La Storia di Glauco: Capitolo 74

 

Capitolo 74 - Il banchetto

Durante le tre ore successive il corridoio fra le cucine e la sala del banchetto fu animato da due file serpeggianti di servi, che portavano il cibo agli ospiti per poi rimuovere vassoi, coppe e piatti sporchi. Glauco si ritrovò troppo occupato per pensare ad altro che non fosse il suo lavoro e più di una volta passò persino vicino ai suoi tre compagni senza nemmeno notarli. Fra l’attività frenetica nella cucina piena di vapore ed il baccano, il rumore di stoviglie ed il chiacchierio nella sala del banchetto, il corridoio era un tranquillo rifugio relativamente benvenuto.

Glauco era stato assegnato ad un gruppo di divani sul fondo del corridoio, sistemati fra due colonne, che accoglievano un pretore e sua moglie, un generale in pensione in alta uniforme con la moglie ed il figlio, ed un ricco uomo d’affari che importava dall’Oriente spezie e profumi preziosi, accompagnato dalla moglie e da due figlie. Il gruppo si trovava accanto a quello dove Massima sedeva composta su uno sgabello vicino alle altre figlie nubili di suo ‘padre ‘. Ella era ben consapevole della vicinanza del fratello e di Mario, il quale era stato assegnato ad un tavolo in giardino, protetto dal sole da enormi coperture di tela a strisce. Ma Massima manteneva per lo più lo sguardo abbassato e non parlava se non le si rivolgeva la parola, come si addiceva ad una giovane donna del suo rango. L’unico segno esteriore della sua ansia era il continuo rigirarsi l’anello intorno al pollice.

Dopo quello che gli sembrò il suo centesimo viaggio, Glauco si appoggiò contro la parete del corridoio e si asciugò la fronte con la manica di lino. Anche se il suo lavoro lo faceva sudare e stancare, almeno non doveva rimanere seduto sul pavimento accanto al tavolo e servire il cibo per gli ospiti, tagliandolo in parti della dimensione di un boccone per la loro convenienza, come faceva la giovane serva che era stata assegnata al suo tavolo. Ella pazientemente, fra una portata e l’altra, puliva anche dita appiccicose con tovaglioli umidi. Né il suo lavoro poteva essere paragonato all’agonia patita dai poveri cuochi e dai loro assistenti che lavoravano tra spiedi accesi, forni ardenti e griglie roventi. Alcuni di loro erano già stati portati fuori sull’erba fresca per riprendersi da uno svenimento.

Agli ospiti non andava molto meglio. Alcune signore si stavano riprendendo... in una stanza predisposta a tale scopo... dall’aria densa generata da una combinazione di profumi nocivi, spezie eccitanti, fiori dolciastri, scaldavivande fumanti, dall’odore di un migliaio di corpi... a malapena mascherato dai vapori dell’incenso che bruciava in bracieri disposti strategicamente intorno alla stanza... così come dall’aver bevuto troppo vino Cecubo non diluito.

Massima si sventolava il viso con il tovagliolo mentre sorseggiava succo di mele e assaggiava i bocconi di cibo disposti davanti a lei. Non voleva sembrare ingrata, ma il suo stomaco si rivoltava al pensiero della lingua di vitello in crema di finocchio, dei carciofi in salamoia calda, dei ricci di mare in salsa speziata, della salsiccia di fegato affumicata, del rombo in gelatina... e quelli erano soltanto alcuni degli antipasti. Ella dovette letteralmente voltare il viso davanti a portate principali quali il cigno arrostito con salsa di miele, il pesce lucertola con uova e foglie di ruta, le mammelle di scrofa farcite, la focena affumicata e il coniglio in salsa di frutta. Quel giorno trovò sgradevoli persino le vivande più tradizionali quali pollame e carni arrosto, granchi al forno, pesce fritto, volatili selvatici farciti e la porchetta in agrodolce. Era semplicemente troppo nervosa per assaggiare qualcosa di diverso dalle verdure sottilmente affettate in salsa d’agro di vino, qualche oliva farcita e paste dolci appena sfornate.

Massima era sicura che la sposa si sentisse proprio come lei, dal momento che la ragazza rifiutava tutto ciò che le veniva presentato e stringeva il suo calice di vino come un’annegata afferra una cima di salvataggio. Aveva lasciato il banchetto più d’una volta, accompagnata da un turbine di ancelle preoccupate, molto probabilmente per vomitare le copiose quantità di vino che aveva bevuto. Ritornava ogni volta con un colorito sempre più verdognolo. Massima non riusciva proprio a biasimarla per quel tentativo di ubriacarsi. Il suo novello marito era seduto su un divano, all’estremità della pedana più lontana dalla sua, ma anche da quella distanza Massima poteva vedere gli sguardi d’odio che lanciava alla sua sposa. Ella doveva essere terrorizzata dalla notte a venire. Suo padre non le era d’alcun aiuto. Plauziano le afferrava il braccio in una morsa dolorosa e le bisbigliava parole rabbiose all’orecchio. Ella si rannicchiava e cercava di svincolarsi, ma lui implacabilmente la tirava a sé ogni volta. La madre della sposa si limitava a star seduta al proprio posto, quasi fosse congelata, lo sguardo fisso sulla parete opposta, come se fingesse d’essere completamente altrove.

Massima cercò suo fratello con lo sguardo e lo vide ad un tavolino che riempiva alcune anfore da una più grande, posta contro la parete e nascosta da palme in vaso. Pur attento a mostrare la schiena alla pedana, egli si muoveva con una grazia fluida non comune in un uomo con la sua corporatura. Per quella che le sembrò la centesima volta, quel giorno, ella ringraziò gli dei per averle dato un fratello come lui... e per il suo affascinante amico, Mario. Ella intravvedeva Mario soltanto quando il giovane correva dal giardino al corridoio, visibilmente più agitato di Glauco. Brenno... povero ragazzo... si stava arrangiando. Non avendo idea di che cosa fare, guardava costantemente gli altri servi e imitava le loro azioni, poi veniva rimproverato dall’ometto nervoso perché si muoveva troppo lentamente. Ella vide il suo giovane amico alzarsi con un vassoio su cui stava un’alta catasta di piatti sporchi e lottare per portarselo alla spalla, poi egli fece un passo avanti e volò a faccia in giù. Il vassoio ed il suo contenuto si rovesciarono e si sparsero sugli ospiti sorpresi, e fecero un gran rumore cadendo lungo il pavimento di marmo.

Tutta l’attività si fermò mentre il fracasso superava persino il più rumoroso chiacchierio. Anche i suonatori di flauto e lira, celati dietro una tenda, presero al volo l’occasione di quel caos per fare una pausa non programmata. Massima si alzò in piedi, la mano alla bocca per la sorpresa. Senza riflettere accorse per aiutare Brenno. Glauco la batté sul tempo e senza tante cerimonie le bloccò il passo con il proprio corpo.
- Torna al tuo posto, - le sibilò. - Ci penso io. - Ella indietreggiò di qualche passo, ma non riuscì ad andare oltre a causa degli spettatori radunatisi dietro di lei. Osservò a bocca aperta... e con orgoglio considerevole... il modo in cui Glauco prendeva in mano la situazione, organizzando altri servi per aiutare a pulire il disordine, mentre calmava i nervi a fior di pelle e l’ira crescente degli ospiti imbrattati dal cibo. Egli prese da terra la pianella che, scivolata da sotto il divano, aveva causato l’incidente, poi riuscì quasi a far sì che la proprietaria, intontita dal vino, gli chiedesse scusa per la propria disattenzione, blandita dalla voce di lui, profonda e rilassante. L’eccitazione presto finì, e gli ospiti si dispersero, permettendo a Glauco di accompagnare in corridoio un Brenno tremante, per la reprimenda.

Stercolino calò su di loro con la forza unita di tutte e tre le Furie. Glauco lasciò che Brenno si accasciasse contro la parete e si mise a viso a viso con l’ometto... o, piuttosto, a viso contro petto. L’ispanico abbassò lo sguardo sul piccoletto.
- Suvvia, Stercolino, è stato un semplice incidente.

- Un incidente. Un incidente. Incidenti non devono accadere alle nozze reali. Sei una vergogna, giovanotto! - gridò Stercolino a Brenno da dietro Glauco, che contrastava ogni suo sforzo di arrivare al ragazzo. - Vai in cucina! Non sei degno nemmeno di servire i cani! - Mentre Brenno sgattaiolava via, Stercolino rivolse la sua collera su Glauco. - E tu! Sembri piuttosto sicuro di te. Potrai prenderti cura sia del suo tavolo che del tuo, se credi d’essser così bravo. E non voglio sentire alcun reclamo dagli ospiti di entrambi i tavoli!

Glauco scrollò le spalle. Mancava solo il dolce. Poteva farcela. Dopo sarebbero venuti i discorsi e i brindisi per augurare felicità e fertilità alla giovane coppia. La folla alticcia avrebbe alzato i calici per augurare all’imperatore salute e lunga vita. Non aveva nessuna intenzione di essere lì in quel momento.

La donna la cui pianella aveva fatto inciampare Brenno gli scoccò un sorriso eccessivo e sbilenco, contenta di vedere che era stato assegnato al suo tavolo. Adesso erano tutti piuttosto ubriachi e Glauco sentì più di una volta le dita di lei strisciare sulle sue natiche, coperte appena appena, mentre puliva il tavolo vicino a lei. Le brocche d’acqua e le anfore piene fino all’orlo, Glauco ritornò al suo primo tavolo e riempì i calici degli ospiti. Poi colse lo sguardo di Mario e annuì. Si diressero in cucina, seguiti molto presto da Lucio che li aveva osservati con discrezione per tutto il pomeriggio, mentre svolgeva le proprie mansioni ad un tavolo che per i suoi gusti era fin troppo vicino alla pedana. Soltanto l’evidente dimostrazione pubblica dell’infelicità dei due sposini aveva impedito ai loro troppo preoccupati genitori di notare che cosa stava accadendo tra i loro ospiti o i servi.

Nella cucina trovarono Brenno, imbronciato, che sistemava torte di noci e miele su vassoi già guarniti con un assortimento di frutta fresca e glassata, paste elaborate e torte di crema alla frutta. Glauco si mise in bocca un’albicocca glassata, poi prese gentilmente Brenno per il braccio, conducendolo dietro Mario che stava già seguendo Lucio oltre i calderoni anneriti e i forni a cupola nel retro della cucina.

Alle grida di “Feliciter!”, dalla sala del banchetto scivolarono dietro una semplice porta di legno, dove l’aria era gradevolmente più fresca. Senza una parola, Lucio li condusse attraverso quel passaggio lungo e stretto illuminato soltanto da alcune finestrelle poste ad intervalli regolari. Salirono una rampa di scale buie e là si accalcarono, mentre Lucio apriva uno spiraglio ed esplorava il corridoio. Poi fece loro segno di venire avanti ed emersero in un vasto corridoio luminoso.

- Dove siamo? - chiese Glauco sottovoce.

Lucio sorrise.
- Dall’altro lato di quelle porte di bronzo. - Fece loro cenno con la testa, poi si voltò nel senso opposto. - Seguitemi. Ci siamo quasi. - Camminarono in punta di piedi, anche se le loro calzature leggere non facevano alcun rumore sul pavimento di marmo lucido. Lucio si fermò in fondo al corridoio, davanti ad una porta di legno massiccio intarsiata con intricati motivi geometrici. Girò la maniglia di bronzo e spinse la porta dolcemente. Si aprì senza far rumore. Egli inspirò a fondo poi fece un passo all’interno... e si arrestò di colpo.

A Glauco balzò il cuore in gola.
- Cosa c’è che non va? Lucio, cosa c’è che non va?

- E’ diversa. E’ completamente diversa. - Entrò nel salotto e gli altri tre lo seguirono.

- Che cosa c’è di diverso? - domandò Glauco mettendosi accanto a Lucio.

- Le pareti, l’arredamento...

- Vuoi dire che le pareti sono state spostate? - chiese Mario, confuso.

- No... no, non credo. Solo ridipinte. I murali sono completamente differenti, ed i colori. Anche la mobilia è differente, è stata spostata tutta.

- Be’, suppongo che ci potevamo aspettare qualche cambiamento, in vent’anni, - disse Mario, in tono pratico.

- Lo trovi sconvolgente? - chiese Glauco osservando il viso di Lucio in cerca di segni di dispiacere.

- No, non sconvolgente. Un po’ disorientante. - Poi scrollò le spalle. - Questa non è la stanza che cerchiamo, comunque. La camera da letto è al di là di quella porta.

Ma anche quella stanza era cambiata e sembrava che Lucio non sapesse da che parte voltarsi.

- Quale parete, Lucio? - chiese Glauco guardandosi intorno. Poi il suo sguardo cadde sul letto, appollaiato su un’alta piattaforma al centro della stanza e cosparso di petali. Ghirlande di rose e viole erano state avvolte intorno alle colonne del baldacchino. Noci, grani di frumento e uva passa erano stati sparsi sul pavimento intorno al letto. - Uh oh, - disse.

- Cosa? Che cosa c’è, - domandò Mario, poi anche lui vide il letto. - Uh oh, - ripeté.

- Il letto nuziale, - disse Lucio. Inspirò a fondo. - Questo non ci lascia molto tempo. - Si voltò lentamente. - Penso che fosse quella parete, - disse, indicandola. - Ero solito identificarla tramite la scultura ed il murale, ma la scultura non c’è più ed il murale rappresenta la scena di un giardino, non un decoro architettonico.

- Riesci a ricordare dove, sulla parete? - chiese Mario facendo scorrere leggermente i polpastrelli sopra l’intonaco.

- Verso quell’angolo, penso. - Sollevò le mani in un gesto d’impotenza, costernato. - Mi dispiace, Glauco. E’ passato troppo tempo.

- Non preoccuparti, - lo rassicurò Glauco. - La troveremo. Mario, comincia da quell’estremità e Lucio, tu comincia dall’altra. Brenno ed io cominceremo dal centro e procederemo verso di voi. Andate avanti molto lentamente. Cercate ogni imperfezione verticale... qualunque segno di una crepa nella parete. - Con attenzione e lentamente esaminarono tutta la parete fino a che non si incontrarono, con i volti che riflettevano il loro disappunto. - Dobbiamo rifarlo, molto più lentamente questa volta. Forse dovremmo scambiarci i posti, - propose Glauco. Riprovarono, senza successo. - La crepa deve essere stata riempita quando la parete è stata ridipinta. Può persino essere stata reintonacata, prima.

Una porta sbattè in lontananza e tutti loro trattennero il respiro. Dopo essere rimasti in ascolto per qualche minuto, Glauco disse,
- Come si apriva la porta dello scomparto, Lucio?

- Um... spingevamo e poi la facevamo scorrere di lato, credo.

- Allora spingiamo e facciamo scorrere le sezioni della parete, - suggerì Glauco e Mario annuì in assenso. - Potrebbe essere meglio se due di noi lavorano insieme per combinare le nostre forze. Mario, tu aiuta me. Lucio, tu e Brenno state indietro.

Glauco e Mario procedettero lentamente giù per la parete, spingendo delicatamente.

Niente.

- Proviamo di nuovo con più forza, - disse Glauco asciugandosi il sudore dalla fronte. Un momento dopo gridò: - Qualcosa si è mosso! Qualcosa si è mosso! Venite ad aiutarci.

Lucio e Brenno spinsero con le spalle contro la parete ed improvvisamente l’intonaco si spezzò e si sbriciolò, rivelando le sezioni di un’apertura verticale quasi impercettibile. Quasi frenetici ora, artigliarono il rimanente intonaco fino a rivelare l’intera stretta fenditura. Tossendo leggermente per la polvere, Glauco disse:
- Ora spingiamo e facciamo scorrere. Tutti insieme. Spingere e scorrere.

Un momento dopo Mario esclamò:
- Mi sembra di averla sentita muoversi leggermente.

Glauco ispezionò la crepa. Era un poco più larga.
- Ancora, - disse. Questa volta furono inondati dall’intonaco di marmo dipinto mentre la parete scivolava, stridendo e gemendo.

- Basta così! Posso infilarmici, - disse Glauco, ansando per lo sforzo e l’eccitazione. - Posso entrarci. - Inspirò a fondo alcune volte poi espirò per sgonfiare il petto il più possibile... e s’infilò nell’apertura. Lo spazio era limitato e buio, illuminato soltanto dalla luce della stanza. Ma là, su un piedistallo di marmo davanti a lui, un’urna d’oro sbalzato brillò dolcemente quando la prima luce che vi entrava dopo più di vent’anni colpì il metallo. Glauco riuscì a distinguere l’aquila sbalzata nell’oro, dai luccicanti occhi ambrati. Cadde in ginocchio e guardò in su, nell’oscurità.
- Padre... So che puoi udirmi. Sto per portarti a casa in Ispania... là dove tu appartieni. - Aprì gli occhi e, attraverso lacrime quasi accecanti, vide la corazza di cuoio di Massimo accanto alle proprie ginocchia, appoggiata contro il piedistallo. Accanto ad essa c’era un piccolo armadietto di mogano intagliato, orlato d’oro.

- Glauco?

- Sì, sì... è qui. E’ tutto qui, - rispose Glauco, la voce rotta per l’emozione.

- Voglio entrare, - disse Lucio. - Allarga un po’ l’apertura, in modo che vi sia più luce. - Dopo qualche altra spinta lui, Mario e Brenno si ritrovarano accalcati all’interno del comparto.

Glauco si levò in piedi, la corazza tra le mani.
- E’ questa? E’ questa che indossava quando è morto?

- Sì, - disse Lucio. - Riconosco i cavalli. - Alzò lo sguardo. - E’ lì c’è l’urna.

- Esattamente dove avevi detto che era. Grazie, Lucio, - bisbigliò Glauco. - Ecco, Brenno, prendi l’armatura. - Glauco si voltò verso l’urna.

"...pulvinar vero divae geniale locatur
sedibus in mediis, Indo quod dente politum
tincta tegit roseo conchylis purpura fuco. "
[1]

Lucio raggelò.

- Cos’è questo cantare? - chiese Brenno.

Improvvisamente lo strillo di una donna tagliò l’aria. Non erano più soli.



[1] Catullo, Carmen LXIV [carmen nuziale di Teti e Peleo] “E nel cuore della casa è pronto il letto nuziale della dea: inciso in avorio indiano, lo ricopre una coltre tinta con la porpora rosa delle conchiglie ...” (N.d.T.)