La Storia di Glauco: Capitolo 78

 

Capitolo 78 - Ritorno a casa

Dopo due giorni di mare, la nave doppiò la punta settentrionale della Corsica e Lucio si avvicinò a Glauco che si trovava sul ponte all’ombra della loro cabina, seduto comodamente con le gambe incrociate su una pila di corde avvolte a spirale, completamente dimentico dell’attività frenetica dei marinai indaffarati attorno lui. Sulle ginocchia era posata la corazza di cuoio di Massimo e con le dita accarezzava dolcemente, avanti e indietro, il lavoro a sbalzo in argento raffigurante un pioppo, una donna ed un bambino. Lucio si sedette accanto all’amico, ma non disse nulla.

Entrambi ascoltarono il vento che si agitava tra le vele sopra di loro. Finalmente, Glauco parlò.
- Mi chiedo come si sentiva ogni volta che la indossava. Mi chiedo se gli si serrava lo stomaco. Deve aver pensato che ogni volta avrebbe potuto essere l’ultima.

- Probabilmente per lui non era molto diverso dall’andare in battaglia quando era un generale.

- Cinquantamila persone osservavano ogni sua mossa. Era diverso.

- Suppongo di sì. Penso, tuttavia, che la sua mente fosse concentrata su una sola cosa… uccidere Commodo.

- Forse era così... quando mio padre era nell’arena. - Egli tracciò con le dita il profilo delle due piccole figure sulla corazza, copie delle sculture di legno. - Ma quando non era lì, evidentemente il suo spirito si trovava altrove.

- Deve essere stato terribile, per lui, sapendo che loro erano morti. Ed egli era così lontano da casa sua.

- Questo lo posso capire. Anch’io non vedo l’ora di tornare a casa.

Lucio sorrise.
- Anch’io.

Lo sguardo di Glauco finalmente lasciò la corazza, per posarsi sull’amico, proprio mentre un marinaio tirava una corda in mezzo ai suoi piedi. Lui li sollevò in tempo ad evitare che un uomo che stava facendo rotolare un barile facesse lo stesso.

- Che cosa stavi facendo?

- Ho appena finito di leggere le lettere che erano nel pacchetto trovato nello scomparto segreto, - sospirò Lucio. - Non è stato facile. Furono scritte quando mia madre era più giovane di me adesso. Erano tutte dirette a  Massimo. - Sospirò di nuovo.

- Oh, - rispose Glauco. Non sapeva cos’altro dire. Fissò le creste delle onde che si increspavano, brillando nel sole di metà pomeriggio. I gabbiani si tuffavano e piombavano in picchiata sui pesci d’argento che osavano venire troppo vicini alla superficie dell’acqua.

- Sapevo che lo amava, ma perfino io non mi sono mai reso conto dell’intensità di quell’amore. Alcune lettere furono scritte dopo il matrimonio di mia madre con mio padre. Io non sono sicuro che lei avesse mai avuto intenzione di spedirle a Massimo perché sono molto, molto personali e sincere... più simili ad un diario che a delle lettere, anche se ognuna è indirizzata a lui. Suppongo che sia l’intensità delle emozioni che mi sorprende. Mia madre era una donna affettuosa, ma riservata, come la maggior parte delle donne di famiglia imperiale. Fu educata a fare quello che era giusto e non a seguire il suo cuore. Io sono sicuro che la sua breve storia d’amore con Massimo in Germania fu l’unico momento in cui lei concesse totale libertà ai suoi desideri di fanciulla. Poi fece il suo dovere. Sposò mio padre e generò un erede al trono... me.

Allarmato dal suo tono, Glauco si voltò verso lui.
- Lucio...

- Va tutto bene, Glauco, io so che lei mi amava. Mi amava sopra ogni altra cosa, ma non dimenticò mai Massimo. - Si girò e rigirò le lettere tra le mani. - Mi spezza il cuore pensare a quanto si sentisse sola senza di lui... quanto fosse disperata perché lui si era sposato ed era uscito per sempre dalla sua vita. Dopo che mio padre morì le lettere divennero anche più intense. Scriveva che, in vita sua, si era sentita veramente viva solo quando si trovava con Massimo. Lei prese seriamente in considerazione l’idea di raggiungerlo, ma si frenò dal farlo a causa del suo status di figlia di un imperatore… status che maledì più d’una volta. Penso che avrebbe rinunciato a tutto se avesse potuto stare con lui. - Lucio appoggiò la testa contro il muro della cabina e chiuse gli occhi, abbandonando la testa al dolce rollio delle onde. - Tuo padre sembra avere inspirato un’intensa e durevole devozione da parte delle donne che lo hanno amato… e che donne! E’ tutto molto tragico, vero?

Glauco rimase in silenzio.

Improvvisamente Lucio ridacchiò e batté leggermente sul braccio di Glauco.
- Adesso non cominciare a sentirti in colpa. I loro sentimenti non hanno niente a che fare con te e me.

- Lo so, ma mi chiedo se mia madre sapesse che altre donne amavano suo marito. Se così fosse, la cosa deve averla sconvolta terribilmente. - Passò le dita sulla figura in rilievo di Olivia.

- Tuo padre le fu fedele, nonostante tutto. Il che la dice lunga su di lui. E anche su mia madre.

- Certamente. - Glauco fissò l’orizzonte ondeggiante, che saliva e scendeva sotto il parapetto della nave. - Spero di avere una storia d’amore come quella, un giorno… dove io possa essere felice con un’unica donna per il resto della mia vita.

- Mi vien da pensare che dovrebbe essere molto facile per te trovare una donna.

Glauco ignorò il complimento e si limitò a scrollare le spalle.
- Sono stato troppo occupato… preoccupato per mio padre… per anche soltanto pensarci.

- Non ce n’è più bisogno. Non ci sono più domande senza risposte, vero?

- No.

- Bene, lui avrebbe voluto che tu perpetuassi il suo nome, ora, sposandoti e generando tanti piccoli Massimo.

Glauco rise.
- Lo terrò a mente.

 

 

Guardarono passare la costa con un misto di eccitazione e tristezza… eccitazione per essere sulla via di casa e tristezza perché si sarebbero divisi. Solamente due giorni più tardi Lucio sbarcò a Massilia per prepararsi per l’arduo viaggio di risalita del Rodano attraverso le montagne settentrionali. Dopo un breve ma sincero addio sulla riva, Glauco promise di tornare a trovarlo, poi lui e Brenno salirono a bordo ancora una volta per continuare il loro viaggio, salutando con la mano la figura sul molo finché fu soltanto una macchiolina. Marco Aurelio sarebbe stato molto orgoglioso di ciò che suo nipote era divenuto.

Il passaggio attraverso lo stretto… oltre le Colonne d’Ercole… fu senza incidenti e finalmente misero piede in Ispania a Gades, dove affittarono un battello per il viaggio verso nord fino a Hispalis[1]. In quella grande città caricarono i loro bagagli, compresi l’urna preziosa e la cassa con l’armadietto, in un carro robusto tirato da due possenti cavalli, per il viaggio attraverso la campagna fino ad Emerita Augusta. Ultor doveva aver capito di essere vicino a casa  perché Glauco doveva continuamente trattenerlo con le redini ed il cavallo sbuffava per l’impazienza e s’impennava lateralmente, desideroso di distendersi al galoppo e volare tra le verdi colline sotto il caldo sole d’estate.

Alcuni giorni più tardi Glauco, in groppa ad Ultor, si fermò su una collina che guardava sopra la sua fattoria… ammirando il panorama arrotondato, rigoglioso e verdeggiante e decisamente pieno di vita. I contadini erano occupati a mietere il secondo taglio di grano dorato ed i rami degli alberi da frutta pendevano bassi, carichi di pere e pesche mature. Glauco gettò indietro la testa e chiuse gli occhi, inspirando l’odore familiare di acini d’uva dolce che profumavano la brezza, comprendendo soltanto ora a qual punto gli fosse mancata casa sua.

- Che pace, - bisbigliò Brenno e Glauco sorrise davanti al rispetto del suo amico per il silenzio, rotto solamente dal grido acuto degli uccelli che si libravano in volo e dagli sbuffi e scalpitii dei cavalli impazienti.

- Vedi la casa di pietra rosata con il tetto di tegole rosse su quella collina lontana? - Glauco indicò nella direzione in cui voleva che Brenno guardasse.

- Sì. E’ casa tua?

- Sì. E’ qui che nacque Massimo e che visse con mia madre da sposato… quando era in congedo, cioè. Lui amava questo posto ed io adesso riesco a capire perché, anche più di prima. Deve aver visto tanto orrore e sofferto tanta disperazione nell’esercito. Questa fattoria era il suo rifugio… un luogo dove poteva guardare le cose crescere e prosperare invece che morire e soffrire. Deve essere stato un grande sollievo per un uomo con le sue pesanti responsabilità. - Costrinse Ultor a camminare lentamente, assaporando ogni passo, ammirando ogni fiore selvatico e ogni prospettiva delle colline arrotondate. Aveva dato per scontata la sua vita qui, e capì che non lo avrebbe fatto mai più. Solamente quando il cavallo spruzzò acqua attraversando il fresco torrente gorgogliante che si contorceva come un serpente a sud della fattoria, egli lasciò che Ultor corresse liberamente, gli zoccoli che toccavano appena il terreno. Brenno mise il suo cavallo al passo lento, accanto al carro, lasciando che il suo compagno si avvicinasse da solo a casa sua.

Glauco smontò al cancello del recinto di pietra e lentamente lo aprì, facendo cigolare i cardini in un canto di benvenuto, e per la prima volta dopo anni osservò il lungo sentiero fiancheggiato dai pioppi, che l’alternarsi della luce del sole danzante e dell’ombra profonda faceva sembrare maculato.

Il suono attirò l’attenzione di un contadino. L’uomo si riparò gli occhi ed alzò la testa incuriosito, poi abbassò lentamente il braccio e restò a bocca aperta quando capì di chi si trattava. Lasciò cadere la zappa e corse verso la casa, fermando un ragazzo e gesticolando selvaggiamente, dando istruzioni al bambino, il quale partì correndo in direzione della casa al di là delle colline, per annunciare l’arrivo lungamente atteso del giovane padrone.

Glauco si inginocchiò ai piedi del primo pioppo, tra i fiori che sua madre, prostrata dal dolore, aveva piantato e salutò sua sorella, annunciandole che aveva riportato a casa il loro papà.

Una donna grassoccia apparve sulla soglia della casa, asciugandosi le mani sul grembiule. Restò senza fiato per la gioia quando lo vide e si dondolò sulle punte dei piedi, poi sparì di nuovo all’interno, gridando istruzioni per preparare una festa per il ritorno a casa del giovane padrone.

 

 

Alcune ore più tardi, Glauco se ne stava davanti alle tombe coperte d’erba di sua madre e suo fratello… e a quella di suo padre, con un tumulo di terra girata di fresco, proprio accanto a loro. Era circondato dalla famiglia di sua madre, che comprendeva la coppia che l’aveva allevato come proprio figlio e gli uomini che egli considerava suoi fratelli. Alla famiglia si erano uniti i lavoranti e gli schiavi di entrambe le fattorie… un’adunata numerosa e malinconica di uomini, donne e bambini. Rimasero in silenzio mentre l’urna d’oro veniva abbassata nel terreno e Glauco avanzò per raccogliere una manciata di terra nera e sbriciolarla tra le dita sopra la sommità dell’urna.
- Vale, - mormorò. Dietro di lui qualcuno tirò su dal naso e ripeté il saluto d’addio. Sentiva di dover dire qualcosa, ma non riusciva a pensare a nulla che potesse esprimere appieno la sensazione di serenità che provava per la prima volta dopo otto anni. Così, semplicemente, si inginocchiò accanto alla tomba e bisbigliò: - Sei a casa, ora, papà. Sei finalmente qui, nel luogo a cui appartieni.

La folla lentamente si disperse, dirigendosi verso la casa, ansiosa di udire la storia della sua grande avventura. Ma lui rimase là, solo con i suoi pensieri.

Era ancora seduto accanto alla tomba quando il giorno volse all’imbrunire. Tra le dita si era fatto passare la terra fresca, più e più volte, filtrandola, godendosi l’umida consistenza ed il semplice odore muschiato. La fredda brezza della sera gli scompigliò i riccioli e condensò il suo respiro, facendo frusciare l’erba che copriva le tombe meno recenti.

Quando il crepuscolo divenne una ricca e vellutata oscurità, egli lentamente spinse la terra sull’urna, usando i piedi e le mani, finché il tumulo arrivò alla stessa altezza delle tombe vicine. Poi la luce delle  stelle l’aiutò a trovare dei fiori lungo il sentiero ed egli li depose dolcemente sopra la tomba finché la terra fu coperta di petali rugiadosi dai colori mutuati alla luna, giallo, arancione e azzurro. Un sorriso triste ma soddisfatto gli increspò i lineamenti, mentre stava accanto alla tomba, fissando il luogo dell’ultimo riposo di suo padre.
- Spero che tu sia contento di me, papà, - bisbigliò. Poco dopo alzò lo sguardo verso la casa dove i suoi amici e parenti attendevano pazientemente il suo arrivo… ed un brivido gli percorse la spina dorsale, facendogli rizzare ogni pelo del corpo.

Lui era là sulla soglia… Massimo… vestito nella sua alta uniforme di generale, perfettamente visibile  nonostante il tenue bagliore che emanava dal suo corpo evanescente. Alzò la testa e guardò solennemente suo figlio, poi curvò lentamente il braccio destro sul torace, con il pugno sul cuore, e rimase immobile, mentre la brezza gli agitava il mantello e arruffava la pelliccia di lupo, finché suo figlio chiamò a raccolta le proprie facoltà mentali, tanto da restituire il saluto con mano tremante. Massimo fissò serenamente Glauco per qualche attimo indugiante, prima di annuire in segno di approvazione e gratitudine, poi sorrise dolcemente al suo ragazzo, gli occhi sereni colmi di calore ed amore... prima che la sua immagine cominciasse ad affievolirsi.

- No, - ansimò Glauco tendendosi verso il padre con mani tremanti, poi costrinse le sue gambe molli ad arrancare  verso la soglia ora vuota. Confuso, Glauco rimase fermo nel punto in aveva appena visto suo padre, sentendo l’aria innaturalmente calda turbinargli intorno e sfiorargli il volto come una mano gentile. Chiuse gli occhi e sospirò, il cuore pieno d’emozione.

- Eccoti… finalmente, - esclamò sua zia Augusta, che aprì la porta, indondando di luce la soglia. - Sei stato là fuori così a lungo, devi essere esausto e affamato. - Schioccò la lingua ed incrociò il suo braccio paffuto con quello muscoloso di lui, poi tubò preoccupata, vedendolo tutto sudato. - Ti prenderai la febbre di sicuro, è così umido qui fuori, adesso. Persio! - chiamò attraverso l’ingresso. - Vieni ad aiutarmi a far entrare tuo nipote. Ho fatto quei biscotti che ti piacciono tanto, Glauco. Glauco? Persio, per favore aiutami… è talmente stanco che sta tremando.

Persio liberò dolcemente il braccio del nipote dalla presa ansiosa della zia e mise una mano ferma al centro del fondoschiena di Glauco, facendolo voltare verso l’ingresso.
- Entra, su, ragazzo mio. E’ stata una giornata traumatica, per tacere degli ultimi anni, davvero molto difficili. Mangia del buon cibo e bevi un po’ di vino e vedrai che ti sentirai meglio.

Glauco voltò la testa e gettò uno sguardo al di là della soglia vuota, l’aria intorno a lui ridivenuta fresca.

- Che cosa c’è? Qualcosa non va? Hai udito qualcosa? - chiese suo zio, preoccupato.

Glauco fissò l’oscurità per alcuni istanti, poi disse.
- No… nulla... proprio nulla. - Trasse infine un profondo respiro e alzò lo sguardo sui milioni di stelle che brillavano nel limpido cielo notturno. - Tutto è proprio perfetto. - Rise all’improvviso, cambiando completamente espressione, mentre il colore tornava sul suo pallido viso. - Lui è qui. Lui sa tutto. Lui ha visto tutto. Lui è contento.

- Cosa? Chi?

Glauco diede al suo confuso zio una pacca sulla schiena e rise di nuovo.
- Mangiamo qualcosa, Persio. Sento il profumo di quei biscotti ed all’improvviso mi sento davvero  affamato.

Mani gentili si tesero verso di lui e voci sollecite espressero la loro gioia nell’averlo di nuovo sano e salvo in seno alla sua famiglia.



[1] Siviglia (N.d.T.)