La Storia di Glauco: Capitolo 76

 

Capitolo 76 - Richieste

La spaziosa camera da letto era silenziosa come una tomba, con ogni orecchio che si allungava verso la conversazione fra il trio che occupava le eleganti sedie della camera da letto.

- Perché non hai ucciso Plauziano? - chiese Severo a Glauco, gli occhi socchiusi che celavano ogni emozione, anche se sedeva alquanto scomposto, fingendo un’aria di indifferenza che tutti nella stanza riconobbero come pura finzione. Era improbabile che l’imperatore Settimio Severo si fosse mai trovato in una tal posizione di compromesso, particolarmente una provocata da un giovane senza alcun potere ufficiale, ed i numerosi nemici dell’imperatore presenti fra gli ospiti gongolarono.

- Egli non era in grado di combattere correttamente, Cesare. Sarebbe stato omicidio, - rispose Glauco pacatamente, seduto ritto ed attento nella sua sedia. Era acutamente consapevole che le dozzine di funzionari militari di alto grado che pendevano da ogni parola stavano dalla sua parte, come la piccola donna anziana vestita di bianco immacolato, le cui ginocchia quasi sfioravano le sue.

Severo scosse le spalle davanti a quell’occasione perduta di sbarazzarsi del dispotico comandante pretoriano che si era trasformato in un peso ingombrante, ma le sue palpebre si sollevarono abbastanza da lanciare una gelida occhiata a Glauco.

Glauco rabbrividì, ma rapidamente riguadagnò la sua compostezza e buttò là un commento casuale che fece ridacchiare la folla.
- Inoltre, sarebbe stato molto scortese uccidere il padre della sposa nel giorno delle sue nozze. - Si slacciò la corazza di cuoio e se la tolse da sopra la testa, sfiorando con delicatezza sia i nuovi che i vecchi graffi, prima di porgerla a Mario. Lucio approfittò della calma momentanea per chinarsi a raccogliere i documenti sparpagliati appartenenti a sua madre. Li rimise con cura nel pacchetto di cuoio per poterli leggere più tardi, in privato. Poi i tre amici si radunarono dietro il loro compagno seduto. Severo lanciò un’occhiataccia a Lucio, ma il giovane lo ignorò e posò le mani sullo schienale della sedia di Glauco, indicando chiaramente dove era riposta la sua fedeltà. Lucio sperò che il calore del suo corpo infondesse forza all’amico.

Gli ospiti si avvicinarono di più, tra cui gli stupiti genitori di Mario, che scrutavano sopra le spalle degli invitati, fissando ammutoliti il loro figlio, con espressioni d’orrore e confusione riguardo il suo ruolo negli eventi sbalorditivi della serata. Mario decise che non fosse ancora il momento di riconoscere la loro presenza, ed evitò di guardarli, cercando invece con lo sguardo Massima, che aveva riguadagnato un po’ del suo colorito, in piedi fra le vestali. Le fece l’occhiolino e lei rispose con un sorriso tremulo. Alcuni invitati espressero il loro disprezzo per l’imperatore accomodandosi nelle sedie disponibili ed altri si mossero audacemente per andarsi a sedere scandalosamente sul letto nuziale non usato, audacia alimentata dai vini più rinomati dell’impero. Altri ancora si appoggiarono contro le pareti e la mobilia, non volendo perdersi una parola di quello che stava per accadere.

Glauco cercò il generale che lo aveva aiutato nella lotta, lo trovò appoggiato contro un armadietto vicino e annuì in segno di ringraziamento. Il generale si inchinò bonariamente in risposta.

- Ora, - disse Celia con la chiarezza e la sicurezza di una donna abituata all’autorità, - cominciamo. In primo luogo, desidero conoscere il contenuto di quella stanzetta nascosta. - Accennò in direzione dello scomparto.

- Non ho potuto finire di perlustrarla, domina, - rispose Glauco, - ma contiene l’urna di mio padre e la sua maschera mortuaria. Inoltre, la corazza di cuoio ed i documenti che il mio amico Lucio ha appena recuperato.

- Capisco. E come ci sono arrivate, là, tutte queste cose?

- L’Augusta Lucilla, madre di Lucio Vero… - annuì verso Lucio e la folla trattenne il fiato, - …ve li ripose dopo la morte di mio padre, prima che lei e suo figlio fossero esiliati. Egli era l’unica persona ancora in vita che sapesse che si trovavano là. Io voglio semplicemente portarli a casa in Ispania, a cui essi appartengono….

Celia guardò Severo e sollevò un sopracciglio perfettamente curato.
- Sei d’accordo?

L’imperatore fece uno svolazzo impaziente con la mano ad un tale argomento insignificante e dichiarò con tono annoiato.
- Prendili. Perché in nome di Giove me ne dovrei curare?

Celia annuì allo scriba, che prese nota, e lanciò una rapida occhiata a Lucio… il nipote del suo amato cugino… prima di tornare a guardare Glauco con un leggero sorriso agli angoli delle labbra.
- Poi?

- Voglio che il nome di mio padre sia riabilitato, e che abbia il suo posto legittimo nella storia dell’Impero Romano, come generale dei generali, un grande uomo, non uno schiavo. Era comandante delle legioni settentrionali sotto l’imperatore Marco Aurelio, il quale amava molto mio padre. Voglio che sia proclamato in tutto l’impero… dal senato, dai generali di ogni legione, da ogni governatore di ogni provincia… che mio padre servì bene l’impero, che pose termine alla guerra in Germania, che diede la vita per il bene dell’impero e che non ebbe alcun ruolo di qualunque sorta nella morte di Marco Aurelio.

Celia guardò Severo con le sopracciglia alzate.

- Sì, sì, sarà fatto. - Si appoggiò in avanti con impazienza, le mani sulle ginocchia, gli occhi che perforavano la carne di Glauco, i denti serrati in un malcelato sogghigno.

Glauco sentì la mano di Lucio stringergli gentilmente la spalla e continuò.
- Inoltre voglio che il suo ritratto su murale che si trova in Germania, nella fortezza di Vindobona, sia restaurato dai migliori artisti di Roma, in modo che torni ad avere esattamente lo stesso aspetto di quando mia madre lo dipinse, che non venga mai più danneggiato, e che il restauro cominci subito.

Severo si limitò a storcere la bocca e annuì di nuovo. Lo scriba scarabocchiò.
- Nient’altro? - strascicò con sarcasmo.

- Sì. Chiedo che non ci siano punizioni per nessuno di noi. - Glauco si voltò a guardare gli uomini in piedi dietro di lui. - O per  le nostre famiglie, ora e in futuro. Siamo innocenti di qualunque crimine. E voglio che l’ordine per il mio arresto sia revocato immediatamente.

Severo agitò una mano in aria, ad indicare come tutte quelle richieste fossero fin troppo insignificanti per la sua regale attenzione.
- Consideralo fatto. Hai sicuramente finito.

Glauco trasse un profondo respiro.
- No. - Gli invitati ridacchiarono alla sua temerarietà. - Voglio che mia sorella sia riconosciuta come la figlia legittima del generale Massimo Decimo Meridio e che ne prenda il nome… se così lei desidera e se i suoi genitori legali acconsentono… e che sua madre sia riconosciuta sempre la sua madre legittima e legale.

- Una sorella? - esclamò Severo. - Ebbene, non è divertente? - Sollevò entrambe le sopracciglia e chiese con deliberata lentezza. - Una sorella bastarda?

Glauco s’infuriò. E anche Mario.
- E’ la figlia di genitori amorevoli, - ringhiò Glauco. - Una figlia che… come il suo fratello sopravvissuto… non ha mai avuto il privilegio di conoscere suo padre.

- Perché dovrei obiettare a questo? - chiese Severo roteando gli occhi teatralmente.

- C’è un’altra cosa, - disse Glauco con calma. - Voglio che a Lucio Vero sia permesso di andare ovunque desideri nell’impero e di vivere liberamente ovunque lui desideri…

- Lo può fare anche adesso! - interruppe Severo, infuriato ora. - Io sono quello che salvò il ragazzo dall’esilio, che gli diede un’istruzione e una posizione di governo come è il suo diritto di nascita! Come osi sottintendere il contrario!

Lucio fece un passo avanti nel tentativo di attenuare l’ira dell’imperatore.
- Sicuro, lo facesti, Cesare, e te ne sarò riconoscente per sempre. Tuttavia, vorrei sentirmi più benvenuto a Roma, e che le spie lascino la mia casa.

Severo si alzò in un turbinio di porpora e si piazzò di fronte al nipote di Marco Aurelio, afferrò le spalle di Lucio (le nocche bianche come le unghie affondate nelle spalle del giovane) poi lo spinse in avanti in uno stretto abbraccio… una grandiosa dimostrazione d’affetto per suo ‘nipote’.
- Sei sempre il benvenuto qui, come sai. Sempre, - disse a voce alta, così che gli ospiti potessero udire, poi si volse verso Lucio per accertarsi che anche l’ultimo degli invitati fosse testimone di quello  scambio ‘affettuoso’.

Lucio stette al gioco e rispose garbatamente.
- Ti ringrazio, Cesare. Inoltre apprezzerei di avere un busto di mio nonno da porre nella mia casa di Octodurus. Ho notato che non ce n’è nessuno in esposizione nel palazzo, al momento, per cui suppongo che ce ne sia un magazzino pieno da qualche parte.

- Non ce n’è nessuno in esposizione? Che terribile svista! - esclamò Severo. - Naturalmente ne avrai uno. Fai la tua scelta. - Laciò andare Lucio di scatto e gli diede una leggera spinta per indicare la fine della loro conversazione. - Ora ho io una richiesta. - Si voltò verso Glauco e sollevò le sopracciglia per chiedergli ironicamente il permesso di parlare. - Suppongo che sia il mio turno ora? - All’assenso serio del giovane egli continuò, andando vicino a Celia e piegandosi in modo che le sue parole fossero udite soltanto dalla donna e da Glauco. - Io chiedo che il documento in questione non veda mai la luce del giorno. Che il suo contenuto sia sigillato per sempre. Altrimenti, tutte le vostre richieste diventeranno immediatamente nulle e senza effetto.

Glauco annuì il suo assenso e così fece Celia, poi ella aggiunse.
- Il documento sarà tenuto al tempio, comunque, per accertarsi che tutte le clausole di questo nuovo contratto siano rispettate. Se non lo saranno… o se mai saranno revocate… il contenuto sarà divulgato al senato e ai comandanti militari.

Lo scriba annotò. Poi disse.
- Dovete firmare entrambi, prego.

I due uomini lo fecero.

- E io controfirmerò. - disse Celia, e lo fece.

Severo quindi si voltò così bruscamente che, turbinando, il suo mantello fece rovesciare la sedia vuota  con gran baccano, poi egli si fece strada tra la folla compiaciuta.
- Abbiamo finito qui! - ringhiò ai suoi ospiti. - La festa è finita.