La Storia di Glauco: Capitolo 68

 

Capitolo 68 - Il racconto di Lucio: seconda parte

- Lucio, come fu il tuo esilio? - chiese Mario. - Non riesco ad immaginare una cosa del genere.

Le candele si erano quasi del tutto consumate e la stanza lentamente stava ridiventando buia. Fuori della finestra si udiva lo sbattere d’ali di pipistrelli ed il solitario canto, dolce e distante, dei grilli. Lucio fissava una fiamma morente, ma i suoi occhi erano focalizzati sul passato.
- Dopo il funerale di Massimo ci furono alcune settimane di relativa stabilità, il che fu sufficiente a dare speranza a mia madre. Cominciò a prepararmi per essere l’imperatore ad interim per il tempo necessario a che gli eserciti giurassero fedeltà al nuovo ordine. In verità, io ero piuttosto sollevato dal fatto che il mio incarico sarebbe stato di breve durata. Ricordavo mio zio e quanto fosse pazzo, e avevo la paura irrazionale di poter finire come lui. Ma vedete, senza un imperatore non ci sarebbe stata l’esigenza di una Guardia Pretoriana. Gli uomini che detenevano quella carica avrebbero perso un lavoro ben pagato e di potere. Il che non garbava alla maggior parte di loro. Non ci misero molto a decidere che, dopo tutto, non credevano che una repubblica fosse una buona idea, così presero il controllo del senato e vendettero la carica di imperatore all’uomo più capace di riempire con l’oro le loro tasche... Pertinace. Gli eserciti li sostenevano perché anche i comuni soldati avevano ottenuto un aumento e perché, in assenza d’un imperatore, erano caduti sotto l’influenza di ambiziosi capi militari. Roma era nel caos. Eravamo a palazzo, sotto arresto, e una volta che Pertinace si instaurò, noi fummo mandati via in una villa tra le colline, come ho detto, costantemente sorvegliati per molti mesi. Poi fu deciso che sia mia madre che io costituivamo un pericolo per la stabilità del regno di Pertinace... che, a dire il vero, non era affatto stabile. I pretoriani lo persuasero a mandarci in esilio a Capri. Dopo di che, le cose degenerarono molto rapidamente. Furbo come una donnola, Falco istigò un colpo di stato. Non molto tempo dopo, Pertinace fu assassinato. Sulpiciano e Giuliano si contesero il trono, mettendolo all’asta. Con il più alto donativo offerto ai pretoriani, fu Didio Giuliano ad ottenere il trono, fino a che Severo non glielo strappò con la protezione dell’esercito. Malgrado la sua lotta per mantenere vitale il senato, Gracco fu reso politicamente impotente e morì disilluso ed amareggiato, anni dopo.

Lucio incrociò una caviglia sopra il ginocchio e vi si appoggiò con entrambe le mani.
- Mia madre era una donna potente ed influente e i pretoriani erano molto diffidenti nei suoi confronti. Naturalmente, mandandola in esilio si sarebbero liberati anche di me. Due problemi risolti in un colpo solo. Fummo mandati sull’estremità occidentale di Capri, un misero pezzo di roccia... freddo e nebbioso d’inverno. Fummo trasferiti di nascosto dalla villa, nel bel mezzo della notte. A Capri mia madre ed io vivemmo isolati dai pochi altri residenti dell’isola, a parte le persone che ci portavano il cibo. Soltanto la donna che si occupava di me rimase con noi... Rufa. Non fu obbligata, lo fece di sua scelta.

- Come vi portarono a Capri? - chiese Mario.

- Fummo portati ad Ostia su un carro e con un’imbarcazione fino a Capri. E’ strano ciò che si ricorda quando si è bambini, ma io ricordo Rufa che, ad Ostia, vedendo sul molo una donna che lei conosceva, andò a parlare con lei. La donna teneva in braccio un neonato. Ricordo che quella signora fu gentile con me e che aveva bellissimi capelli rossi.

Glauco e Mario si guardarono a vicenda, stupefatti.

- Il viaggio sull’imbarcazione fu terribile. Stetti male tutto il tempo e anche dopo, per giorni. Mia madre cercava di farsi forte per me, ma passò le prime settimane singhiozzando. Di notte invocava il nome di Massimo. Penso che la maggior parte delle sue lacrime fossero per lui. Come vi ho già detto, io trovai rifugio nelle mie fantasticherie, sognavo che Massimo fosse ancora con noi e che fosse mio padre. Inutile dirlo, quei primi mesi furono terribili. Dopo di che, cominciammo ad abituarci e mia madre mi insegnò storia, diritto e filosofia, e faceva dei disegni per insegnarmi la geografia. Mi narrava storie... molte di esse su un generale coraggioso e nobile che sconfiggeva i barbari e salvava l’impero. Di notte entrambi sognavamo di Massimo. - Lucio sollevò la testa come se si fosse appena ricordato di qualcos’altro. - Fu Rufa, a proposito, a dirmi che un giorno qualcuno avrebbe potuto rivolgersi a me in cerca d’aiuto. Pensai che fosse assurdo... chi avrebbe chiesto aiuto ad un ragazzo? L’avevo completamente dimenticato, finché tu non mi hai mostrato quell’anello. Mi ha fatto sobbalzare per la sorpresa, a dire il vero.

- Lucio, l’anello appartiene a quella donna di Ostia con i capelli rossi, - disse con delicatezza Glauco. - Si chiama Giulia. Lei e mio padre si conobbero quando lui fece la campagna di Mesia per annientare la ribellione del generale Cassio. Non ci fu alcuna relazione amorosa fra loro, a quel tempo... ma si incontrarono di nuovo anni dopo, a Roma, dopo che lui fu ridotto in schiavitù. Lei tentò di salvarlo, ma non ci riuscì. Lo amava... ma non riuscì a salvarlo. Proprio come tua madre.

Lucio sbatté le palpebre.
- Il neonato...?

Glauco annuì.
- Una bambina, figlia di mio padre. Si chiama Massima e attualmente si trova a Roma.

Lucio sospirò.
- Tua sorella. Nessuna meraviglia che mia madre sembrasse eccezionalmente turbata dopo quell’incontro. Deve averlo saputo. Pensai che fosse dovuto semplicemente alla nostra situazione. Tua sorella ti assomiglia?

- No, nemmeno un po’, - si intromise Mario. - E’ bella ed intelligente e spiritosa e raffinata e gentile. Non gli assomiglia per niente.

Glauco roteò gli occhi.

Lucio sorrise: un’amichevole competizione fra due uomini che si vedevano rivali per l’affetto della stessa donna?
- Sei molto fortunato, Glauco. Ho desiderato molto un fratello o una sorella, quando ero piccolo. Ero sempre molto solo, per gran parte del tempo. Ero solito giocare con le guardie, perché non c’era nessun altro.

- Che altro accadde, Lucio? - chiese Mario, ansioso che il racconto continuasse.

- Mia madre visse per anni, ma infine morì di consunzione. Non penso che si sia sentita amareggiata per quella che era stata la sua vita, ma fu terribilmente sola. Al primo segno della sua malattia, io fui allontanato da lei, in modo da non ammalarmi anch’io. Quando morì, volevo morire anch’io... ma non accadde. Infine fui liberato dall’isola nell’anno 198, dopo che Settimio Severo s’impadronì del trono, sostenendo di essere il figlio adottivo di Marco Aurelio. Dopo tutto, come avrebbe potuto maltrattare il suo presunto nipote? Ma io sono sicuro che la maggior parte della gente, a Roma, pensasse che io fossi comunque morto da molto tempo. Io insistei per portare con me le ceneri di mia madre affinché fossero sepolte nel sepolcro di famiglia, ed egli accosentì. Come avrebbe potuto rifiutare? Si era dichiarato suo fratello adottivo. Mi portò al senato... ero ancora molto giovane... e pronunciò un gran discorso sulla riconciliazione e sull’unione dell’impero. Mi domando ancor oggi se i senatori che gli si opponevano avessero progettato di salvarmi e di appoggiare la mia rivendicazione al trono. Se fosse così, egli li contrastò efficacemente, spedendomi in una villa su una collina vicino a Roma, dove per due anni fui praticamente agli arresti domiciliari. La mia cittadinanza fu reintegrata e fui istruito nel diritto da un senatore favorevole a Severo, poi fui dichiarato ‘senatore in attesa’ e mi fu attribuita la mia attuale carica. Il servizio militare obbligatorio fu tralasciato, alla luce del mio esilio. Poi fui presentato alla giovane donna che sarebbe diventata mia moglie... Ortensia. Era la figlia di un senatore di secondo piano controllato dall’imperatore. Con mia sorpresa... e sua... fummo fatti sposare il giorno seguente, poi fui inviato qui. Ella mi seguì alcuni mesi più tardi e da allora viviamo qui. Siamo giunti a provare un grande affetto l’uno per l’altra e abbiamo due figli. - Lucio scosse le spalle. - Questa è la conclusione della mia storia.

- Forse no, - disse Glauco.

Tre paia d’occhi lo guardarono.

- Che cosa vuoi dire? - chiese Lucio.

- Voglio che i resti di mio padre riposino accanto a sua moglie e a suo figlio in Ispania. E’ quello che lui avrebbe voluto. Inoltre voglio recuperare la sua maschera funeraria e metterla nella sua casa... la mia casa... assegnandole il dovuto posto d’onore e rispetto. A causa del modo in cui persi mia madre e mio fratello, non possiedo un armadietto degli antenati. Non ho le loro maschere, né quelle dei genitori di mio padre. Voglio quella di mio padre... Ne ho bisogno!

Entrambi i piedi di Lucio colpirono il pavimento.
- E’ impossibile. Ti ho detto dov’è.

- Tu puoi aiutarci, - insisté Glauco. Mario lo guardò a bocca aperta, come se l’amico fosse impazzito.

- Io? - gridò Lucio. - Come? Non sono neppure in grado di disegnarti uno schema preciso del palazzo, perché probabilmente è cambiato da quando vivevo là.

- Voglio molto di più. Voglio che tu venga con noi a Roma, per aiutarci ad entrare nel palazzo.

Mario saltò in piedi.
- Noi? Noi chi? Severo ha emanato un ordine di esecuzione nei tuoi confronti, e tu vuoi irrompere a casa sua? Sei completamente impazzito?

Brenno annuì con vigore, gli occhi spalancati per la preoccupazione.

Anche Lucio espresse la sua preoccupazione.
- I soldati mi sorvegliano. Nella mia casa ci sono spie che fanno loro rapporto. Poi i soldati riferiscono le mie azioni direttamente a Roma. Se faccio qualche cosa di sospetto, Severo lo saprà entro qualche settimana.

- Vuoi dire che non hai mai lasciato questa città in tutti questi anni? - chiese Glauco.

- Naturalmente, ma soltanto per affari ufficiali e non ho mai lasciato questa provincia. A volte in questo periodo dell’anno, prendo la mia sella curule[1] ornata d’avorio e mi reco nelle piccole città, perché la gente non può venire sempre qui da me per una decisione legale. Di solito non sto via più di qualche settimana ed almeno un soldato armato mi accompagna. Solitamente due.

- Allora parti per uno di questiviaggi ufficiali’, ma vieni invece con noi a Roma, - suggerì Glauco.

- Non metterò a rischio la mia famiglia, Glauco. Per nessun motivo. Neppure per Massimo.

- Non te lo chiederei mai. Ci deve essere un modo, tuttavia, perché possano stare al sicuro mentre tu sei assente.

Lucio appoggiò il gomito sul ginocchio e si prese la fronte tra le mani.

La stanza si riempì di silenzio.

Dopo un lungo istante egli disse lentamente:
- Suppongo... Suppongo che possa funzionare. Dovremmo liberarci dei soldati che mi accompagnano, però, e non voglio che vengano uccisi.

- Si può fare, - disse Glauco con crescente entusiasmo.

Lucio si sedette ritto.
- Poi dovrò assicurarmi che alcuni amici che ho in ogni città possano coprirmi... dicendo che mi hanno visto recentemente, ma non sanno dove mi trovo al momento. Mi farebbe guadagnare un po’ di tempo. Può essere facile sparire tra le montagne per un po’, ma per un viaggio a Roma e ritorno occorrono mesi. Non riuscirei mai a convincere qualcuno di un viaggio ufficiale di quella durata. Inoltre, non voglio che la mia famiglia sia coinvolta.

- Naturalmente no, - accosentì Glauco.

- Mia moglie ha amici nel Nord. Potrei mandare la mia famiglia là.

- Allora lo farai? - chiese Glauco, a mala pena osando sperare.

- Non lo so. Certamente a Massimo io devo la vita... ma devi capire che Severo scoprirà tutto alla fine. Devo consultarmi con mia moglie. E’ molto pericoloso e non posso mettere in pericolo la mia famiglia.

- Non ti chiederei mai di farlo, Lucio, ma io ho qualcosa che mi permetterà di negoziare con Severo, - dichiarò Glauco con un bisbiglio cospiratorio. Prese un pacchetto ed estrasse un rotolo di pergamena che svolse e passò a Lucio, il quale lo avvicinò ad un moccolo di candela per leggerlo. Le sue sopracciglia si sollevarono lentamente per lo stupore.

Glauco sorrise.
- L’originale, con il sigillo di Marco Aurelio, è in un luogo sicuro, a Roma.

 

Roma, cinque settimane più tardi
Quattro uomini stavano all’ombra del Circo Massimo guardando verso il palazzo massiccio dalle molteplici ali che copriva i tre picchi quasi piatti del Colle Palatino come una sorta di grande polipo disarticolato... i cui tentacoli si allungavano verso la città al di sotto.

- Vi ha aggiunto molte ali, - mormorò Lucio. - Quell’intera ala è nuova... quella a destra dello stadio del palazzo. Mi domando che cosa ci sia all’interno.

Mario gli rispose.
- Severo ha fatto costruire bagni elaborati per la sua famiglia ed una terrazza con vista sul Circo.

- Come faremo ad entrare là dentro? - domandò Glauco. - Questo posto assomiglia ad una fortezza e vedo guardie dappertutto.

- Sì, - disse Lucio, - ma intorno al palazzo c’è molta più attività di quanto io ricordi. Moltissime persone che vanno e vengono. Sembra che stia accadendo qualcosa.

- Potremmo aver bisogno d’aiuto dall’interno del palazzo, - disse Glauco.

- Oh, sono d’accordo, - disse Lucio. - Ho bisogno di vedere se ci sono schiavi o servi nel palazzo che si trovavano là quando ero piccolo io, e che possano ricordarsi di me. Il personale di palazzo non cambia solo perchè cambia l’imperatore. Tutto ciò che dobbiamo fare è trovare qualcuno disposto a rischiare la sua vita per aiutarmi.

- Una grande devozione, - disse Glauco.

- Sì, ci vorrà del tempo e dovrò tornare a casa prima che il passo venga chiuso. Muoviamoci.



[1] Da Wikipedia: La sella curule era un sedile pieghevole a forma di "X", ornato d'avorio, simbolo del potere giudiziario, riservato inizialmente ai re di Roma e in seguito ai magistrati superiori dotati di giurisdizione, detti perciò "curuli". I magistrati solevano portare con sé la sella curulis assieme agli altri simboli del loro potere (fasci, verghe e scuri) e ovunque disponessero questi simboli, lì era stabilita la sede del loro tribunale (N.d.T.).