La Storia di Glauco: Capitolo 73

 

Capitolo 73 - L’ospite inatteso

- Non andremo da nessuna parte, in questo modo, - disse tetro Lucio dopo aver sbirciato da dietro un angolo le porte bronzee sbarrate e sorvegliate.

- Perchè dovrebbero essere ancora sorvegliate? Di sicuro l’intera famiglia è alla cerimonia, - bisbigliò Glauco.

Clap! Clap!

I quattro uomini sussultarono per la sorpresa al rumore tagliente dietro di loro.

- Avete perso la strada? - chiese l’ometto nervoso con una punta di sarcasmo. - Venite! Dobbiamo preparare il banchetto mentre è in corso la cerimonia. Seguitemi. Tutti abbiamo del lavoro da fare.

Come quattro scolari colti in fallo, essi seguirono Stercolino nella sala del banchetto e tutti, tranne Lucio, si fermarono di colpo e fissarono la sala a bocca aperta. Era uno spettacolo assolutamente mozzafiato. Da due lati essa si apriva completamente sui giardini, tra fontane e brezze leggere, e scintillava sotto la luce di un migliaio di candele, il cui riflesso rilucente nel marmo bianco ne raddoppiava il numero. Rose bianche erano intrecciate attorno ad ogni colonna dorata e ricolmavano enormi vasi posti su piedistalli di marmo. La sala era profumata di rose. L’imponente corridoio ed i suoi giardini erano stati predisposti per far accomodare un migliaio di persone, che si sarebbero sedute su divani raggruppati intimamente intorno a bassi tavoli di servizio. Accanto ai divani erano stati sistemati alcuni sgabelli per le donne nubili e i bambini. I gruppi d’arredo erano disposti in modo più spazioso vicino al palco, dove la famiglia imperiale avrebbe partecipato al pasto, ed erano considerevolmente più affollati man mano che la distanza dal palco... e l’incosistenza politica... aumentava.

Clap! Clap!

Glauco era sul punto di sferrare un pugno a quell’ometto irritante.

Come percependo la sua animosità, Stercolino si rivolse direttamente a Glauco.
- Il tuo lavoro è di controllare che ogni divano sia alla stessa distanza dal tavolo. Fai un pugno, come questo, - dimostrò Stercolino. - Il sedile del divano deve essere distante esattamente quattro pugni dal bordo del tavolo.

Glauco guardò il pugno dell’uomo, quindi il proprio. C’era una considerevole differenza di dimensione, ma non era certo il caso di farglielo notare. Invece, sorrise soavemente ed annuì, sperando che l’uomo andasse ad importunare gli altri servi.

- Io, hymen, hymenaeus... - Il tradizionale inno di nozze giunse loro dalla sala del trono.

Gli altri tre giovani si tennero occupati sistemando tavoli e divani nella posizione desiderata.
- Ora qual è il piano, Lucio? - chiese Mario.

- Avremo la nostra occasione quando il banchetto sarà in corso. Attenderemo fino a quando avranno mangiato e bevuto molto. Quindi cominceranno i canti e gli intrattenimenti. Allora dovremmo riuscire a fare la nostra mossa, inosservati.

"Si tamen a nobis aliquid nisi nomen et umbra
Restat, in Elysia valle Tibullus erit.
Obvius huic venias hedera iuvenalia cinctus
Tempora cum Calvo, docte Catulle, tuo..."
[1]

- Mi sa che tra poco verranno da questa parte, - disse Mario. - Sistemiamo questi divani, poi usciamo di qui. I miei genitori non devono vedermi.

Come su imbeccata, l’ometto ritornò.
- Ben fatto, ben fatto, - disse, anche se avevano toccato soltanto pochi divani. Una fila di cameriere veniva dietro di lui ed egli le spedì ad inginocchiarsi sui cuscini diposti ai bassi tavoli, per prepararsi a servire. Poi entrò il resto dei servi uomini, i quali presero posto intorno al perimetro della sala. Glauco, Mario, Lucio e Brenno furono mandati ad unirsi a loro.

Clap! Clap!

- Servi, il vostro lavoro è di aiutare le signore a sedersi. Dopo di che, su mia indicazione, vi recherete immediatamente alle cucine per prendere i piatti di cibo, che porterete ai camerieri che rimarranno qui. - I corni risuonarono. L’ometto si contrasse e sussultò e batté le mani. - Bene, bene. State pronti!

Mario, in piedi alla sinistra di Glauco, guardò il giovane, costernato. Non c’era proprio nessun posto dove nascondersi.

- Probabilmente non ti noteranno neppure, - cercò di rassicurarlo Glauco. - Questo posto sarà strapieno di gente. Nessuno guarderà i servi.

Appena finì la frase, gli eunuchi entrarono nella sala, in fila per due, e si diressero direttamente al palco, dove si prepararono a restare in piedi come statue dorate per tutta la sera, dietro la coppia di novelli sposi. I giovani sposi li seguivano, ed era chiaro che lei aveva pianto. Camminava rigidamente accanto al novello marito, che si rifiutava di toccarla o persino di guardarla. Furono accompagnati ad un divano dorato decorato di fiori ed elaboratamente intarsiato e la sposa prese posto, adagiandosi rigidamente. Caracalla, tuttavia, rifiutò di sedersi accanto a lei e si diresse verso un altro divano, e risoluto vi si sedette, incrociando le braccia in segno di sfida. Erano seguiti dall’imperatore e dall’imperatrice che impassibilmente non guardarono nè a sinistra nè a destra, ma si avviarono direttamente ai loro posti. Le dita di Severo si chiusero sulla spalla del figlio mentre gli parlava con calma, ma il ragazzo non si mosse. L’imperatrice si torse le mani e lo supplicò, con identico risultato. Plauziano e la moglie ignorarono entrambi i giovani e presero posto, i sorrisi congelati sulle loro facce.

Gli ospiti si accodarono subito, piuttosto discretamente, alla luce della difficile unione, e presero posto chiacchierando con calma e cortesia del tempo, o dei fiori... di qualsiasi cosa tranne che della cerimonia di cui erano appena stati testimoni. La sala presto cominciò a ronzare di attività mentre le coppie si dirigevano verso i loro posti. Con sollievo di Mario, i suoi genitori erano seduti sul lato opposto della sala rispetto a lui, e ben dietro il palco.

Glauco si sentì urtare il braccio. Ignorò la cosa. Fu urtato di nuovo, più forte questa volta.
- Perchè sei ritornato a Roma e non ti sei neppure messo in contatto con me? - gli sibilò all’orecchio una voce femminile.

Glauco si voltò, frastornato. Massima qui? Come c’era arrivata?

Come leggendogli nella mente, ella spiegò:
- Sono venuta con un conoscente d’affari della mamma... un uomo che ha parecchie figlie. Una di esse si è appena ammalata e lui ha accosentito a farmene prendere il posto. Ho dovuto far tutto all’ultimo momento, fratello.

- Non volevo coinvolgerti, - bisbigliò Glauco freneticamente, sperando che nessuno notasse quello strano scambio.

- Ebbene, considerami coinvolta!

- Prendi posto, Massima, prima che attiriamo l’attenzione.

- Dobbiamo parlare.

- Non adesso.

- Adesso, - insisté lei.

Chiedendosi con chi stesse parlando Glauco, Mario si fece avanti e aggirò l’amico.
- Massima! - farfugliò, dimenticando per un momento la loro finzione.

- Mario! - Il tono di Massima era accusatorio. - Avevi detto che ti saresti messo in contatto con me non appena fossi tornato a Roma.

La cosa si era spinta troppo in là. Altri servi certamente li stavano fissando, anche se gli ospiti no... almeno non ancora.
- Raggiungimi in giardino tra qualche minuto. Presto sarò chiamato fuori di qui, - disse Glauco con urgenza.

Ella gettò un’occhiata sarcastica ad entrambi e li aggirò, avvicinandosi alla finestra aperta e ritrovandosi alla luce del sole. Mario non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. La sua figura snella era avvolta in seta luccicante, del roseo colore dei boccioli di rosa bianchi. Una delicata collana d’oro tempestata di piccoli smeraldi le circondava il collo elegante, e pendenti assortiti le ornavano i lobi delle orecchie. I capelli neri le erano stati tirati in alto sulla sommità della testa, fermati da un cerchio d’oro, e le ricadevano a cascata sulla schiena in morbide onde inanellate. Riccioli minuscoli le sfioravano la fronte e le si arricciavano delicatamente alle orecchie. Egli sospirò, quindi gettò uno sguardo alle altre donne presenti nella sala. Massima era di gran lunga la donna più bella, lì dentro.

Appena gli ultimi ospiti presero posto e la confusione si quietò, giunse il segnale per i servi maschi di lasciare la sala. Le teste chine, Glauco e Mario seguirono gli altri nel corridoio, poi Glauco si fece da parte e prese a camminare nel senso opposto, con Mario che lo tallonava. Si fermò.
- Mario, non puoi venire con me. Devo parlarle da solo. Vai in cucina con gli altri e riferisci a Lucio e a Brenno che cosa è accaduto. Ti raggiungerò subito.

Riluttante, Mario acconsentì.
- Fai attenzione, - disse, affrettandosi a raggiungere la fila di servi.

Glauco trovò la sorella in piedi accanto ad una siepe ben potata di tasso, le afferrò il braccio e la tirò indietro mentre alcuni ospiti distratti cercavano ancora i loro posti.
 - Non parlare, ascolta e basta, - bisbigliò lui. - L’urna di nostro padre si trova all’interno di questo palazzo ed io intendo trovarla. Stiamo usando il matrimonio come copertura.

- La sua urna? - Gli occhi le si spalancarono. - Lui è sepolto qui?

- Non esattamente, ma non ho tempo di spiegarti. Nel bel mezzo della festa, noi entreremo negli appartamenti imperiali, perché è lì che essa si trova.

- Noi. Tu e Mario, vuoi dire.

- E Brenno, e Lucio Vero.

- Lucio Vero è con voi? - esclamò Massima.

Glauco annuì, lanciando un’occhiata intorno. Alcuni ospiti stavano chiacchierando proprio dall’altro lato della fitta siepe.

- Come lo farete? - ella bisbigliò, parecchio intrigata ora.

- Non lo so ancora.

- Lascia che vi aiuti.

- Neanche per sogno. E’ troppo pericoloso. Non voglio essere visto con te, neppure a parlarti. Se venissi preso, non voglio che qualcuno ti possa collegare a me.

 Massima soppesò la saggezza di quelle parole.
- Glauco, - disse. - Ho portato questo. Potresti averne bisogno. - Si tolse dal pollice l’anello con sigillo di Marco Aurelio.

- Come l’hai avuto? - chiese Glauco, stupito.

- Sono andata subito a casa dopo la processione di ieri, e alla mamma non c’è voluto molto per capire dove risiedevate. Abbiamo preso i tuoi effetti personali ed abbiamo trovato l’anello. Prendilo. Potresti averne bisogno.

- Non posso. Non ho tasche. Non posso indossarlo, attirerebbe troppo l’attenzione. Devi tenerlo tu.

- Ma di che aiuto può esserti?

- Ti prego, Massima... fa’ come ti ho detto e basta.

Ella si rimise l’anello sul pollice con molta più forza di quanto fosse necessaria.

Glauco continuò sottovoce.
- Mi puoi vedere durante il giorno. Devi soltanto ignorarmi. Promettimi che lo farai. Se attiri l’attenzione su di me, Severo e Plauziano mi riconosceranno immediatamente ed allora sarò un uomo morto. Promettimelo.

Ella annuì e lo baciò sulla guancia.
- Se avrai bisogno di me, sai dove trovarmi. Ti voglio bene, fratello.

- Anch’io ti voglio bene, sorellina.

Le baciò la fronte, poi ella uscì dall’altro lato siepe, gratificò gli ospiti sorpresi con un sorriso abbagliante ed entrò nel corridoio come se avesse appena approfittato di alcune boccate d’aria fresca.

Glauco attese ed ascoltò gli ospiti dal lato opposto della siepe congetturare sull’identità di lei. I corni suonarono di nuovo. Appena tutta l’attenzione fu rivolta al palco, Glauco sgusciò dalla siepe e attraversò i corridoi dirigendosi verso le cucine. I servi erano riuniti in un grande gruppo nel corridoio, fuori della vista dei cuochi frenetici. Malgrado la moltitudine di uomini, l’ometto irrequieto lo individuò. Con le mani sui fianchi chiese:
- E dove sei stato?

Glauco alzò le spalle e assunse un’aria imbarazzata.
- Ai servizi... - rispose.



[1] Ovidio, Amores III.9: “Se però di noi qualcosa rimane che non sia solo un nome e un'ombra, Tibullo abiterà nei campi Elisi. E tu, o dotto Catullo, con l'amico Calvo, ti farai incontro a lui con le giovanili tempie di edera cinte...” (N.d.T.)