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Capitolo 82 - Potere e onore
Nella cella il buio era nero come pece, a parte un frammento di chiaro di luna che filtrava dalle sbarre. I grilli modulavano un canto solitario nell’erba alta al di fuori delle mura ed un gufo gridava da qualche parte in lontananza… un suono ossessionante. Era un presagio? Glauco si costrinse a rilassarsi per permettere al corpo di conservare le energie, ma il cuore gli batteva selvaggiamente, facendo sì che il sangue scorresse precipitosamente nelle vene, martellandogli nelle orecchie e rinnovando il dolore alla testa che fino a poco prima era alquanto diminuito. Il sangue si era raggrumato sugli avambracci, cominciando a formare cicatrici.
Massimo si era sentito come lui quando era stato condotto nella foresta per la sua esecuzione? I muscoli e i nervi di suo padre si erano tesi, pronti ad entrare in azione? Il suo stomaco si era annodato? I palmi delle mani avevano cominciato a sudare? Massimo aveva formulato un piano o aveva semplicemente aspettato finché era stato il momento giusto d’agire, come era costretto a fare adesso suo figlio?
Massimo come avrebbe gestito questa situazione?
- Padre, sii con me oggi, - bisbigliò Glauco. - Ti prego, fortifica la mia mente e guida la mia mano.
In fondo al corridoio, una porta di ferro sbatté contro la pietra con un suono che echeggiò lungo il muro e fece vibrare la branda. In un attimo Glauco fu in piedi, ma poi si costrinse a piegare le gambe a sedersi di nuovo. Non doveva apparire troppo pronto.
Nel corridoio ardevano alcune torce con luce fioca, ma ben presto essa aumentò d’intensità fino quasi ad accecare Glauco dalla porta della cella a sbarre. Si schermò gli occhi e li socchiuse, aspettandosi di vedere Plauziano ed un drappello di suoi uomini. Ma non c’era il comandante pretoriano in mezzo ai quattro soldati che si erano radunati sull’altro lato delle sbarre, ognuno brandendo una torcia che allungava le sue ombre in lugubri forme di demoni danzanti.
Le chiavi stridettero contro le sbarre della sua cella.
- In piedi! - abbaiò uno.
Glauco rifiutò di obbedire.
- Perché lo fate? Perché gli obbedite? Dovete aver saputo che mio padre è stato
scagionato da tutte le accuse riguardanti la morte di Marco Aurelio e che il
mio mandato d’arresto è stato revocato.
Un mormorio di divertimento aleggiò fra le guardie.
- Allora, perché state aiutando Plauziano? - chiese Glauco.
- Perché no? Lui è il nostro comandante, - rispose uno.
Una zaffata di vino gli arrivò alle narici
e Glauco capì che gli uomini avevano bevuto parecchio.
- L’imperatore è il vostro comandante
e lui ha ordinato che io venissi
liberato!
- Stupido, - latrò un altro. - Ci è stato promesso il nostro peso in oro se aiutiamo Plauziano a fare quello che vuole. Chi potrebbe rifiutare una ricompensa del genere?
Glauco cercò un modo per trarsi d’impiccio. Spada o non spada, non aveva
alcuna possibilità contro quattro uomini armati.
- Non vado da nessuna parte con voi.
Le guardie risero.
- Parole audaci per uno nella tua posizione.
Con noncuranza una guardia strinse una sbarra con la mano mentre infilava la chiave nella serratura e in un lampo Glauco volteggiò dalla branda, la spada in mano, e la abbatté sulle dita esposte. Sangue e carne volarono mentre l’uomo urlava di dolore, cadendo all’indietro contro i suoi compagni. La sua torcia lasciata cadere rimbalzò e ustionò le gambe di due soldati. Come una furia, il quarto pretoriano brandì la spada allungandosi attraverso le sbarre della cella, in un futile tentativo di vendicare i suoi compagni feriti. Le sue grida si unirono a quelle degli altri quando afferrò ciò che restava del suo avambraccio, la mano amputata ancora serrata intorno alla spada caduta sul pavimento all’interno della cella.
Glauco s’impadronì della spada e con un calcio spedì in un angolo la mano mozzata. Glauco in piedi, torreggiante, una spada stretta in ciascun pugno, il torace che si alzava ed abbassava, il sangue del pretoriano che gli gocciolava dal viso e dalla mano.
Urlando per il terrore, il soldato senza mano si precipitò verso l’uscita della prigione, seguito a ruota dalla guardia che aveva perso le dita e dagli altri due soldati con le gambe ustionate. La porta sbatté ed un silenzio improvviso riempì la prigione, rotto solamente dal respiro ansante di Glauco. Il giovane non pensò neanche per un istante che la lotta fosse finita. Aveva vinto la prima ripresa, ma era ancora imprigionato. Plauziano era ancora in vantaggio. Glauco fletté i gomiti, i polsi e le ginocchia, tentando di eliminare dal corpo un po’ di tensione e di rimanere all’erta. Doveva essere pronto, qualunque cosa fosse accaduta dopo.
A Glauco sembrava che fossero passate ore, prima di udire la porta della
prigione aprirsi di nuovo e passi pesanti avvicinarsi. Un Plauziano pronto a
dar battaglia si fermò dall’altra parte della porta della cella, affiancato da
due arcieri che con deliberata lentezza incoccarono le loro frecce e sollevarono
gli archi.
- Abbassa le spade e gettale nel corridoio, dal lato dell’elsa, - ordinò
Plauziano impassibile.
- No.
Plauziano osservò Glauco come se fosse un bambino seccante.
- Hai due frecce puntate direttamente al cuore. Al mio ordine, gli arcieri tireranno.
- Abbassò il mento e fissò il prigioniero. - Giù le spade.
Glauco indietreggiò nell’ombra vicina alla branda, senza mai lasciare con lo
sguardo Plauziano.
- No.
- Idiota! - ruggì il comandante pretoriano. - Mantenete le vostre posizioni, - ordinò alle guardie, poi sparì giù nel corridoio, e tornò qualche attimo dopo trascinando Brenno per un braccio. Il giovane, terrorizzato, inciampò e cadde in ginocchio, ma con uno strattone fu tirato in piedi e Plauziano gli puntò la lama del coltello alla gola. - Ora lascia andare le spade e gettale sotto la porta, dalla parte dell’elsa.
Gli occhi di Brenno erano larghi come pozze mentre implorava in silenzio il perdono di Glauco.
Glauco abbassò lentamente le spade e si chinò per posarle sul pavimento di pietra. Mentre lo faceva, una freccia fischiò sulla sua testa. Thhhhhump! Essa si conficcò con un rumore sordo nella gola scoperta di un arciere, facendolo crollare all’indietro contro il muro, gli occhi privi di vita che ancora esprimevano incredulità. Thhhhump! L’altro arciere fu abbattuto prima che potesse reagire, la sua freccia ormai inoffensiva sul pavimento di pietra. Acquattandosi, Glauco gettò uno sguardo verso la finestra della cella, da dove erano venute le frecce mortali. Plauziano si tuffò al coperto mentre un’altra freccia si librava in volo attraverso la finestra. L’uomo scivolò sul pavimento di pietra insanguinato e cadde pesantemente, perdendo la sua presa su Brenno. Allo stesso tempo, le chiavi della prigione gli caddero di mano. Tentò di recuperare il controllo di entrambi, ma non ci riuscì.
Brenno si gettò sopra Plauziano e con un calcio gettò le chiavi dentro la cella, appena prima che un pugno coperto di cuoio gli si abbattesse sulla mascella. Il corpo del ragazzo si afflosciò in un angolo dove scivolò lungo il muro e crollò esanime sul pavimento. Strisciando sul ventre come un serpente, Plauziano cercò di afferrare le chiavi, ma esse erano già preda di Glauco ed il comandante pretoriano ritrasse la mano un attimo prima che la spada di Glauco si abbattesse sul pavimento, mancando di poco le dita che si ritraevano.
Adirato, Plauziano tentò di alzarsi, ma fu costretto di nuovo bocconi da una
scarica di frecce. Si coprì la testa con le mani mentre le frecce colpivano con
suono metallico la sua armatura, ma urlò per il dolore quando una di esse gli
si conficcò proprio sopra il ginocchio sinistro.
- Guardie! Guardie! - gridò. Glauco armeggiò con la serratura della cella mentre
Plauziano si issava prima in ginocchio e poi in piedi e si precipitava verso la
porta della prigione. Nel momento in cui posò la mano sulla maniglia Glauco fu
su di lui, facendolo voltare su se stesso e colpendolo sotto la mascella con l’elsa
della spada. La testa di Plauziano scattò all’indietro ed i suoi occhi rotearono
per l’impatto. Stordito, il pretoriano cadde in
ginocchio. Sollevò lentamente lo sguardo e vide Glauco che torreggiava su di
lui e la punta acuminata di una spada che gli ondeggiava davanti agli occhi. Lentamente
Plauziano spalancò le braccia in un gesto di supplica. - Uccideresti un uomo in
ginocchio?
- Alzati.
- Faresti meglio a pensarci, Glauco. Se tenterai di lasciare questa prigione verrai abbattuto immediatamente da una freccia o da una spada, non importa quello che accadrà a me.
- Io credo di no.
Plauziano ridacchiò.
- Oh, pensi che i tuoi amici possano aiutarti, vero? Bene, uno è là dietro steso
sul pavimento e gli altri non possono competere con i miei uomini…
- Quali uomini? - lo interruppe Glauco. - Intendi gli uomini che stanno dando colpi su quella porta, nel tentativo di salvarti? - Glauco girò leggermente la testa e sollevò un sopracciglio come se stesse ascoltando attentamente. - Oh, io non sento proprio nessuno. - Sogghignò beffardamente. - Non so cosa stia succedendo là fuori, ma so cosa sta per succedere qui dentro, a te e a me. Solamente noi due… e dalla mia parte io ho l’approvazione degli dei, e l’imperatore.
- L’imperatore non è un tuo ammiratore.
- Forse no, ma tu gli piaci ancor meno. Era piuttosto deluso, sai, quando a Roma non ti ho ucciso. Probabilmente mi ricompenserebbe, se lo facessi adesso.
Plauziano lentamente si tirò in piedi e Glauco fece un passo indietro, tenendo
pronte entrambe le spade.
- Egli non durerà abbastanza a lungo per ricompensarti. Vedi, l’imperatore Settimio
Severo sta quasi per perdere quel titolo, nello stesso modo in cui l’ottenne.
- Di cosa stai parlando? - chiese Glauco con sospetto.
- Un imperatore è potente solo se è sostenuto dai suoi eserciti e gli eserciti ora detestano Severo.
- E chi reclamerà il trono?
- Io, naturalmente. I piani sono già avviati.
La risata di Glauco echeggiò lungo il corridoio di pietra.
- Tu! Pensi che gli eserciti ti sosterranno? Perché dovrebbero?
- Denaro. Gli eserciti sono fedeli ad un uomo che li paga bene.
- Così come hai pagato i tuoi uomini per catturarmi?
- Naturalmente. I soldati fanno qualsiasi cosa per denaro.
- Non tutti i soldati, - ringhiò Glauco.
- Oh sì, dimenticavo il tuo grande e glorioso padre, - lo schernì Plauziano. - Un uomo che morì da schiavo in un’arena, inzuppato del suo stesso sangue.
- Mio padre era un uomo d’onore, - ruggì Glauco agitando la punta di una spada sotto il naso di Plauziano.
- Un uomo d’onore morto. A che serve l’onore se sei morto?
- L’onore è tutto.
- Il potere è tutto!
- Il potere senza onore non è nulla!
Plauziano ridacchiò.
- Vedo che non saremo mai d’accordo su questo punto. - Si appoggiò all’indietro
contro la porta e incrociò le braccia con noncuranza. - Quindi? Ucciderai un
uomo disarmato? Sarebbe un assassinio, lo sai. Non c’è onore in un assassinio. - Gettò uno sguardo alla spada serrata nella
mano sinistra di Glauco. - Perché non combattiamo alla pari?