La Storia di Glauco: Capitolo 81

 

Capitolo 81 - Catturato

- Sapevo che saresti venuto qui ad esultare del tuo piccolo trionfo a Roma, - lo sbeffeggiò il comandante pretoriano. - Sei così prevedibile. Esulta finché puoi, infame vermiciattolo. Pensavi seriamente che a Roma fosse tutto finito? Stupido! Te la farò pagare per il modo in cui mi hai umiliato. Puoi far fare a quell’idiota di Severo quello che vuoi, ma non puoi dare ordini a me. Nessuno mi può dare ordini!

Lentamente e dolorosamente, Glauco si tirò in ginocchio e, sentendosi pesante come piombo, si issò a sedere sulla branda di pelle. Non aveva abbastanza energie per rispondere o anche solo rivolgere lo sguardo al suo avversario.

- Pensavi che fosse finita? Ebbene, è davvero finita. La tua vita è finita, - ringhiò Plauziano uscendo dalla cella e facendo così sferragliare l’armatura con suono minaccioso. - Pagherai molto caro per quel piccolo episodio a Roma... e pagherai lentamente e dolorosamente, finché mi implorerai di ucciderti.

Glauco trasse dei respiri profondi per controllare la nausea che gli saliva in gola e si afferrò lo stomaco… toccando solamente stoffa, non cuoio. Si guardò intorno in cerca della corazza e della spada di Massimo. Non c’erano più. Gemette e chiuse gli occhi.

- Ma voglio che tu sia abbastanza sveglio da sentire il dolore che ti infliggerò. Voglio farti provare tutta la raffinatezza delle torture che subirai. - La rabbia era improvvisamente scomparsa dalla voce di Plauziano, sostituita da soddisfazione e senso di anticipazione. - Perciò... dormi pure. Tornerò da te dopo il tramonto. - Qualche attimo dopo la porta esterna della prigione si chiuse sbattendo con un tonfo definitivo.

Glauco si stese sulla branda e si coprì gli occhi col braccio. Cos’altro poteva fare? Sapeva per esperienza che gridare non avrebbe funzionato, perché le sue urla sarebbero state assorbite dal massiccio muro esterno della fortezza. Non voleva pensare a quello che Plauziano aveva in serbo per lui… che genere di brutali torture poteva concepire una mente tanto depravata. Invece, si preoccupava dei suoi parenti. Erano in salvo o erano stati rinchiusi nelle altre celle di pietra in attesa di un analogo fato? Pensò a quegli eunuchi di Roma dalla pelle dorata,  e rabbrividì, poi costrinse la sua mente a svuotarsi.

 

- Glauco? Glauco?

Si alzò a sedere, confuso. Chi lo stava chiamando?

- Glauco?

Proveniva dall’esterno della sua finestra. Con la testa che martellava, si mise in piedi sulla branda e sibilò verso le sbarre in alto.
- Qui! Sono qui! Aiutami!

- In quale cella sei? - chiese la voce soffocata.

- Brenno, sei tu?

- Sì. Giovino ha mandato Katerina a cercarti alla locanda, dopo che non sei tornato per cena. Si è ricordato di cosa ti era accaduto l’ultima volta che sei stato qui.

- Dove sei?

- Sono sul muro della fortezza. Sono salito su una scala.

- Per Giove, vattene via! Sei sotto tiro! - esclamò Glauco. - Le guardie ti vedranno!

- Stanno tutti bevendo e festeggiando. Nessuno sta prestando alcuna attenzione. Inoltre, è quasi buio e non possono vedermi molto bene.

- Sono pretoriani, Brenno, non soldati, ed io sono caduto in una trappola. Plauziano è qui. Intende torturarmi e uccidermi. Devi farmi uscire! - Respirò a fondo per contenere il dolore e l’angoscia, poi chiese: - Dove sono gli altri?

- Sono al sicuro. Sono alla locanda in attesa di notizie. Sono molto preoccupati.

- Brenno, sei armato?

- Ho una spada.

- Ne ho bisogno io. Devi riuscire a passarmela!

- Posso lanciarla, se tu puoi prenderla. Penso di sapere qual è la tua finestra, ma non sono sicuro.

Glauco si tese sulla punta dei piedi, ma le dita delle mani erano ancora molto al di sotto della sporgenza della finestra. Anche se fosse riuscito a raggiungerla sapeva che le sbarre erano poste indietro rispetto al muro della prigione, verso la cella, ed il muro aveva uno spessore di almeno un braccio. Avrebbe dovuto arrivare al di là delle sbarre per poter afferrare la spada. Si guardò intorno in cerca di qualcos’altro su cui issarsi, ma non c’era nient’altro che la bassa brandina. Saltò e le sue dita arrivarono alla sporgenza, ma non riuscirono a trovare una presa e di nuovo non poté che scivolare giù. Tentò di nuovo, con lo stesso risultato.

- Glauco?

 - Sto tentando di arrivare alla finestra, Brenno. Aspetta. - Glauco scese dalla branda e andò alle sbarre della cella, sbirciando nel corridoio. Era vuoto. Per la prima volta comprese che questa non era la stessa cella dove era stato confinato l’ultima volta che era stato lì. Era molto più grande e la porta era fatta da  sbarre di ferro poste a distanza regolare, dall’alto in basso, non era quella di solido ferro con la piccola apertura che lui ricordava. Il muro della cella, comunque, doveva trovarsi di fronte a quello della fortezza, come la parete dell’altra cella. Respirò a fondo, poi si lanciò verso la branda, saltandovi sopra  con entrambi i piedi con tale forza che le liste di cuoio si fletterono fino al pavimento e tornarono a posto di scatto, scagliandolo verso l’alto. Egli si allungò al massimo cercando di afferrare le sbarre; le sue dita trovarono il freddo metallo, aggrappandovisi. Lentamente, si issò lungo il muro, scorticandosi dolorosamente gli avambracci e le ginocchia contro la pietra grezza. La finestra era troppo poco profonda per il suo corpo, perciò trasferì il peso su una mano e con l’altra si spinse attraverso le sbarre il più lontano possibile.
- Brenno! - grugnì. - Lanciamela in mano. Stai attento, - ansimò Glauco. - Devi farmela cadere proprio tra le dita.

- Vedo la tua mano. Puoi allungarti di più? Ho paura che la spada colpisca il muro e cada giù, dove non potrei trovarla.

Glauco gemette sotto lo sforzo.
- Non riesco. Lanciala dolcemente.

- Pronto.

Glauco annuì.
- Sì! - Sentì il metallo sfiorargli la punta delle dita e se ne impadronì febbrilmente. Riuscì ad afferrare la punta della lama tra pollice e indice, manovrando con cautela fino ad averla saldamente in mano. Ansimando, girò la spada di lato e se la fece scivolare lungo il braccio, posandola di piatto. Gemendo, si lasciò crollare sulla branda, dolorante ed esausto, braccia e ginocchia scorticate e sanguinanti.

- Glauco?

Si rimise faticosamente in piedi e parlò verso la finestra.
- Ce l’ho. Vai a cercare aiuto… ma, Brenno…

- Sì?

- Ricordati che quei soldati sono pretoriani. Qui è Plauziano al comando. Stai attento.

- Anche tu . - Detto questo, Brenno si dileguò.

Glauco ripose verticalmente la spada tra la branda ed il muro, con l’elsa contro la sua schiena. Poi si sedette e chiuse gli occhi per tentare di alleviare il martellio nella sua testa... ed aspettò.