sulla fronte e la leggera gobba sul naso. Qualunque cosa avesse fatto, ovunque fosse andato, non era stato facile per lui.
- Dimmi di più, - lo esortò, appollaiandosi sul masso accanto a quello di lui.

- Sì, mi piacerebbe raccontarti tutto. Ogni dettaglio. Ma adesso non posso perché sono troppo preoccupato per te.

Clara si sforzò di sorridere e gettò indietro i capelli.
- Io sto bene.

- Non è vero. Sei più magra di quando ti vidi l’ultima volta, la fattoria è in cattivo stato e non hai provviste per superare l’inverno. Clara, non puoi restare qui.

- Mio padre… - cominciò a protestare.

- Lo so che non lascerai tuo padre. Non ne voglio nemmeno discutere, ma non potrebbe essere trasferito in città, dove sarebbe molto più vicino alle cure mediche?

- Dove in città?

- Alla locanda.

Clara era incredula.
- Glauco, io non posso permettermi una stanza alla locanda né le cure mediche!

- No, ma io posso.

Ella si alzò all’improvviso e gli rivolse la schiena, l’intero corpo atteggiato ad una rigida linea di caparbietà.
- Perché dovresti farlo? Tu odi mio padre.

- No, non lo odio. Non odio nessuno, non più.

Il corpo di lei si rilassò un pochino.

- Ora è tutto passato. E’ storia ormai. Nessuno può cambiare il passato. E’ tempo di dimenticare e di guardare al futuro.

Ella si strinse di più nello scialle.
- Non voglio la carità.

- Non sto offrendo carità. Voglio semplicemente aiutare un uomo che era un vecchio amico di mio padre e voglio vedere un sorriso sul bel volto di sua figlia.

Ella voltò leggermente la testa nella sua direzione, pronta ad ascoltare la sua proposta, ma non totalmente pronta ad accettare la sua offerta.

Glauco le prese un ricciolo e passò dolcemente le dita tra le seriche ciocche. Lei rabbrividì.
- Abbiamo molto in comune, tu ed io. Le vite dei nostri padri furono inesorabilmente intrecciate e le nostre vite, fino ad ora almeno, sono state governate dalle loro… le loro scelte, i loro difetti, i loro successi. Noi, d’altra parte, non abbiamo avuto proprio alcuna scelta. Io dovevo scoprire che cosa era accaduto a mio padre, il che mi ha costretto alla vita nomade degli scorsi anni. E tu eri destinata ad aver cura di tuo padre, qui, in un angolo solitario di Gallia. Ma ora mi sembra che entrambi abbiamo adempiuto ai nostri destini e siamo finalmente liberi di fare le nostre scelte.

C’erano lacrime nella voce di lei quando finalmente parlò.
- Io non sono libera.

- Non ancora. Presto.

- Tuo padre morì da eroe. Il mio morirà in disgrazia.

- Questo non si riflette su di noi.

- Davvero? Tu puoi proclamare la tua eredità mentre io mi sento costretta a negare la mia. Io mi vergogno del mio vero nome.

La mano di Glauco si spostò dai capelli di lei allo scialle e glielo strinse gentilmente finché lei finalmente si voltò a guardarlo in viso, gli occhi umidi.
- Allora cambia il tuo nome, - bisbigliò lui.

- In che cosa?

- Nel mio.

La calma di Clara finalmente cedette e lei scoppiò in singhiozzi.
- Non sai quel che dici.

- Certo che lo so. Ho pensato molto a te nei mesi trascorsi da quando venni qui. Ogni donna che vedo… la paragono a Giulia, o a mia sorella... o a te.

Ella prese a tremare. Egli cercò di tirarla più vicina a sé ma ella resisté.

- Clara, tu hai davvero molte qualità che io ammiro. Sei forte, intelligente, piena di risorse, indipendente, vivace e tenacemente leale.

- Mi fai sembrare un soldato, - singhiozzò lei.

Glauco rise.
- Sei anche molto bella e vitale e tenera e affettuosa... una vera donna... non un soldato.

Lei ancora rifiutava di andare da lui.

Lui continuò a cercare di persuaderla.
- Io non voglio una di quelle donne viziate, profumate, imbellettate che ho visto a Roma. Noi siamo fatti l’uno per l’altra, tu ed io. Siamo entrambi contadini, sebbene a me piaccia esserlo e suppongo che tu l’odi.

- No, non l’odio, - disse lei con una vocina. - E’ solo che è sempre stato così duro e solitario.

Glauco si alzò dal masso e le strinse le spalle dolcemente poi le mise le labbra vicino all’orecchio e bisbigliò:
- Non è necessario che sia duro o solitario. Alla mia fattoria ci sono molti braccianti che si dividono il lavoro e la casa è piena di donne e bambini.

- Bambini?

- Sì. Molti lavoranti sono sposati. Gli uomini lavorano i campi e le donne si danno da fare in cucina o come massaie. Hanno bambini che frequentano scuola sulla mia proprietà ed aiutano i loro genitori dopo gli studi. E ci sono cavalli, pecore, capre, polli, ogni genere di animali da fattoria. I campi sono stracolmi di grano. Gli alberi sono carichi di mele e pere. Le viti profumano l’aria. E’ un bel posto e fa molto più caldo che qui.

- Sembra meraviglioso. - Clara gradualmente si lasciò andare contro il suo petto ed egli la avvolse tra le braccia, poi le posò la guancia sul capo.

- Lo è... ma voglio qualcuno con cui condividerlo.

- Vorrai dei bambini.

- Qualcuno, se possibile.

Lei sospirò.
- Glauco, io sono vecchia.

Lui la scosse dolcemente.
- Che sciocchezza.

- Sono più vecchia di te.

- E allora?

- Tu hai bisogno di una ragazza che ti dia dozzine di bambini.

- Io non voglio dozzine di bambini. Si prenderebbero fin troppo del tempo di mia moglie ed io voglio che lei passi il suo tempo con me.

Lei chiuse gli occhi e strofinò la guancia contro il suo petto.
- Sembra incredibilmente meraviglioso... quasi come un sogno. - Come uno dei suoi sogni. Da quando se n’era andato aveva sognato di lui ogni giorno, da sveglia e nel sonno.

- Non è un sogno. E’ proprio vero, assolutamente possibile. I miei zii, i miei cugini ed un mio amico sono venuti con me e alloggiano alla locanda. Possono aiutarci a portare tuo padre in città, dove potrà stare comodo, al caldo e all’asciutto per i giorni che gli restano. Io assumerò qualcuno che lo assista. Anche tu starai alla locanda. - Guardò la casa oltre la testa di lei. - Non vale la pena riparare questo posto. - Lanciò un’occhiata alle cime degli alberi dove le foglie mostravano le prime sfumature di giallo. - Presto farà freddo e laggiù potrai stare al caldo. Ci sarà del buon cibo per te.

- E... e... tu ritornerai in Ispania?

- No, rimarrò qui con te. I miei parenti ritorneranno in Ispania… alle loro famiglie. Noi potremo fare delle passeggiate e conoscerci meglio. Io ti potrò raccontare tutto quello che mi è accaduto. Sembra che avrò bisogno di tempo per persuaderti a diventare mia moglie.

Lei scoppiò in lacrime e seppellì il viso nel suo petto.
- No… no... - singhiozzò.

Le speranze di lui precipitarono.
- No… non andrai in città?

- No, - tirò su dal naso. - Non ho bisogno di tempo per decidere. Voglio stare con te. Voglio essere tua moglie.

 

Due giorni dopo Brenno apriva il cammino mentre Tito, Persio, Tacito e Claudio discendevano a fatica e con attenzione il sentiero scosceso e tortuoso dalla fattoria al villaggio, bilanciando cautamente la barella in tela di canapa che trasportava Quinto, avvolto in fasciature, il quale semplicemente teneva gli occhi chiusi e si sottoponeva in silenzio a quegli arrangiamenti. Glauco e Clara li seguivano, Glauco conducendo Ultor, che portava sacchi e pacchetti pieni di cose della fattoria che avessero un qualche valore, sentimentale o altro, come i tappeti intrecciati a mano da Clara. I due giovani erano rimasti sempre più indietro, tenendosi per mano dove il sentiero era abbastanza largo da permetterlo e scambiandosi brevi baci quando si fermavano, il che accadeva ogni pochi minuti.

Ultor sbuffava impaziente alle loro assurdità.

Le loro risatine si sollevavano sulla pista, perdendosi tra le cime degli alberi e Glauco sapeva che da qualche parte, lassù, in alto, Massimo sentiva la loro risata... e sorrideva.

 

FINE