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Capitolo 83 - Il confronto
- Glauco, non dargli la spada.
Glauco si girò leggermente per fare un cenno a Brenno, che finalmente aveva
ripreso conoscenza, ma non distolse lo sguardo dai lineamenti ferini dell’uomo che
teneva in punta di spada.
- Stai bene? - chiese al giovane amico, che era ancora avvolto dall’oscurità.
- Se gli dai la spada rischierai troppo, - rispose Brenno, ignorando la
domanda di Glauco. Strisciò lentamente in avanti, brancolando nel buio in cerca
di una torcia caduta a terra, anche se non aveva idea di come l’avrebbe riaccesa.
Plauziano sghignazzò nel chiaro di luna.
- Parole coraggiose da parte di un ragazzo che si nasconde nel buio, dove è al sicuro.
- Di nuovo accennò alla spada nella mano sinistra di Glauco. - Cosa sarà? Una
lotta equa o un assassinio?
Ma Brenno non si stava nascondendo. Aveva trovato una delle torce dei
pretoriani e si era rimesso in piedi, fissando con sollievo la scintilla che ancora
vi bruciava. Soffiò dolcemente su di essa e questa arse per un momento prima di
attenuarsi di nuovo. Esultante, il ragazzo si precipitò in avanti, avvicinandosi
alla figura tesa di Glauco. Brenno capì che l’amico non poteva rischiare una
lotta con Plauziano senza riuscire a vedere alcunché, così alzò la torcia
accanto alla spalla di Glauco e soffiò con determinazione sulla scintilla. Essa
bruciò rapidamente ed inaspettatamente a piena fiamma e Glauco balzò di lato per
evitare di scottarsi il viso. Essendosi la punta della spada improvvisamente allontanata
dal suo collo, Plauziano sollevò rapido il chiavistello e si gettò contro la
porta della prigione, cadendo nell’oscurità. Muovendosi con velocità
straordinaria per un uomo così corpulento,
fu presto inghiottito dalle ombre della prigione e si perse nell’erba alta. Momentaneamente
accecato dalla luce della torcia, Glauco non si accorse nemmeno che Plauziano se
n’era andato, finché udì il colpo della porta e sentì sulle gambe l’aria fresca
della sera. Spingendo da parte un Brenno contrito, balzò in avanti, brandendo le spade, ma fu accolto soltanto dalle
tenebre. Rimase attentamente in ascolto, ma perfino i grilli ora tacevano, ridotti
al silenzio dall’intrusione improvvisa nel loro territorio. Glauco serrò i
denti, frustrato, sapendo che sarebbe stato avventato inseguire il suo nemico
in un luogo dove questi poteva tendergli un agguato.
- Dannazione! - imprecò. - Dannazione! Dannazione!
Brenno parlò quietamente dietro di lui.
- Ti ho distratto io. Mi... mi dispiace. Io… stavo cercando di aiutarti.
Glauco continuò a scrutare invano le ombre.
- Tu mi hai salvato la vita col tuo coraggio, Brenno. Non hai motivo di
scusarti.
- Io... avevo paura che avresti fatto qualche gesto nobile come dargli la spada.
Glauco non disse al suo giovane amico che aveva preso seriamente in considerazione
la cosa, invece ridiede a Brenno la sua spada,
poi cambiò argomento.
- Dove sono i miei zii e cugini? E’ stato Tacito a tirare attraverso la
finestra?
- Sì, è stato lui. Pensavano che fosse il migliore con l’arco, dopo di te.
- Tacito, sei ancora lassù? - gridò Glauco. - Io sono uscito e tu puoi scendere adesso. Stai attento, però, perché Plauziano si nasconde da qualche parte qui intorno. - Si rivolse a Brenno e abbassò la voce. - E gli altri?
- Tuo zio Tito è andato a cavallo a monte del fiume, per tentare di trovare la legione. Persio e Claudio sono qui da qualche parte. - Scrutò nell’oscurità in direzione del portone. - Volevano cercare di tenere occupati gli altri pretoriani. Non so che cosa sia successo, è tutto tremendamente silenzioso.
- Erano notevolmente in sottonumero, - soggiunse Glauco serio.
- Sì, ma almeno loro erano sobri, - interloquì allegramente Tacito, svoltando l’angolo della prigione. - I pretoriani non lo erano certamente. - Si gettò l’arco dietro la spalla ed abbracciò il cugino che amava come un fratello.
- Grazie, Tacito, - mormorò Glauco.
- Di nulla. Tu avresti fatto lo stesso per me. - Tacito arruffò i riccioli in disordine del giovane.
- Come ti son riusciti quei tiri così difficili da quella… - cominciò Glauco prima che Brenno l’interrompesse eccitato.
- Guardate! Là, - disse, indicando verso il portone della fortezza. - Una torcia! Due torce! Si muovono!
I tre uomini studiarono le fiamme che si agitavano.
- Potrebbe essere una trappola, - disse Glauco. - Non me la sento di finirci dentro
un’altra volta. Restate calmi e lasciate che siano loro a fare la prima mossa.
- Sì, - convenne Tacito. Brenno saggiamente rimase in silenzio.
I tre uomini, spalla contro spalla, in silenzio guardarono avvicinarsi le torce che si muovevano su e giù. Finalmente una voce
chiamò.
- Tacito? Glauco!
- E’ Claudio, - rise Tacito e depose a terra l’arco. Glauco sentì rilassarsi i muscoli delle spalle e si preparò a salutare il cugino e lo zio. Illuminati da tre torce, gli uomini si scambiarono rapidi saluti, poi Glauco descrisse quello che era appena accaduto nella prigione, tralasciando le circostanze che avevano condotto alla fuga di Plauziano. Quindi chiese agli altri che cosa avevano fatto.
- E’ stato relativamente semplice, - rise Persio. - I pretoriani erano ubriachi fradici, perciò è stato facile superarli in astuzia. Abbiamo trovato i soldati della legione… quelli che stavano sorvegliando l’entrata… legati ed imbavagliati, così li abbiamo liberati e ora sono tornati di guardia, mentre i pretoriani hanno preso il loro posto.
- Quindi il portone è sicuro? - chiese Glauco. Al cenno affermativo di Persio, egli continuò. - Allora devi dire ai legionari di non lasciare uscire nessuno dalla fortezza. Nessuno. Sorveglino tutte le mura. Plauziano è qui da qualche parte ed io intendo trovarlo. Devo finirla qui ed ora, altrimenti non sarò mai libero da lui finché uno di noi sarà vivo. - Scrutò di nuovo nell’erba alta dietro la prigione. - E’ ferito ma è ancora pericoloso. - Glauco si rivolse di nuovo ai suoi parenti. - Persio, ritorna all’entrata e stai appostato lì. Brenno, vai con lui. Claudio, cavalca fino in città e raduna altri rinforzi… chissà quanto tempo ci vorrà alla legione per ritornare. Tacito, vieni con me. Ho bisogno della tua abilità con l’arco. - Tutti annuirono… nessuno mettendo in dubbio l’autorità del loro congiunto più giovane… e si separarono, ognuno per la sua strada.
- Dove stiamo andando, Glauco? Dove pensi che sia lui? - chiese Tacito muovendosi con lunghi passi per riuscire a stare a fianco del cugino.
- La mia supposizione è che sia nel pretorio. Probabilmente ci sono delle armi laggiù.
- Pensi che si apposterà? Che non si limiterà a nascondersi?
- Sa che è inutile nascondersi perché io lo troverò, anche se dovessi rivoltare questo posto pietra dopo pietra.
Accovacciati, i cugini studiarono il portone chiuso del pretorio alla luce argentea del chiaro di luna. Il pretorio era come una fortezza all’interno della fortezza… il luogo dove vivevano il generale ed il suo legato e dove venivano conservate le armi. Se Plauziano era lì, aveva accesso a tutte le armi che la legione non aveva portato con sé. Il muro imponente era impenetrabile e minaccioso e chi si trovava all’interno aveva un distinto vantaggio. Poteva stare immobile sulla sommità del muro e seminare terrore su chiunque tentasse di entrare.
- Non c’è ragione di tentare di superare l’entrata affinché lui possa tenderci un agguato, - bisbigliò Glauco. - Dovremo superare il muro in altro modo.
- E come? Deve essere tre volte la mia altezza. E non vedo nessun albero nelle vicinanze.
- Deve esserci un altro modo. Che cosa accadrebbe se gli invasori entrassero nella fortezza ed intrappolassero il generale lì dentro? Ci deve essere una via di fuga. Certamente i costruttori l’hanno progettata.
Tacito annuì.
- Ha senso, ma dubito che sarà facile trovarla, specialmente al buio.
- Vorrei che Giovino fosse qui. Lui potrebbe dircelo. Lui probabilmente lo costruì... aspetta! Lui costruì la casa di mio padre. Lui mi mostrò dov’era la fornace sotterranea… fu lì che mia madre e mio fratello si nascosero durante un’invasione insieme a Persio. - Improvvisamente eccitato, Glauco diede una pacca sulla spalla del cugino. - Tacito, torna all’entrata principale e trova Persio. Abbiamo bisogno del suo aiuto.
Tacito esitò, non voleva lasciare Glauco da solo.
- Va bene, - acconsentì riluttante, - ma non fare niente finché noi non torniamo. - Glauco annuì e Tacito strisciò
via, la sua forma china rapidamente inghiottita dalle tenebre.
Da solo ora, Glauco stava acquattato all’ombra del muro del pretorio, la cui struttura irregolare era chiaramente delineata nella luce fioca della luna. Suo padre aveva vissuto là dentro, come anche sua madre e suo fratello, per un certo tempo. I preziosi affreschi che sua madre aveva dipinto erano all’interno della casa di suo padre… un testamento del suo amore per il marito. Improvvisamente Glauco balzò in piedi, la testa gli girò, ed egli barcollò contro il muro. Gli affreschi. Plauziano sarebbe stato così vendicativo da distruggerli di nuovo?
Chiaramente sì.
Glauco si abbassò lentamente sui talloni e spinse la schiena contro la fredda pietra, il cuore che gli martellava. Gli affreschi. Gli affreschi… così preziosi. Preziosissimi. Erano l’unica testimonianza pubblica dell’esistenza di suo padre. L’unica rappresentazione pubblica della grandezza di Massimo e del suo sacrificio per Roma.
Glauco si spinse in piedi e si spostò lungo il muro fino al portone di legno. Si fermò e gettò uno sguardo verso l’alto, quasi aspettandosi che una scarica di frecce gli piovesse sulla testa.
Tutto era tranquillo.
Fece un passo deciso in avanti e spinse il portone. I cardini cigolanti cantarono uno stonato benvenuto.