La Storia di Glauco: Capitolo 67

 

Capitolo 67 - Il racconto di Lucio: prima parte

- Devo confessare, - disse Lucio, accendendo alcune candele su un tavolo vicino, - che il tuo aspetto mi mette a disagio, Glauco. E’ come vedere tuo padre di nuovo vivo. E’ terribile che non tu lo abbia mai conosciuto. - Le fiamme sottili rendevano improbabilmente lunga la sua ombra sulla parete intonacata dietro di lui.

Glauco si accarezzò la barba prima di passarsi le dita tra i capelli... segno certo del suo turbamento.
- Infatti... e devo confessare che sono irragionevolmente geloso che tu l’abbia conosciuto e io no.

Lucio si appoggiò col fianco contro il tavolo, facendo danzare l’ombra dietro le fiamme tremolanti. Incrociò le braccia e studiò il figlio di Massimo alla tremula luce arancione.
- Non è per niente irragionevole. Proverei la stessa cosa al tuo posto. Ti ho detto con onestà ciò che sapevo di tuo padre... ma ho l’impressione che tu non sia soddisfatto.

Glauco si mosse a disagio, poi decise che era tempo di chiarire la situazione.
- Ti ricordi di un uomo chiamato Quinto Claro... il comandante pretoriano di tuo zio?

Lucio si ritrasse leggermente per gli spiacevoli ricordi evocati da quel nome.
- Sì, me lo ricordo. Egli è uno dei motivi per cui mia madre ed io fummo mandati in esilio. Perché?

- Sono appena stato a trovarlo.

- Davvero? Avevo sperato che fosse morto. Dov’è?

Mario e Brenno guardarono contemporaneamente dall’uno all’altro, seguendo la conversazione con rapita attenzione.

- In Gallia. E’ un contadino, non trae che una misera sussistenza dalla sua terra, e convive con i suoi demoni. Ha una figlia... - Glauco si fermò, sentendosi improvvisamente protettivo nei confronti di Clara. Si studiò i piedi per un momento, chiedendosi quanto di più avrebbe dovuto rivelare, poi disse lentamente. - L’ho quasi ucciso.

La risposta di Lucio non fu critica.
- Non mi meraviglia, dopo quello che fece a tuo padre.

Glauco alzò di nuovo lo sguardo, guardando diritto negli occhi comprensivi di Lucio.
- Non è stato quello a provocare la mia furia assassina, però.

- Che cosa, allora?

Glauco inspirò a fondo ed espirò lentamente tra i denti.
- Mi disse che Massimo è il tuo vero padre, non l’imperatore Lucio Vero. Che siamo fratelli.

Lucio si tormentò il labbro inferiore e osservò la fiamma fluttuante sul tavolo accanto a sé.
- Curioso. Io chiesi a mia madre la stessa cosa.

Glauco chiuse gli occhi ed il suo cuore sembrò arrestarsi.

Lucio si sedette di nuovo e si chinò verso Glauco con sincerità, ansioso di aiutarlo a capire emozioni ed eventi da molto tempo trascorsi.
- Come ti ho detto, sognavo che Massimo fosse mio padre... che mia madre e lui si sposassero. Non ho chiari ricordi di Lucio Vero, perché morì quando ero molto piccolo. Così, mi inventai un padre... e immaginai un uomo eroico con un sorriso gentile. Quando incontrai Massimo quella prima volta, io seppi che era lui quell’uomo. Le mie speranze furono alimentate quando a poco a poco mi resi conto che mia madre lo conosceva già... anche se non sapevo quanto, a quel tempo. Mi cullai in quei sogni fino alla sua morte. In esilio, cominciai a vivere delle mie fantasie tutto il giorno, ogni giorno, perché era molto più facile che affrontare la realtà. Inventai una storia tra mia madre e Massimo. Li resi amanti segreti, nella mia storia. Amanti segreti che non poterono mai sposarsi. Ma immaginai che io ero il frutto del loro amore. Sapevo ben poco di quanto vicini alla realtà fossero quei sogni. Vicini... ma non completamente esatti. - Lucio si alzò ancora, agitato dai ricordi. Andò su e giù per qualche istante e desiderò di avere del vino da offrire... qualsiasi cosa per distrarre loro tutti per un po’. - Quando mia madre si rese conto della mia ossessione per Massimo... avevo perfino cominciato a chiamarmi col suo nome... mi raccontò di come si erano conosciuti e la storia della loro relazione.

 - Raccontamela, - disse Glauco con voce strozzata. Si alzò all’improvviso e misurò la stanza a lenti passi per disperdere un po’ della sua energia nervosa, fondendosi con le ombre per poi materializzarsi ancora, come un fantasma.

Anche Lucio si alzò, ma si spostò verso il lato opposto del tavolo, mettendo le candele tremule fra di loro. Era ancora un po’ incerto riguardo a quel giovane ispanico armato e volubile, che aveva quasi ucciso Quinto dopo aver udito parole sgradite.
- Si conobbero in Germania, quando lei era poco più che una ragazzina... accompagnava suo padre durante un giro delle legioni. C’era anche Commodo. Arrivarono alla legione di Massimo, egli era il ragazzo assegnato alla cura del cavallo di lei. Doveva anche occuparsi di un grosso cane che apparteneva al generale, e lo tenne sotto controllo perché non le facesse del male. Credo che si sia innamorata di lui proprio allora. Ma lei era la figlia di un imperatore e lui era un giovane soldato in fase di addestramento. Cercò di dimenticarlo, ma non ci riuscì mai completamente. Anni dopo si riincontrarono in Germania, quando un’epidemia di peste stava decimando Roma e Massimo aveva già scalato piuttosto rapidamente i gradi della carriera militare. La passione di lei si riaccese e scoprì che lui provava lo stesso nei suoi confronti. Passavano ore insieme, ogni volta che potevano, e lei mi riferì una storia divertente di come una notte si travestì da soldato e lui la fece sgusciare fuori dell’accampamento per condividere qualche istante di passione. Il loro incontro amoroso fu interrotto, tuttavia, da un gruppo di germanici che volevano avvicinarsi all’accampamento di notte. Inutile dirlo, Massimo da solo li spedì tutti agli inferi e fu dichiarato eroe del giorno. Il mio perspicace nonno... che già adorava Massimo, a proposito... si accorse della loro attrazione e ricordò a mia madre che era promessa al coimperatore, Lucio Vero. Ella difese il suo amore per Massimo, ma lui era solo un uomo comune a quel tempo, neppure della classe senatoriale, e la cosa era inattuabile. Quando questo accadde, Lucio Vero si trovava all’accampamento con loro. Quando mia madre e Massimo s’incontrarono ancora, ella professò il suo amore, ma gli disse che non poteva sposarlo. Egli ne fu sconvolto... si sentì come se lei lo avesse ingannato, con promesse che non avrebbe mai potuto mantenere... come se lo avesse tradito. Mio nonno fece sposare mia madre con Lucio Vero proprio in Germania e Massimo fu mandato in permesso in Ispania, dove, se ho capito bene, incontrò tua madre. Credo che fu una decisione che mio nonno più tardi giunse a rimpiangere. - Lucio guardò Glauco pacatamente e appoggiò i palmi delle mani sul tavolo. - Il loro amore non fu mai consumato, Glauco. Vi andarono vicini, alcune volte, ma semplicemente non accadde nulla. Anche quando era un gladiatore a Roma, ella andò a fargli visita qualche volta, di notte, nella sua cella. Non si spinsero mai oltre un bacio, anche se lui era l’amore della sua vita. Non è mio padre e questo è tanto un dispiacere per me quanto sono sicuro che sia un sollievo per te.

Glauco era intontito. Si alzò, lo sguardo fisso e annebbiato, mentre le parole di Lucio si ripetevano all’infinito nel suo cervello: Non è mio padre. Non è mio padre. Un impeto di emozione gli fece affluire improvvisamente il sangue al viso.

Lucio fece un passo indietro, impedito dalla parete intonacata dall’indietreggiare ulteriormente.

- Suppongo che dovrei provare sollievo. - Glauco respirò a fondo. - Per settimane mi sono consumato, temendo che la risposta sarebbe stata ed ora... sono quasi deluso che lo sia.

Lucio liberò il suo respiro soffocato e sorrise con sollievo.
- Grazie, - disse sommessamente.

Glauco annuì e si morsicò il labbro inferiore... confuso dall’evidente e inutile tensione che aveva generato.
- Saresti un buon fratello, - borbottò.

Lucio rise.
- Anche tu. Temevo che ti fossi offeso quando ti ho detto quello che provava mia madre per tuo padre.

- No... Lo sapevo già. Tuttavia, non sapevo quanto in là si fossero spinti con il loro amore.

Mario avvolse un braccio intorno alle spalle di Glauco e lo strinse affettuosamente.
- Spero che tu possa rilassarti, adesso, amico mio.

Glauco annuì ed arrossì ancora, il volto infiammato raggiante anche alla fievole luce.

Mario incrociò le braccia e si rivolse a Lucio.
- Tu sei il figlio di un imperatore, Lucio. Tuo padre era un uomo buono e capace. Dovresti essere fiero di questo.

- Oh, lo sono, naturalmente, ma Massimo infiammò la mia giovanile immaginazione e mi offrì un modello di ruolo in un momento della mia vita in cui ne avevo disperatamente bisogno. Era un meraviglioso contrappeso a Commodo. Mi mostrò che un uomo poteva essere allo stesso tempo potente e degno d’onore, gentile e forte. - Guardò Glauco. - Credo che egli abbia trasmesso queste caratteristiche a suo figlio. - Lucio aggirò il tavolo e si avvicinò a Glauco, che era ancora piuttosto agitato.

- Tu ti sei trovato così vicino a lui, e io mai. Tu lo hai conosciuto, e io mai, - disse Glauco con voce rauca. - Non so se potrò mai rassegnarmi a questo.

Lucio afferrò le braccia del giovane ispanico, conscio di quanto fossero stati traumatici per lui i mesi passati.
- Sono molto felice per me e molto triste per te. Ma le cose non possono essere cambiate, temo. Se gli dei mi permettessero di apportare una modifica alla mia vita, chiederei di far uscire Massimo sano e salvo da quell’arena, perché adempia le volontà di mio nonno. Chi lo sa? Avremmo potuto ritrovarci fratelli, dopo tutto.

Glauco pensò a Giulia e non disse niente.

- Non hai ereditato i capelli neri di Massimo, - osservò Lucio con indifferenza, poi sorrise e indietreggiò guardando con finto orrore la testa del suo compagno.

Stupito, Glauco si toccò i capelli, come per capire se fossero ancora là.
- Come lo sai?

- Perché le radici stanno crescendo più chiare delle estremità. Me ne sono accorto quando la luce ha colpito la tua nuca, alla locanda. - Lucio diede con il dito un buffetto irriverente ad un ricciolo dalle due tonalità, quindi si sedette, in una posizione scomposta di confortevole divertimento.

Glauco rise.
- Non ti sfugge nulla, vero? Era un trucco per far credere a Quinto che fossi mio padre.

- Ha funzionato?

- E’ quasi morto per la paura.

- Bene!

Risero entrambi, e con loro Mario e Brenno, e la tensione nella stanza infine si dissipò completamente. Lucio frugò nella toga, l’allegria nel suo sguardo attenuandosi. Estrasse un laccio di cuoio e lo fece dondolare dalle dita. Tutti gli occhi lo osservarono oscillare dolcemente alla luce della candela.
- Mia madre ha tenuto questo. Massimo lo portava quando è morto. - Lo porse a Glauco e lo fece cadere delicatamente nella mano aperta del giovane ispanico. - Forse tu ne conosci la storia più di me.

Glauco serrò la mano e la tenne vicina alla bocca, gli occhi chiusi.
- Lo portava sempre, - bisbigliò. - I denti di lupo furono raccolti da suo fratello quando era bambino ed erano tutto ciò che della sua famiglia mio padre riuscì a trovare, dopo l’incendio che li uccise e distrusse tutto quello che possedevano. Egli sfuggì alla morte proprio come accadde a me... la pura fortuna di essere in un altro luogo in quel momento. - Infilò il laccio da sopra la testa, sistemandosi le zanne sulla tunica. - Grazie, Lucio. E’ molto importante per me. - Toccò i denti di lupo e disse: - Ho altre domande.

Lucio si limitò a sorridere e tese le mani, con i palmi in su, invitando Glauco a continuare.

- Che cosa accadde al corpo di mio padre?

- Ah... sì. - Lucio si raddrizzò, percependo la sotterranea corrente di disperazione nella voce di Glauco. - Nelle ore che seguirono la sua morte, mia madre stava preparando un funerale di stato e intendeva seppellire Massimo proprio accanto a Marco Aurelio, come suo figlio adottivo ed erede. Aveva persino commissionato un monumento... un bronzo equestre da collocare vicino a quello di mio nonno... e anche busti di marmo. La città era immersa nel lutto per lui, vedi, e la gente chiedeva a gran voce un funerale pubblico, in modo da poterlo onorare. Ci fu persino una marea di richieste da parte del popolo per deificarlo... un culto che cresceva velocemente già lo stava adorando come un dio... il Salvatore di Roma. Mia madre si oppose con veemenza e anche Gracco, così al senato non fu nemmeno permesso di prendere la cosa in considerazione. Ella voleva che Massimo restasse quello che era stato per tutta la vita... un uomo eccezionale, ma non un dio. Ma quello era solo un piccolo segno dell’instabilità che cresceva rapidamente nell’impero. La gente ora non aveva un imperatore, così si aggrappava ad un eroe perduto. Il senato cominciò immediatamente a lavorare per ristabilire una repubblica, ma quell’idea non aveva supporto universale, persino fra i senatori. Si divisero molto presto in fazioni, in disaccordo su come la cosa avrebbe dovuto procedere e su quale avrebbe dovuto essere il risultato. C’era bisogno di qualcuno con la forza di Massimo per prendere il controllo, ma c’ero soltanto io, e non ero che un bambino. Nelle ore seguite alla morte di Massimo, uomini ambiziosi e potenti cominciarono a manovrare per il potere. A causa di ciò... e di coloro che portavano il lutto, e dei dimostranti nelle vie... il clima non era adatto ad un funerale di stato, così mia madre decise immediatamente per una cerimonia privata e mi permise di partecipare, dopo che avevo pregato e supplicato. C’è un crematorio a Roma che si occupa esclusivamente dei corpi della famiglia imperiale e di altri eroi dell’impero... è molto vicino alla colonna di Marco Aurelio... e ci recammo là molto, molto presto, la mattina dopo la morte di Massimo. Era ancora buio. Non mi fu permesso di vedere la preparazione del suo corpo perché sarebbe stato troppo sconvolgente per me, ma mia madre, il senatore Gracco ed i gladiatori che erano stati liberati da Massimo rimasero con lui per l’intero processo. Mi fu consentito di vederlo un’ultima volta ed io gli misi nelle mani dei fiori che avevo raccolto dal nostro giardino. Mia madre aveva già fatto qualcosa di piuttosto straordinario... gli aveva posto la corona d’imperatore sul capo, in modo che avesse quell’onore nella morte se non nella vita. Ed egli indossava i vestiti d’oro e porpora di un imperatore. Tutte le prove di schiavitù erano state rimosse. - Lucio si fermò. - Glauco... ti senti bene?

Glauco si asciugò le guance luccicanti ed annuì, perché Lucio proseguisse.

- Glauco, tuo padre era in pace. Sembrava quasi che stesse dormendo... non più dolore, non più schiavitù. Era con tua madre e tuo fratello.

Glauco annuì, ma non riuscì a parlare.

Lucio continuò.
- Il senatore Gracco pronunciò l’elegia. Il viso di mia madre era velato, ma le lacrime scorrevano liberamente sotto il velo e le colavano sul vestito. Le osservai cadere sul suo corpetto e mi sentii molto turbato per il suo dolore... e per il mio. Mi teneva la mano, ma la cosa non aiutava. Non potevo sopportare di vedere la pira, così aspettai con le mie guardie del corpo in un’anticamera. Percepivo l’odore dell’incenso e dei profumi, comunque. Non so chi raccolse le ceneri... Gracco, suppongo... e tutti emersero con aria svuotata, ma composta. I gladiatori liberati riportarono a palazzo l’urna, nella sua stessa portantina. L’urna era d’oro... oro massiccio.

- Insolito per un’urna, - mormorò Mario asciugandosi gli occhi con la manica.

 - Non per un imperatore. Era bella... rettangolare e decorata con fogliame e colonne. C’era un’aquila con ali spiegate. Mi fece molta impressione. Ritornammo a palazzo, ma Roma piombò rapidamente nel caos. Cominciarono ad esserci dimostrazioni nelle strade da parte dei cittadini, che vedevano un impero andare alla deriva senza nessuno al comando, prevedendo turbamenti economici e la perdita del loro lavoro. Poi entrarono in gioco i pretoriani. Puoi immaginare la paura nelle strade. Essi presero agevolmente il controllo di tutto. Ci isolarono nel palazzo in modo che avessimo ben poca idea di che cosa stesse succedendo. Dopo un mese circa fummo trasferiti ad una villa, dove fummo tenuti sotto stretta sorveglianza per mesi, poi fummo mandati in esilio con i nostri vestiti come unico bagaglio.

Glauco si accigliò.
- Che cosa successe all’urna, allora?

- E’ ancora là, per quanto ne so.

- Nel palazzo? - esclamarono tutti e tre i giovani all’unisono, sussultando all’intensità delle loro voci unite.

- Sì, immagino di sì, - rispose Lucio scrollando le spalle. - L’urna è stata nascosta bene. Anche la corazza di cuoio di Massimo si trova là... quello che indossava quando è morto.

- Com’è possibile che nessuno l’abbia trovata? - chiese Glauco, la testa che gli girava per questa informazione, riferita con tanta noncuranza.

- Non capisci lo scompiglio, Glauco. Roma era piombata nella guerra civile e ci fu una serie di inutili imperatori. Non uno di loro avrebbe avuto il tempo di esplorare più che alcune stanze del posto. Non avete idea di quanto sia grande il palazzo, centinaia di stanze, e ci sono magazzini enormi pieni di sculture coperte da panni polverosi.

Glauco aggrottò la fronte.
- L’urna è in un magazzino?

- No, è in uno scomparto segreto della camera da letto di mia madre, nel suo appartamento, intelligentemente nascosto dietro una parte scorrevole del muro. La parete visivamente sembrava uguale alle altre pareti, perciò dubito che qualcuno l’abbia trovata. Mia madre la scoprì un giorno per puro caso e non penso che lo abbia mai riferito a qualcuno. So che si trova là, perché ho visto lei e Gracco nascondervi l’urna. C’era una maschera mortuaria, naturalmente, e lei pregò in memoria di Massimo. Non pensava che egli avesse lasciato una famiglia ad onorarlo, altrimenti sono sicuro che vi avrebbe inviato la maschera. E’ anch’essa nello scomparto, in un armadietto creato appositamente per essa.

Glauco era stordito. L’ultima parte del rompicapo era appena andata a posto.