La Storia di Glauco: Capitolo 84

 

Capitolo 84 - Il pretorio

La sua mente era in tumulto… una metà inveiva contro la sua stupidità e l’altra metà lo incitava istintivamente ad agire. Ma la sua inquietudine riguardo gli affreschi trionfò sulla cautela per la propria sicurezza ed egli attraversò il cancello e lo chiuse dietro di sé. I cardini arrugginiti annunciarono il suo arrivo. Rapido, si rifugiò contro il muro dell’edificio più vicino, incollandosi contro di esso mentre tentava di controllare la respirazione. Le sue nocche erano bianche attorno all’elsa della spada. La spada di un pretoriano… non quella di suo padre.

La spada di Massimo.

Plauziano aveva anche quella?

Quella nuova ansia lo spronò un’altra volta all’azione ed egli sfrecciò da un rifugio d’ombra all’altro, senza incontrare resistenza, finché vide l’angolo della casa del generale appena oltre l’edificio dove ora si trovava lui. Si passò sugli occhi il dorso della mano per rimuovere il sudore pungente e fu sorpreso di trovarla serrata in un pugno. Si costrinse ad aprire le dita e le fletté, poi fece lo stesso con le ginocchia. Non poteva permettersi di essere ostacolato dalla propria rigidità. Inspirò a fondo per tre volte, quindi scrutò il muro della casa che Giovino aveva costruito per suo padre. Sembrava senza vita, avvolta nel silenzio. La disperazione lo spronò di nuovo ad agire subito, ma la sua ragione questa volta vinse ed egli rimase fermo, valutando la situazione da cima a fondo.

Un fioco bagliore cominciava ad illuminare il cielo ad oriente e Glauco comprese che presto sarebbe sorta l’alba. La luce crescente avrebbe aumentato o ridotto le sue opportunità con Plauziano? Anche se Glauco era già stato in quel luogo, egli non conosceva ogni angolo o crepa, come era invece probabile che Plauziano conoscesse, e Glauco decise che l’alba gli avrebbe dato un distinto svantaggio. Ancora una volta spronato ad agire, si lanciò attraverso la strada e si appiattì contro il muro della casa, poi strisciò lentamente lungo le pietre grigie fino a raggiungere un altro angolo. Guardando in su vide le alte finestre della camera da letto di suo padre… e una calda luce che vi brillava all’interno.

Plauziano era là dentro. Non v’era più alcun dubbio.

Glauco si mosse in punta di piedi lungo il muro sotto le finestre finché raggiunse il davanti della casa e la porta… lasciata aperta. Come l’ammaliante canto d’una sirena, la porta aperta lo invitava  inesorabilmente ad avanzare, fino alla soglia, la spada stretta in mano appoggiata contro il torace. Là, sul pavimento al centro dell’atrio, c’era la corazza di cuoio da gladiatore di suo padre, con le figure d’argento scolpite che rilucevano simili all’oro, illuminate dalla luce gialla della torcia che ardeva oltre la porta aperta della camera di suo padre. La corazza era l’esca che avrebbe offerto a Plauziano una facile preda. Glauco si costrinse ad ignorarla.

Cautamente, con le dita dei piedi si sfilò i sandali, uno alla volta, assicurandosi in tal modo il silenzio assoluto che i piedi nudi gli avrebbero concesso. Sgusciò senza rumore nell’atrio e aderì al muro intonacato. Sentì il suo corpo pieno d’energia… carico… pronto alla lotta. Tutti i suoi sensi erano rivolti a quella porta aperta e a quella tremolante luce gialla. Quella notte soltanto uno di loro avrebbe lasciato vivo quella casa, e lui lo sapeva. I suoi muscoli si allentarono e rinvigorirono allo stesso tempo. La sua respirazione si fece regolare e più profonda, portando ossigeno a tutto il corpo. Il sangue gli correva nelle vene e si sentì avvampare il viso. Era pronto. Si mosse con la furtiva agilità d’una pantera fino alla porta aperta della stanza da letto di suo padre; sbirciò attraverso lo spiraglio tra la porta e lo stipite. Plauziano era in piedi, con la schiena rivolta all’ingresso, in una ostentazione di noncurante disprezzo. Stava osservando qualcosa sul muro opposto e Glauco capì che era l’affresco di Massimo.

- Davvero magnifico, vero? - disse Plauziano rivolgendosi all’affresco, ma Glauco sapeva che le parole erano indirizzate a lui. - Appare glorioso su quello stallone. Così imponente, così maestoso. Sarebbe stato un eccellente imperatore, non credi? - schernì Plauziano.

Un’altra esca a cui Glauco rifiutò di abboccare.

Plauziano lentamente si voltò ed il cuore di Glauco mancò un battito quando egli vide la spada di suo padre in mano al pretoriano. Plauziano la girò e rigirò lentamente e la lama catturò la luce della torcia, lanciando lampi d’oro puro. - E questa spada è proprio un bel ricordo, non credi? Immortalata nell’affresco, non v’è dubbio che apparteneva a Massimo… dono ad un generale venerato, - Plauziano sorrise beffardamente, - da parte del suo grato imperatore. Che storia meravigliosa quella di Marco Aurelio e del suo erede prescelto. Ma naturalmente noi sappiamo ciò che accadde dopo, vero? Ed ora tutto ciò che abbiamo del grande uomo è questo affresco e alcune vestigia di generale, come questa spada. Che peccato che tutto verrà distrutto, insieme all’unico suo discendente ancora in vita. Cancellato per sempre dalle cronache dell’Impero Romano come se non fosse mai esistito.

Glauco si sentì martellare la testa per la violenta pressione del sangue che gli circolava nelle vene e strinse la mascella per la collera furente che lo investì.

- Ma poi, tu non usi neanche il suo nome, vero? Preferisci invece l’anonimo ‘Glauco’, così pochissimi sapranno mai della tua scomparsa e della fine della discendenza di tuo padre, ed ancor meno se ne cureranno. - Plauziano si rivolse di nuovo all’affresco e uscì dalla visuale di Glauco mentre continuava a parlare. - Sì, l’affresco e la spada possono essere distrutti facilmente. - Rise aspramente. - Ma non sarebbe un’enorme ironia se fosse proprio la spada di tuo padre a rimuovere l’intonaco del suo stesso affresco prima che anch’essa venga distrutta nell’incendio furioso che brucerà questa casa fino alle fondamenta?

Quando un pezzo di intonaco colorato volò nell’aria, colpendo il pavimento di marmo e scivolando fuori della sua visuale, Glauco non riuscì più a contenere la rabbia e si scagliò oltre l’ingresso, finendo lungo disteso nel momento in cui il suo piede inciampò nel filo che era stato teso in basso tra gli stipiti della porta. Riuscì a rotolare sulla schiena un attimo prima che la spada di suo padre gli si abbattesse addosso, brandita da un pazzo assetato di vendetta. Parò il colpo e le lame d’acciaio temprato cantarono in un’armonia perfetta prima di scivolare inoffensivamente di lato. Grugnendo, Glauco si rimise in piedi, preparandosi ad evitare un altro colpo. E questo venne rapidamente, guidato dalla forza di entrambe le braccia del pretoriano. Glauco si chinò e colpì il torace di Plauziano, ma la sua lama si limitò a scivolare sull’armatura.

Glauco colpì il suolo e rotolò, usando la sua maggiore velocità per rimettersi in piedi sul lato destro del suo nemico, tanto che Plauziano trattenne il fiato. Glauco saltellò sulle punte dei piedi cercando una lacuna nella difesa dell’uomo. E poi vide una benda insanguinata avvolta attorno alla gamba dove la freccia di Tacito aveva lasciato il segno. Glauco si tuffò e affondò allo stesso tempo, e la sua spada penetrò la carne e colpì l’osso. Plauziano gridò e si piegò in due, esponendo il collo indifeso. Anche se barcollando leggermente, Glauco colpì con la lama la pelle esposta, aprendo una ferita da cui immediatamente sprizzò sangue cremisi. Le mani del pretoriano batterono l’aria e la spada di Massimo volò attraverso la stanza atterrando con fracasso e scivolando contro il muro opposto. Glauco scattò verso di essa, ma Plauziano gli saltò sulla schiena, costringendolo ventre a terra con un grido soffocato di dolore. Glauco lottò per respirare, schiacciato sotto il considerevole peso del comandante pretoriano, la sua spada intrappolata sotto di sé e l’altra fuori della sua portata. Plauziano affondò le dita nei capelli di Glauco e gli tirò indietro la testa, scoprendogli la gola vulnerabile, ma l’unica arma che Plauziano aveva adesso erano i suoi stessi pugni, così sbatté la testa di Glauco sul pavimento di marmo, ancora e ancora.

Migliaia di stelle esplosero davanti agli occhi di Glauco, mentre cercava di raggiungere la spada di suo padre, incapace ora di vedere qualcosa di diverso da luci accecanti e sangue, che gli colava dalla fronte negli occhi. La sua testa fu tirata di nuovo indietro. Glauco sapeva che presto avrebbe perso conoscenza e che non si sarebbe svegliato mai più. Ma le sue dita trovarono il loro obiettivo ed egli usò tutta la sua restante forza per scaraventare in avanti sia il proprio peso che quello del suo tormentatore, in modo da  poter afferrare l’elsa, poi sbatté all’indietro la spada verso il viso del pretoriano. Plauziano gridò di nuovo, ma non lasciò la presa sui capelli di Glauco. Il giovane scalciò avanti e indietro cercando una parte vulnerabile del corpo dell’uomo e i suoi piedi nudi la trovarono. Li affondò nella ferita della gamba con maggior forza possibile e Plauziano si piegò in agonia, lasciando la presa. Glauco lo spinse via e si contorse su un fianco per rimettersi in piedi, barcollante. In preda alle vertigini, finì di nuovo quasi in ginocchio per il dolore, ma istintivamente indietreggiò nel momento in cui Plauziano slanciò la gamba nel tentativo di farlo cadere.

Glauco si asciugò disperatamente il sangue dagli occhi e cercò la spada del pretoriano. La trovò, era nella mano di Plauziano. Ma esausto e con la pesante armatura, il pretoriano non fu in grado di mettersi in piedi, e scivolò indietro sulla sua corazza lasciando una scia di sangue dalle ferite della gamba e del collo.

Un altro capogiro s’impadronì di Glauco, ma egli colpì alla cieca con la spada, entrando in contatto con qualcosa e provocando un altro urlo di Plauziano. Glauco si ripulì in fretta gli occhi e intravide Plauziano che, disarmato, teneva la mano destra su una ferita profonda da cui il sangue colava in abbondanza. Era finita ed entrambi lo sapevano. Glauco sollevò lentamente la spada finché la punta si posò sulla gola palpitante di Plauziano. Improvvisamente fu consapevole della presenza d’altri, ma non si voltò a vedere chi fosse. Tutta la sua attenzione era concentrata sull’uomo alla sua mercé.

Con la poca forza che gli restava, Plauziano lo schernì con un ultimo insulto.
- Codardo... Glauco... Glauco il codardo.

Glauco gettò indietro la testa, le narici frementi come quelle d’un lupo che abbia scoperto l’odore inconfondibile della morte imminente.
- Glauco non c’è più, - ruggì. - Il mio... nome... è... MASSIMO! - Le sue parole echeggiarono in tutta la casa e nel pretorio ed egli lanciò solo una volta uno sguardo all’immagine di suo padre, prima di affondare la spada finché la punta colpì il duro pavimento di marmo dietro il collo del pretoriano. Poi si arrese alla gradita tenebra e si accasciò, privo di conoscenza, accolto da braccia premurose.