La Storia
di Glauco: Capitolo 70
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Capitolo 70 - Il Palazzo
Il giorno seguente quattro servi con indosso pratiche tuniche attraversarono un cancello laterale del palazzo, attentamente sorvegliato, in mezzo al trambusto di attività precedenti le nozze, portando in bella vista le spille di bronzo che li identificavano come servi del palazzo. Le guardie non li guardarono neppure in faccia... si limitarono a gettare uno sguardo al loro petto, poi fecero loro cenno di passare, insieme a dozzine di altri uomini e donne con stesso abbigliamento e segno di identificazione.
Nel Foro, quattro uomini che indossavano toghe bianche a loro poco familiari e si ritrovavano un bel mucchio di monete ad appesantire le loro borse, si mescolarono con entusiasmo ai clienti del mattino, dirigendosi alle vicine locande per sperperare il loro inaspettato guadagno.
Una volta all’interno del cancello, Glauco, Lucio, Mario e Brenno si divisero in due coppie e per sicurezza si separarono. Lucio e Glauco si diressero verso l’entrata del palazzo per i servi, mentre Mario e Brenno si tennero indietro, con l’intenzione di seguirli una volta che i loro compagni fossero stati al sicuro all’interno.
Lucio e Glauco attesero in coda con dozzine d’altri servi, mentre le guardie
eseguivano un esame più accurato delle persone che entravano nella casa dell’imperatore
di Roma. Alcuni servi venivano allontanati con un
gesto, mentre altri venivano fermati ed interrogati.
- Che cosa stanno chiedendo loro? - bisbigliò Glauco.
- Le guardie probabilmente stanno interrogando quelli che non hanno mai visto prima... chiedendo loro a chi appartengono.
- Ti riconosceranno?
- No. Severo ha sostituito completamente i pretoriani, ricordi? Nessuno di questi soldati mi conosce, a meno che gli sia capitato di sorvegliarmi alla villa, il che è improbabile. Sono molto più propensi a riconoscere te, per cui tieni la testa giù e lascia parlare me. - Si spostarono più avanti con lentezza, finché Lucio non si trovò finalmente davanti alle guardie. Glauco si teneva di fianco ed un po’ dietro di lui, cercando di dissolversi nell’ombra dell’amico.
Il pretoriano col mantello nero gettò un’occhiata al viso di Lucio, poi al
suo petto.
- Non vi ho mai visti prima. Il vostro padrone è...?
Lucio s’inchinò e Glauco lo imitò all’unisono, il viso leggermente nascosto.
- Proveniamo dalla casa di Marco Claudio Seiano, signore. Il nostro padrone ci
ha mandati a servire l’imperatore, in qualunque modo possiamo, per questo evento illustrissimo e memorabile. - Lucio s’inchinò ancora,
e pure Glauco.
- Nome? - domandò la guardia studiando di nuovo il viso di Lucio.
- Lucio, signore, - rispose senza esitazione.
La guardia si chinò leggermente in avanti e gettò un’occhiata a Glauco.
- Il tuo nome?
- Giulio, signore.
La guardia aspirò rumorosamente dal naso.
- Nomi piuttosto pretenziosi per degli schiavi. Fate rapporto
a Stercolino. - Fece due
segni di spunta sulla tavoletta di cera che aveva in mano quando Lucio e Glauco
passarono dalla luce del sole nell’interno freddo e fiocamente illuminato di un
corridoio, vicino alle rumorose dispense dove molti uomini erano occupati a scaricare
casse di vino.
- Chi supponi che sia Stercolino? - chiese Glauco.
- Non lo so, ma non siamo interessati, comunque. Seguimi, e cerca di avere l’aria affacendata. - Lucio afferrò due stracci dalla sommità di un’enorme pila che quasi seppelliva la donna che li trasportava e ne lanciò uno a Glauco. Si avviarono faticosamente su per stretti gradini, aderendo alla parete di pietra per permettere ai servi affacendati di scendere a passo svelto le scale, poi uscirono in un largo corridoio di marmo. Lucio immediatamente cominciò a lucidare la parete di marmo venato di verde e Glauco ne seguì l’esempio, malgrado il fatto che il marmo già brillasse come uno specchio. Si spostarono lentamente, fermandosi per prestare speciale attenzione agli interstizi di una scultura o di un vaso ogni volta che una guardia si avvicinava. Tutto preso dal suo compito, Glauco usò il proprio alito per inumidire un punto particolarmente opaco, quindi applicò la forza del suo braccio muscoloso per lucidarlo a puntino. Mentre abbassava lo straccio, vide il suo viso riflesso e rise della sua espressione di torva determinazione. Poi il suo sguardo si concentrò sulla figura indistinta di un uomo in piedi dietro di lui. L’uomo portava gli ornamenti di un imperatore. Glauco raggelò.
Intanto Lucio si era addentrato nel corridoio, ma si affrettò a tornare
indietro quando si accorse del disagio di Glauco.
- Che cosa c’è che non va? - bisbigliò.
Perplesso, Glauco non riusciva a capire perché Lucio non fosse allarmato come
lui... poi le sue spalle si abbassarono ed un caldo rossore gli si diffuse sul
collo, finché tutto il suo viso non fu in luce. Si girò lentamente per mettersi
di fronte al busto di Settimio Severo che lo guardava torvo da un piedistallo di
marmo. Per coprire il suo imbarazzo, Glauco scrollò le spalle e indicò il
busto.
- Non molto realistico, vero? I suoi capelli non sono affatto
così, e nemmeno la sua barba.
Lucio non gettò neppure uno sguardo al volto di marmo, piuttosto divertito da quello arrossato davanti a lui. Sopprimendo un riso soffocato, afferrò il braccio del giovane ispanico e lo guidò lontano dalla collerica statua. Progredirono con costanza verso gli appartamenti imperiali, lucidando e raddrizzando le ghirlande frondose che erano state avvolte intorno ad ogni colonna. Il loro avanzare era lento e Glauco faceva del proprio meglio per non restare a bocca aperta davanti all’opulenza opprimente che c’era ovunque lui guardasse. Marmo e oro, fu la sua impressione del palazzo. Marmo e oro.
Svoltarono dietro un angolo in un altro corridoio e, senza interrompere la
loro avanzata, Lucio sollevò un vassoio di
piatti che una serva stanca aveva appena poggiato su un tavolo per riposarsi un
momento, lasciando la povera donna confusa quando si voltò di nuovo per scoprire
che il suo fardello era scomparso.
- Non fissare, - Lucio avvertì Glauco mentre si portava il vassoio alla spalla,
spostandolo finché non trovò il punto di equilibrio. Svoltò
un altro angolo. - Le porte che stiamo cercando sono proprio
in fondo...
- Ehi! Voi due! - gridò un pretoriano e Lucio si fermò di botto, con i piatti che tintinnavano e si spostavano pericolosamente per la brusca fermata. Glauco sollevò le mani per rendere stabile la pila e abbassò il viso verso il proprio gomito piegato. La guardia brandiva una spada ed un cipiglio che diceva che non avrebbe esitato ad usarla. Il suo compagno stava alcuni passi indietro, ugualmente attento e minaccioso.
- Sì, signore? - disse Lucio, il capo chino e il tono conciliante.
- Questo corridoio è vietato. Lo sapete. Girate al largo, - abbaiò il pretoriano.
- Mi dispiace, signore, - mormorò Lucio e s’inchinò. - Non si arriva di qui alla sala dei banchetti?
La guardia sospirò e borbottò qualcosa sottovoce sulla stupidità degli
schiavi.
- Tornate indietro. Primo corridoio alla vostra destra.
Lucio fece del suo meglio per inchinarsi malgrado il
suo carico.
- Grazie, signore. - Anche Glauco s’inchinò e girò su
se stesso, sempre in quella posizione sottomessa, affrettandosi ad uscire dalla
visuale delle guardie.
Lucio bisbigliò.
- Gli appartamenti sono dietro quelle porte di bronzo, in fondo al corridoio sorvegliato
da quei pretoriani.
- Non c’è un altro modo per arrivarvi? - chiese Glauco mentre si mescolavano al trambusto dei servi che si affrettavano intorno trasportando di tutto, da pile di lini a fini calici di vetro, a lucidi piatti e posate d’argento.
- Attraverso le cucine, - rispose Lucio. - Forse per i cortili, ma anche quel percorso probabilmente sarà sorvegliato. - Cedettero il passo ad un servo che spingeva un carrello carico di anfore di vino e quasi si scontrarono con due uomini che trasportavano un divano. - Ovviamente, la famiglia imperiale è in residenza, per prepararsi alle nozze, quindi soltanto i loro servi personali possono assisterla, e le guardie li conoscono tutti di vista. Ora è troppo rischioso, ma potremmo riuscire ad intrufolarci quando sarà iniziato il banchetto. Gli appartamenti imperiali dovrebbero essere vuoti, in quel momento, e la maggior parte delle guardie probabilmente sarà assegnata alle stanze pubbliche, per assicurarsi che gli ospiti non rubino nulla.
Improvvisamente, tutti furono costretti a
fermarsi dalla voce perforante di un pretoriano che sbraitava tra i corridoi e
le sale dove i servi stavano lavorando.
- Fermatevi! Smettete di fare quello che state facendo ed ascoltate! Fermatevi!
Fermatevi subito, ho detto!
Glauco rabbrividì. Che cosa succedeva? Il palazzo piombò nel silenzio mentre tutti si fermavano sui loro passi, immobilizzati nella parodia congelata del loro compito.
- Tutti i servi maschi devono fare immediatamente rapporto nella sala del trono! - ordinò la guardia. - Tutti gli schiavi maschi devono fare immediatamente rapporto nella sala del trono! Muovetevi! Svelti!
In silenzio, Glauco e Lucio si unirono alla fila di
uomini che si portavano sul lato nord, verso il luogo indicato.
- Che cosa pensi che stia succedendo? - bisbigliò
Glauco.
- Shhh, - avvertì Lucio. - Non ne ho idea, ma non mi piace.
Quando raggiunsero l’immensa sala, essa era già per metà affollata di uomini, tutti con l’abbigliamento che li identificava come schiavi. Glauco lanciò furtivamente uno sguardo intorno per cercare di scorgere Mario e Brenno. Si trovavano accanto ad una parete e apparivano inquieti come lui.
Immediatamente, dozzine di pretoriani marciarono nella sala e le enormi porte
di bronzo si chiusero, sbattendo con un rimbombo che fece eco all’accelerato
battito cardiaco di Glauco. Il giovane si sforzò di rilassarsi, costringendosi
ad abbassare le spalle irrigidite. Non era il momento di destare sospetti, ora
che i pretoriani gironzolavano lentamente in mezzo ai servi, studiando le facce
degli uomini lì radunati. Ma lo stomaco di Glauco si serrò
ed egli fletté le dita per impedir loro di fare lo stesso. Le guardie si
fermavano ogni pochi passi e squadravano gli uomini
dalla testa ai piedi, dicendo a qualcuno di fare un passo di lato e spingendo altri
verso la parete opposta.
- Voi, laggiù. Voi, mettetevi da una parte. - Un pretoriano si fermò proprio
davanti a Glauco ed il falso servo ne incontrò arditamente lo sguardo. La guardia
si accigliò a quel comportamente sfacciato, finché Glauco infine non abbassò gli
occhi e si sottomise a quell’insultante valutazione... ma non poté impedirsi di
serrare i pugni in segno di sfida. - Di là, - ringhiò il pretoriano e Glauco si
spostò per unirsi ad un folto gruppo di uomini che già
includeva Mario e Brenno. Lucio presto seguì.
Gli uomini ai quali era stato detto di restare da una parte furono rapidamente mandati fuori. Glauco li osservò con sgomento. Per che cosa erano stati selezionati? Si sospettava la sua presenza nel palazzo? Plauziano stava per entrare nella sala per cercarlo?
Un uomo effettivamente entrò nella sala del trono, ma anziché Plauziano, era
un ometto industrioso con un tic nervoso all’occhio sinistro, che batté le mani
per ottenere attenzione anche se l’immensa stanza era muta come una tomba. Non soddisfatto,
si arrampicò sulla parte più bassa di una piattaforma che sosteneva un’enorme
statua di nero basalto e batté di nuovo le mani.
- Ascoltate! Ascoltate tutti. Siete stati selezionati per un compito speciale.
Domani, un giorno di celebrazione, ci saranno parecchie gioiose processioni in
città. Una di esse, in particolare, sarà molto imponente
e voi ne farete parte. Il padre della sposa... il nostro comandante pretoriano,
il grande e grazioso Gaio Fulvio Plauziano... ha dato a sua figlia una magnifica
dote, degna della sua grandezza, in onore delle nozze più grandiose che l’impero abbia mai visto.
Se Glauco gli avesse sentito dire ancora la parola ‘grande’
riferita a Plauziano, sarebbe andato ad imbavagliarlo. Diede leggermente di
gomito all’uomo accanto a sé e chiese:
- Chi è?
- Sei nuovo qui? - chiese il servo.
Glauco annuì.
- Sono stato prestato al palazzo per le nozze.
- E’ Stercolino, il responsabile dell’organizzazione dei servi. E’ un ometto seccante, ma efficiente. Faresti meglio ad ascoltarlo.
Stercolino continuò.
- Voi schiavi avrete il grande onore di trasportare questi magnifici regali da
un lato all’altro del Foro, domani a mezzogiorno, in una processione che verrà ricordata per sempre negli annali di storia.
Glauco diede a Lucio una gomitata nelle costole e bisbigliò.
- Sai come si chiama quest’uomo? - Lucio scosse la
testa e Glauco continuò ammiccando. - Come il dio dello
spargimento del concime[1].
- Appropriato, - sorrise Lucio. Entrambi soffocarono la loro ilarià, attirandosi addosso gli sguardi di disapprovazione dalle guardie.
- I doni, - continuò Stercolino, - attualmente si trovano qui, a palazzo... ogni articolo avvolto con cura... per essere trasportati tutti al Colosseo, dove saranno immagazzinati durante la notte... e attentamente sorvegliati, naturalmente. Ritornerete a palazzo e rimarrete qui, stanotte, nei quartieri dei servi. Domani mattina andrete al Colosseo dal passaggio sotterraneo del palazzo e vi verrà assegnato un articolo da riportare a palazzo, attraverso l’arco del nostro grande imperatore, Settimio Severo, e per il Foro. Quindi i doni saranno esposti nella sala ricevimenti affinché i nostri ospiti li ammirino nel giorno delle grandiose nozze. Quando camminerete per il Foro, dovrete tenere alto l’articolo a voi affidato, affinché i cittadini vedano.
Glauco colse lo sguardo di Mario, ed il suo amico scosse le spalle.
Che stupefacente svolta di eventi.
Si erano domandati come entrare nel palazzo ed ora sembrava che non potevano più uscirne.
[1] Stercuzio o Sterculo,
secondo la mitologia romana, è il dio della concimazione dei campi (N.d.T.).