La Storia di Glauco: Capitolo 75

Capitolo 75 - In trappola

I quattro uomini si rannicchiarono per il terrore. Tutti erano all’interno dello scomparto e fino all’ultimo momento nessuno di loro aveva sentito il trambusto del corteo nuziale al di fuori della camera.

La sposa strillò ancora e il viso sbigottito del padre presto riempì l’ingresso al divisorio.
- Che cosa succede? Ladri? Abbiamo preso dei ladri? - Gridò da sopra la spalla. - Chiamate le guardie! - Poi fece un passo indietro e abbaiò agli intrusi. - Uscite di lì. Subito!

Glauco fece segno ai suoi compagni di non muoversi, poi raddrizzò la schiena e avanzò verso la luce, le mani vuote tenute distanti dai fianchi ad indicare che non era armato.

- TU! - urlò Plauziano, con un suono molto simile a quello della sua isterica figliola.

Lo sguardo di Glauco passò su quel viso imporporato e si fermò su quello ugualmente inebetito dell’imperatore. Sua moglie, Giulia Domna, sembrava stesse per svenire, cosa che invece aveva già fatto la sposa. Caracalla ridacchiò felice per l’inattesa e benvenuta interruzione alla sua notte di nozze e approfittò della confusione per eclissarsi. Dietro di loro si parava una varietà di ospiti, con le facce raggelate per la sorpresa, mentre altri invitati premevano per entrare nella spaziosa camera da letto, cercando di vedere che cosa fosse tutto quel trambusto, prima di essere spinti rudemente da parte dalle guardie armate che entrarono di corsa nella stanza.

- Ti ho inseguito per tutto l’impero e ti trovo qui? Prendetelo! - ordinò Plauziano e Glauco fu afferrato brutalmente e fatto voltare, con le braccia tirate dolorosamente dietro la schiena. Plauziano strappò una spada ad una terza guardia e la brandì davanti al viso del suo prigioniero, rivolgendosi all’imperatore. - Te l’avevo detto, Settimio, che avremmo dovuto semplicemente disfarci di lui . Ora... concedimi l’onore.

- No. Metti giù la spada, - ordinò Severo, la voce stentorea, le emozioni sotto controllo, malgrado la furia nei suoi occhi. - Si è arreso. - Guardò verso lo scomparto. - Chi c’è là dentro con lui?

- Venite fuori, tutti voi! - ordinò Plauziano, rivolgendo la lama verso l’apertura buia. Mario e Lucio avanzarono nella camera da letto ed immediatamente le guardie li afferrarono e li spinsero verso il centro della stanza, facendoli inciampare.

- Lucio Vero? - ansimò Severo sbalordito. - Lucio Vero? Che cosa sta succedendo qui?

- C’è ancora qualcuno là dentro, - disse Plauziano, trascinando fuori Brenno e scaraventandolo nella stanza. Il ragazzo vacillò e cadde lungo disteso sul letto della sposa, sollevando una pioggia di petali di rosa.

Severo roteò in un turbine di seta viola.
- Portate questa gente fuori di qui, - ordinò, dal momento che sempre più invitati si spingevano nella stanza, ansiosi di vedere quello che poteva rivelarsi l’intrattenimento migliore della giornata. Si limitarono a sparpagliarsi appena le guardie si avvicinarono, lasciando così spazio ad altri che immediatamente lo colmarono.

- Perchè? - domandò Glauco. - Che cos’è che non vuoi che vedano?

- Tu, piccola canaglia impudente, - ruggì Plauziano e tirò un manrovescio al prigioniero facendogli schioccare dolorosamente la testa all’indietro, mentre gli anelli del pretoriano aprivano dei tagli lungo la mascella di Glauco.

- Basta così! - ordinò Severo al suo collerico comandante dei pretoriani, tenendo d’occhio al contempo gli ospiti, che rifiutavano di andarsene. - Abbiamo bisogno di informazioni. - Si avvicinò all’apertura buia. - Bene... Non sapevo neppure che qui ci fosse un nascondiglio. - Tornò a guardare Glauco e sollevò un sopracciglio. - Ma ovviamente tu sì. Hai rischiato molto per arrivarci. - Ridacchiò sommessamente. - Non sarà che stai cercando un particolare documento, vero? - Severo infilò la testa nell’oscurità.

- No... Quello ce l’ho già, - rispose Glauco tranquillamente.

L’imperatore ritirò la testa di scatto e il suo sguardo divenne bruciante.
- Lo sapevo. Dov’è?

- In un luogo molto sicuro... anche da te. - Glauco ignorò il sangue che gli colava lungo il collo in una scia calda e appiccicosa.

- Bugiardo. Che altro potrebbe esserci qui per il quale rischieresti la vita pur di averlo? - Severo scomparve all’interno dello scomparto. - Una torcia! - gridò. - Datemi una torcia! - Poco dopo gliene fu messa una nella mano tesa. Improvvisamente la sua risata riempì l’angusto spazio e si rovesciò nella camera da letto. Gli invitati si guardarono confusi ed eccitati, scambiandosi tranquillamente le loro ipotesi sul contenuto della misteriosa stanzetta e sull’identità di Glauco.

Severo emerse dall’oscurità, sempre ridendo.
- Così... è sempre stato qui. Proprio nella mia stessa casa. E chi ha messo la sua urna là, mi domando? Mhh? - Avanzò verso Lucio. - Di chi era questa camera da letto, Lucio? Di tua madre?

Lucio annuì.

- Non poteva sopportare di stare separata dal suo amante nemmeno dopo la sua morte, mhh? - schernì l’imperatore. Lucio rimase impassibile. Un mormorio corse tra la folla come una brezza d’estate sul frumento.

- Cercatelo, - ordinò Severo e due guardie si affrettarono ad obbedire.

- Il contratto non è là, - insisté Glauco poi trattenne il fiato quando la punta della spada di Plauziano gli punse la gola.

- Ebbene, gradirei constatarlo da me, - rispose Severo.

Contratto? Contratto? La parola percorse la folla di invitati.

Qualche istante dopo le guardie emersero.
- C’è un’urna, - disse una, - una corazza ed un piccolo armadietto, Cesare. C’è anche un pacchetto di cuoio.

Severo sogghignò trionfante e si avvicinò talmente a Glauco che il giovane indietreggiò all’odore di vino, cipolla e aglio che emanava dall’imperatore.
- Porta fuori il pacchetto, - ordinò Severo trionfante. Poi gridò ancora alle guardie. - Fate uscire tutta questa gente! Questa è una faccenda privata!

I consoli, i senatori, i pretori ed i governatori abbassarono lo sguardo e fecero per obbedire, ma il generale in pensione davanti alla porta incrociò le braccia e ostinatamente non si mosse. Intorno a lui, altri generali fecero lo stesso, creando un muro di militare possanza. Le guardie esitarono e guardarono il loro imperatore in attesa di istruzioni.

Severo digrignò denti, ma non osò rischiare di alienarsi i militari. Prese il pacchetto e rapidamente slegò i lacci di cuoio, srotolando i fogli di pergamena. Febbrilmente li fece scorrere sotto le dita in cerca del contratto che voleva... di cui aveva disperatamente bisogno. Egli aveva la ferma intenzione di bruciarlo, distruggendo per sempre le ultime volontà di Marco Aurelio... ma tra quei fogli non c’era. Disgustato, gettò i documenti sul pavimento e li calpestò, prendendoli a calci in un dispiego di infantile ripicca.

Mentre essi si disseminavano in giro, Lucio riconobbe la scrittura di sua madre. Che cos’erano? Lettere?

- Basta così, - abbaiò Plauziano. - Portateli alla Tulliana, - ordinò alle guardie. - Ci occuperemo di loro là. - Le guardie legarono ciascun prigioniero, preparandosi a farli uscire.

- Credo che dovremmo risolvere la questione qui e adesso, - disse una voce femminile e Severo si girò per vedere la Vestale Massima, in piedi davanti al generale in pensione, la corporatura del quale la faceva sembrare una nanerottola. Le altre cinque vestali facevano gruppo ai lati di lei... accompagnate da Massima.

- Celia Concordia, - disse Severo recuperando la propria compostezza. Si inchinò alla donna anziana. - Questo è un affare di stato. Non riguarda le Vestali.

- Oh, ma sì invece. Vedi, io conosco questo giovane, trattenuto così energicamente dalle tue guardie. - Ella camminò verso Severo, con piccoli passi regali, la testa alta. Aprì la mano, rivelando l’anello con sigillo di Marco Aurelio.

Glauco guardò sua sorella... pallida come un fantasma.
- Grazie, - disse lui solo con le labbra. Lei non aveva certo potuto udirlo, ma lo guardò direttamente negli occhi e sorrise fra le lacrime.

- Che cosa hai là, domina? - chiese Severo inchinandosi a quella donna minuscola che non gli arrivava alla spalla. Tuttavia, la sua statura non era indice del suo potere.

- E’ un anello che questo giovane... Massimo Decimo Glauco, figlio del grande generale Massimo Decimo Meridio...

La folla rimase senza fiato.

Ella continuò.
- ...mi mostrò per ottenere un’udienza alcuni mesi fa.

Severo deglutì. Plauziano ruggì e aprì un nuovo taglio sulla gola di Glauco.

- Non parlammo a lungo, - disse lei. - Mi diede un contratto...

Severo impallidì.

- ...da tenere per lui, al sicuro e in segreto. Mi dispiace se tradisco quella fiducia, Massimo Decimo Glauco, ma ritengo che sia giunto il momento di rivelare il contenuto di ciò che mi consegnasti.

Glauco annuì grato, le mani ancora dolorosamente legate dietro la schiena, il sangue che gli colava dal collo.

- Cerchi un contratto, Cesare? - chiese Celia.

Severo chiuse gli occhi.

- Credo di avere io quello che vuoi. Sono perfettamente informata del suo contenuto, e ho riconosciuto la firma di Marco Aurelio, così come il suo sigillo ufficiale. Era datato e sottoscritto da testimoni il sedicesimo giorno prima delle calende di aprile dell’anno 933 Ab Urbe Condita. Il giorno in cui morì. - Attese che l’emozione della folla diminuisse prima di continuare, con un leggero sorriso che giocava sulle sue labbra rugose. - E’ quello il contratto che cerchi, Cesare?

Severo si limitò a sprofondarsi in una sedia che una guardia aveva fatto scivolare sotto di lui appena in tempo ad evitargli una caduta imbarazzante.

- Ora, io ho due scelte. Posso consegnare quel documento al senato, - disse Celia con lentezza, - oppure, posso semplicemente trattenerlo come... un interessante documento storico... il cui contenuto rimarrà al sicuro.

Plauziano latrò in preda al panico.
- Mandate via questa gente dalla stanza! - urlò ai pretoriani, ed essi si affrettarono ad obbedire, avanzando con le spade sguainate dinanzi all’aristocrazia dell’impero. Ogni invitato rimase al suo posto... consoli, senatori, magistrati, governatori, generali e influenti uomini d’affari. Tutti ora rimasero al loro posto.

- Che cosa vuoi? - chiese Severo con calma alla donna in bianco che lo guardava senza traccia di compassione.

- Una sedia, prego, per cominciare, - disse Celia. - Le mie gambe non sono più quelle di una volta.

Severo fece cenno ad una guardia e comparve una sedia.

- Adesso libera quei giovani. Vorrei che il giovane Massimo Decimo Glauco si unisse a noi. - I pretoriani lasciarono andare le braccia di Glauco.

- No! - gridò Plauziano alle guardie. - Io sono il comandante dei pretoriani. Voi non obbedirete a nessun altro che a me! - Le guardie si guardarono l’un l’altra confuse ed una cominciò a tornare verso Glauco. Non sapevano più a chi obbedire ora... al loro comandante, al loro imperatore o alla donna più potente dell’impero.

Celia si alzò su gambe ben ferme.
- Ho ordinato che quegli uomini vengano liberati.

Il comandante pretoriano ruggì come un leone ferito e maldestramente si scagliò su Glauco, spazzando l’aria con la spada. Le signore gridarono e la folla indietreggiò. Le vestali ansiosamente misero Celia al sicuro e Severo si tuffò dietro due guardie. Ma la sbronza aveva fiaccato la coordinazione di Plauziano e Glauco con un semplice passo di lato schivò la spada. Sbilanciato, il pretoriano inciampò e cadde pesantemente contro la parete, poi riguadagnò l’equilibrio, per affrontare di nuovo il suo giovane nemico che ora stringeva come uno scudo la corazza di cuoio sciupata di suo padre.

- Sei pazzo! - strillò Plauziano. - Pensi che un pezzo di cuoio ti salverà?

- Ha servito bene mio padre, - rispose Glauco usando la corazza per deviare due colpi violenti.

- Quel traditore! Tuo padre il traditore, vuoi dire? L’uomo che ha assassinato il suo imperatore, Marco Aurelio? Quel bastardo traditore? - Le vene violacee si gonfiarono nelle tempie del comandante pretoriano.

Glauco si avvicinò audacemente a Plauziano.
- Io credo che la signora abbia un contratto che afferma il contrario, - sorrise tranquillamente, le sue parole rivolte soltanto alle orecchie dell’avversario. - Un contratto che vi può portare entrambi, tu ed il tuo imperatore, alla rovina.

- Sporco figlio di puttana, - sputò Plauziano girando in cerchio con passi malfermi. - Come osi minacciarmi?

- Sei ubriaco, Plauziano, - lo schernì Glauco. - Se mi attacchi io troverò il modo di ucciderti... proprio come feci con quei soldati a Petra che avevi mandato ad assassinarmi.

- Plauziano! - urlò Severo. - Metti giù la spada!

- No! Lo abbiamo nelle nostre mani. Deve morire!

Severo si rivolse alle guardie.
- Disarmate il vostro comandante! - ordinò.

Esitarono.

- CHI E’ L’IMPERATORE QUI! - gridò Severo.

Le guardie si mossero verso il comandante, ma Plauziano tentò un altro affondo, con gli occhi iniettati di sangue quasi fuori delle orbite.

Glauco deviò i fendenti con la corazza, ma fu costretto ad indietreggiare verso la porta a causa della forza dei colpi dell’uomo infuriato. Urtò contro la corazza di bronzo del generale che aveva servito al tavolo. Con un sorriso sornione, l’uomo diede un colpo di ginocchio sotto la tunica di un pretoriano che gli stava vicino e s’impadronì della spada della guardia, che si era accartocciata dimenandosi convulsamente.
- Conoscevo tuo padre, - disse a Glauco con un largo sorriso porgendo la spada al giovane. Poi il generale urtò Plauziano che stava caricando e lo sbilanciò, dando il tempo a Glauco di infilararsi la corazza ed afferrare saldamente la spada.

Glauco valutò il suo avversario, procedendo con sicurezza verso il centro della stanza. Plauziano stava sudando abbondantemente ed ansimava, la faccia contorta in una smorfia d’odio, mentre girava intorno a Glauco con passo incerto.

- Falla finita, Plauziano. Non puoi battermi e lo sai. - Glauco quasi con indifferenza tirò un colpo violento verso la faccia dell’uomo e ridacchiò quando Plauziano indietreggiò in fretta.

- Tu... disgustoso figlio di un traditore!

- Non un traditore, Plauziano. Solo un uomo accusato ingiustamente. Tutto quel che voglio fare è rendergli giustizia. Nient’altro.

- Bugiardo! Tu vuoi tutto! - Egli tirò un fendente al petto di Glauco ed il giovane lasciò che il colpo scivolasse sul cuoio duro senza alcun effetto, poi intrappolò il braccio di Plauziano con il proprio, rendendolo inoffensivo, prima di spingerlo indietro. Il comandante pretoriano inciampò proprio nelle braccia pronte di Mario e di Lucio che lo presero e allegramente lo spinsero nuovamente nella mischia.

Ora disorientato tanto quanto ubriaco, Plauziano stava in piedi con la spada penzoloni, ma incerto su dove fosse il nemico. Glauco calò la punta tagliente della spada per rimuovere e far saltar via un enorme smeraldo dalla corazza d’oro del pretoriano. Esso rimbalzò sul pavimento di marmo e rotolò proprio da Brenno che lo raccolse contento.

Mentre Plauziano si fissava il petto a bocca aperta, costernato, Glauco incuneò la punta della spada nell’impugnatura dell’arma del suo nemico e la fece volare fuori della sua portata. Essa tracciò un arco nell’aria e Glauco fece un passo avanti afferrandola con facilità... tra le acclamazioni e gli applausi fragorosi della folla di invitati. Squadrò minacciosamente il suo nemico e tagliò l’aria con due spade.

Plauziano stava in piedi nel mezzo della stanza, confuso ed umiliato. Tentò ancora di abbaiare insulti a Glauco, ma Severo fece segno alle guardie di portarlo fuori. Questa volta esse obbedirono e come per magia la folla si aprì per farli passare, mentre gli insulti e le minacce impotenti del comandante pretoriano si attenuavano gradualmente fino ad essere del tutto soffocati dal tonfo di una porta di bronzo.

Severo sospirò profondamente, ogni ruga del suo viso ormai franata, come la sua barba arricciata.
- Sapevo che sarebbe stata una giornata difficile. Era nelle stelle. Ma prevedevo difficoltà con la giovane sposa ed il novello sposo, che si disprezzano reciprocamente... nient’altro. Ho avuto quello e di più. - Riuscì a fare un pallido sorriso mentre preparava tre sedie e graziosamente scortava Celia alla sua, dove ella fu subito circondata dalle altre vestali. Stancamente, tese educatamente una mano a Glauco, indicando una sedia vuota.

Glauco porse le spade a Lucio ed accettò l’offerta. L’imperatore si sedette nell’ultima sedia... una piccola sedia da camera con un sedile ricamato e bordato d’oro... pallida copia del suo trono dorato.
- Anch’io ero un soldato, - disse a Glauco, - e un buon soldato sa quando abbassare le armi e negoziare una tregua.

- Ci serve uno scriba, - disse Celia e subito un uomo comparve con delle tavolette di cera.

- Papiro, prego, - ordinò lei e quello corse via, ritornando con i materiali richiesti.

- Ora, possiamo cominciare, - dichiarò Celia con un sorriso, abbastanza abituata alle trattative complicate.