La Storia di Glauco: Capitolo 66

 

Capitolo 66 - Octodurus

All’imbrunire, attraversarono il cancello di pietra sguarnito della città cinta di mura di Octodurus, decideno di cercare una stanza laggiù piuttosto che nelle locande in bilico raggruppate attorno all’ingresso del passo. Octodurus aveva tutte le caratteristiche di ogni città romana: vie ciottolose diritte e intersecanti, un teatro, una grande arena, botteghe, officine, locande, taverne, edifici pubblici e templi. Circondata da colline ondulate punteggiate di pecore e tappezzate di verde, e dai picchi ammantati di bianco delle montagne, possedeva una bellezza che poche città potevano eguagliare. Tutti gli edifici erano costruiti con la pietra grigia caratteristica della zona, ma con tetti di legno o tegole. Un fiume dalle acque veloci divideva in due parti la città e forniva una riserva infinita d’acqua fresca, sospinto da una cascata distante che si abbatteva sopra le rocce in un ruggito smorzato. Numerosi ponticelli di pietra elegantemente arcuati attraversavano il fiume e collegavano il lato commerciale a quello residenziale. Gli abitanti sedevano fuori delle locande e si godevano gli ultimi raggi di sole, sorprendentemente caldi dopo il freddo del passo. Era un luogo invitante.

- Pensavo che Severo avesse spedito Lucio negli inferi, - commentò Mario mentre a cavallo si dirigevano verso il quartiere commerciale, - ma qui non è affatto male. Mi piace in particolare il fatto che i cavalli non siano banditi dalle vie nelle ore di luce, come a Roma. Molto civile.

- Può darsi, ma cavalli come i nostri attirano l’attenzione, - rispose Glauco facendo fermare Ultor. - Vedo principalmente muli qui attorno. Penso che sia meglio portarli alle stalle situate appena dentro le mura e recarci piedi ad una locanda. - Cominciò a far voltare il cavallo.

- Che mi dici della tua spada? - fece notare Mario con un’occhiata al fianco di Glauco, dove la spada sporgeva vistosa. - E’ improbabile che le armi siano permesse all’interno delle mura, se i cavalli non lo sono.

- Non ho intenzione di lasciarla da nessuna parte.

- Non mi aspetto che tu lo faccia, - disse Mario mentre tornavano verso una stalla che avevano superato poco prima. - Soltanto, nascondila bene, se puoi. Non ho visto nessun altro portare una spada.

Poco dopo, i cavalli stallati al sicuro, il trio si avvicinò a piedi al quartiere commerciale, con la speranza di trovare alloggi molto più confortevoli di quelli che avevano sperimentato nell’ultimo mese. Glauco sopra la tunica indossava ora una toga, che nascondeva efficacemente la voluminosa spada, ma il peso aggiunto gli era sgradito sotto il sole caldo. Si era disfatto di brache e stivali a favore dei sandali e portava tutto in una grande sacca buttata sopra la spalla. Alzò la testa per cogliere riconoscente le brezze rinfrescanti provenienti dalle montagne e felicemente lasciò che Mario facesse strada.

In breve tempo Mario trovò una grande stanza ariosa al piano superiore di una rispettabile locanda e Glauco aprì le imposte di legno, inondando le pareti di pietra con la luce del sole. Inalò l’aria frizzante che odorava di pino pungente, ammirando la vista meravigliosa della città e delle colline circostanti. Gettarono gli zaini sul pavimento prima di provare i letti, sospirando di soddisfazione per i materassi perfettamente sprimacciati. Assolutamente soddisfatti, lasciarono i loro effetti personali nella stanza, che chiusero con una grande chiave di ferro, e si recarono ai bagni dove lavarono via l’odore delle pelli di capra in una calda vasca termale, che fumava per il rifornimento inesauribile di liquido rilassante. La tensione e la fatica delle settimane passate si volatilizzarono nel vapore. Sentendosi puliti, rinfrescati e rinvigoriti, si recarono ad una taverna vicina e si sistemarono ad un tavolo accanto ad una finestra aperta. Glauco si sedette con la schiena esposta all’aria fredda della prima sera, godendo del gioco della brezza sul suo collo.

- Come lo troviamo? - domandò Mario leggendo il menu segnato con il gesso su una lastra di ardesia appesa alla parete.

- Non dovrebbe essere troppo difficile, se è qui. Questa città non è grande... probabilmente non ha più di qualche migliaia di abitanti. Adesso è affollata dai viaggiatori che attraversano il passo, ma questo va a nostro vantaggio. Ci limiteremo a mescolarci a loro, - disse Glauco.

Ordinarono tutti la specialità della casa, arrosto di montone con verdure d’inizio estate, dopo aver cominciato con una saporita minestra di pollo cotta con cipolle, aglio, fagioli, carote e grossi pezzi di funghi enormi che avevano notato crescere in fessure fredde lungo il bordo della strada.

Erano alla loro terza brocca di vino e si sentivano piuttosto rilassati quando una sedia fu improvvisamente trascinata fino al loro tavolo. Un uomo alto la mise rivolta con la parte posteriore verso di loro e vi si sedette, le gambe a cavalcioni ed un sorriso sul viso gradevole. Appoggiò con indifferenza gli avambracci sulla traversa dello schienale della sedia.
- Signori, benvenuti ad Octodurus. Io sono Lucio Vero, Iudex Selectus Quaestionis delle Alpi Graie e Pennine.

Mario si strozzò.

Brenno rimase a bocca aperta.

- E’ un poco roboante, - continuò Lucio, fraintendendo la loro reazione stupita, - ma essenzialmente significa che ho il compito di mantenere la pace qui. Mi piace prevenire i guai prima che comincino.

Glauco lo fissò con durezza. Mario riuscì a ritrovare la voce e pregò che Brenno non riacquistasse la sua.
- Guai? - Al di sopra della spalla di Lucio, in piedi vicino alla porta, Mario vide due soldati, che li osservavano con attenzione.

- Sì, - disse l’uomo snello con il sorriso amichevole. - Forse non ve ne siete accorti, ma non permettiamo che i civili portino armi all’interno delle mura. Suppongo che vi stiate recando al passo, o che ne siate appena venuti, ma dovrete rimanere in una locanda fuori delle mura se volete portare una spada. E’ un errore comune. Normalmente le guardie si occuperebbero di tali situazioni, ma non sopporterei di vedere tre uomini portati in prigione per un semplice malinteso. - Egli guardò direttamente Glauco, il cui viso era oscurato dalla penombra dietro la sua testa. - Mi è stato detto che porti una spada, nascosta sotto la toga.

Glauco continuò la sua valutazione impietosa dell’uomo alto, snello, dai capelli castani e dagli occhi azzurri. Aveva gli stessi lineamenti eleganti del nonno Marco Aurelio e la stessa aria di autorità.

Mario si chinò sopra il tavolo e tese la mano, prima di presentarsi con nome completo e luogo di residenza.

Brenno fece lo stesso.

Glauco sedette perfettamente immobile continuando il suo esame. I capelli di Lucio erano piuttosto sottili e dritti, diversamente dai propri... e da quelli di Massimo... ondulati e folti. I suoi occhi erano di una tonalità chiara di verdazzurro. La sua carnagione era chiara, con piccole lentiggini sul naso. Non somigliava per niente a Massimo.

Senza parlare, lo sguardo inchiodato a quello di Lucio, Glauco frugò nella toga e Lucio entrò in tensione, pronto a sottrarsi rapidamente se fosse emersa la spada. I soldati sulla porta fecero un passo avanti, pronti ad agire. Invece, l’uomo vicino alla finestra, da sotto la mano, fece scivolare un piccolo oggetto sul ripiano rovinato del tavolo, poi la ritrasse lentamente.

Lucio gettò un’occhiata all’anello e aggrottò la fronte, poi si chinò leggermente in avanti per esaminarlo più attentamente. Sussultò e tornò a sedersi, lottando per mantenere un’espressione neutra. Non toccò l’anello... non ne aveva bisogno.
- Mi fu detto molti, molti anni fa di aspettare la tua venuta, - mormorò infine, osservando Glauco con occhi socchiusi, cercando di distinguerne i lineamenti alla luce che diminuiva velocemente.

Fu il turno dell’Ispanico di essere sorpreso.

Da vero statista qual era, Lucio si limitò a deglutire alcune volte, ma mantenne la sua compostezza.
- Finite il vostro pasto, signori. Non ne troverete di migliore nella regione. Poi... venite da me. Pare che abbiamo affari da discutere. - Abbassò la voce ad un bisbiglio. - Aspettate finché è buio, poi andate alla porta laterale del principale edificio pubblico nel foro... quello con le colonne più alte. Assicuratevi di non essere visti. - Si alzò, e Glauco anche, volgendo il viso verso la luce per la prima volta.

Lucio semplicemente lo fissò, poi annuì, a lui direttamente, e si voltò, andandosene. I soldati all’ingresso lo seguirono fuori.

 

Due ore più tardi, guidati dal chiaro di luna, i tre si trovavano in un vicolo proprio dove era stato loro detto di andare. Era deserto, a parte i pipistrelli che piombavano su qualunque insetto ancora abbastanza stolto da volare. Non ansioso di cadere in una trappola, Glauco avvolse la mano attorno all’elsa della spada e i tre amici si misero schiena contro schiena, all’erta contro eventuali pericoli.

- Credi che Lucio sappia chi sei e che l’imperatore ti vuole morto? - sibilò Mario.

- Sì, lo so, - disse Lucio aprendo la pesante porta, per trovarsi ad affrontare la punta di una spada. - Sono solo, - disse spostandosi di lato.

Glauco protese la mano, indicando di voler entrare per primo. Entrò con prudenza e scrutò nel buio della stanza semivuota, cercando le due guardie. Non c’erano. Si rilassò alquanto e fece segno agli altri di entrare.

Lucio chiuse la porta e la serrò, poi si rivolse a Glauco.
- Suppongo che il tuo nome sia Massimo. Somigli molto a tuo padre. Capisco perchè tu sia nervoso.

- Il mio nome è Massimo, ma mi chiamo Glauco. Massimo Decimo Glauco.

- Hai anche la sua voce, - sorrise Lucio, cercando di mettere gli uomini a loro agio. - Puoi immaginare la mia sorpresa, alcuni mesi fa, quando lessi un decreto dell’imperatore che ordinava di stare all’erta riguardo un uomo con il tuo nome, rispondente alla tua descrizione. Quando lo lessi, pensai che il nome doveva essere una coincidenza. Adesso capisco che non lo era. - Lucio si spostò su un lato della stanza, vicino ad una finestra in alto nella parete, dove si trovavano un certo numero di robuste sedie di legno. Le dispose in cerchio e tese la mano, invitandoli a sedersi. - Vi prego, scusate la mia mancanza di buone maniere. Normalmente porterei gli ospiti a casa mia, ma ci sono persone all’interno della mia proprietà di cui non mi fido. Non sarebbe saggio. Posso chiedere che cosa vi porta in una città così piccola in mezzo alle montagne?

- Tu, - ripose Glauco.

Se Lucio fosse sorpreso, non lo dimostrò.
- Capisco. E sperate che io possa fare... che cosa?

- Sto cercando informazioni su mio padre e spero che tu possa darmele. Lo conoscesti a Roma quando era un gladiatore.

- Sì... quando ero molto giovane... in una vita precedente. Così tante cose sono accadute da allora che sembra davvero molto, molto tempo fa. Lo ammiravo moltissimo. Più di qualsiasi uomo abbia mai conosciuto, con l’unica eccezione di mio nonno.

- Marco Aurelio, - disse Mario.

Lucio lo guardò, a mala pena visibile nella stanza buia.
- Sì, esatto.

- La gente di qui sa chi sei? - chiese Glauco.

Lucio sorrise.
- Sono semplicemente l’uomo nominato da Roma per sistemare le questioni giuridiche nella provincia... che sono poche e rare, a proposito. Siamo molto isolati qui, come sono sicuro abbiate notato, e la popolazione è minima. La politica di Roma non significa niente per questa gente. Gli abitanti si preoccupano soltanto di sbarcare il lunario e sopravvivere ad un clima piuttosto rigido. Conoscono il mio nome, ma pochi lo collegano ad un defunto imperatore di Roma, e a me va benissimo così. - Guardò Glauco, il cui viso era illeggibile alla scarsa luce d’argento della luna. - Anche i tuoi modi sono come i suoi. Chiunque avesse conosciuto Massimo saprebbe chi sei.

- Sì, - rispose Glauco. - Ed è sia una benedizione che una maledizione.

Lucio inclinò la testa con curiosità.
- Quando ero in esilio con mia madre, ella spesso mi parlava di Massimo e diceva che egli aveva un figlio... all’incirca della mia età... che fu ucciso da mio zio. Credo che tu sia più giovane di me, perciò non puoi essere lui.

- Era Marco, mio fratello, che aveva la tua età. Morì con mia madre, ma io sfuggii alla morte perché a quel tempo mi trovavo dai parenti di lei. Sono di sei anni più giovane.

- Ma... - insisté Lucio, - sono sicuro che mia madre diceva che Massimo le accennò di avere un solo figlio.

- Egli non sapeva di me. Morì senza mai nemmeno sapere della mia esitenza.

- Oh, capisco. Molto triste per entrambi voi. Un’altra conseguenza delle terribili azioni compiute da mio zio. - Lucio sospirò. - Che informazioni speri di ottenere da me?

- Tu lo hai conosciuto. Io no. Ho passato molti mesi... anni ormai... viaggiando per l’impero, per parlare con le persone che avevano conosciuto mio padre, per cercare di mettere insieme i pezzi della sua vita più recente. Vedi, io non ho mai saputo, fino ai quindici anni, che lui era mio padre. Avevo supposto che l’uomo che mi aveva cresciuto, il fratello di mia madre, lo fosse. Fu piuttosto sconvolgente, come puoi immaginare.

Lucio annuì.

- In Ispania potei scoprire soltanto la parte della sua vita che egli trascorse laggiù, ed era pochissimo. Oltre a quello venni a sapere dei punti culminanti della sua carriera militare e che egli scomparve la notte che tuo nonno morì. Niente più.

- E ora sai di più?

- Sì. Cominciai dalla Germania, poi mi recai a Roma. Il mio viaggio mi ha portato a Petra e in altri luoghi. Gradualmente ho messo insieme la maggior parte dei pezzi. Ora so quasi tutto.

- Ma...? - insisté Lucio.

- Ma... sto cercando tutto.

- E pensi che io possa fornire il resto delle informazioni, - disse Lucio.

- Sì.

- Dovresti ricordare che ero molto giovane quando l’ho conosciuto, e che non l’ho conosciuto a lungo. Avevo sentito parlare di lui ancor prima di conoscerlo. Mio zio seguiva con molta attenzione i combattimenti dei gladiatori, vedi, così io udii, prima degli altri, del gladiatore fenomenale che la gente chiamava l’Ispanico. Dicevano che era simile ad un dio in terra. - Lucio sorrise. - In verità, non avevano troppo torto.

- Quando lo vedesti per la prima volta?

- Stavo passeggiando con le mie guardie del corpo fuori del Colosseo, prima del suo primo combattimento a Roma, e lo vidi seduto da solo sul retro di una cella. Avevo otto anni. Non so come, capii subito chi era. Era immerso nei suoi pensieri, ma gli feci segno di avvicinarsi alle sbarre ed egli si avvicinò, per parlare con me. Gli chiesi se fosse lui quello che chiamavano l’Ispanico. Non dimenticherò mai l’espressione del suo viso. Molto tenera e gentile. Sorrise. Io non ero avvezzo a ricevere un sorriso da un uomo, ed egli immediatamente mi fece sentire a mio agio. Non avevo minimamente paura di lui, malgrado la sua reputazione e la sua corporatura. Mi sembrava enorme, anche se suppongo fosse soltanto un uomo normale. Gli dissi ciò che avevo sentito dire di lui ed egli mi prese in giro. Ora non riesco a ricordare che cosa disse esattamente, ma so che mi prese in giro. - Lucio sorrise al ricordo affettuoso. - Mi piacque subito e gli dissi che avrei fatto il tifo per lui. Ricordo che si crucciò molto che mio padre mi lasciasse vedere i giochi. - Lucio fece una pausa. - Oh, sì... parlammo di cavalli e mi disse che i suoi cavalli gli erano stati portati via. Non ero sicuro di che cosa volesse dire. Abbastanza francamente, non capivo veramente cosa fosse la schiavitù, a quell’età. Non capivo che i gladiatori erano prigionieri costretti a combattere per le loro vite. Mi sembrava tutto così glorioso, ad otto anni. Massimo indicò la sua corazza... era di cuoio nero, con due cavalli d’argento impressi su di essa... e disse che erano i suoi cavalli perduti. Non ricordo i loro nomi.

- Argento e Scarto, - intervenne Glauco.

Il viso di Lucio si illuminò alla luce fioca della luna che filtrava attraverso le alte finestre. Sorrideva facilmente e spesso. Con riluttanza, Glauco scoprì che cominciava a piacergli.
- Sì... sì, esatto. Argento e Scarto. Me n’ero dimenticato. Sono sicuro che avrebbe parlato a lungo, ma io fui richiamato dalle mie guardie del corpo. Allora egli mi chiese come mi chiamavo e io glielo dissi. Vidi un cambiamento improvviso nella sua espressione... molto prudente... che a quel tempo non capii. Vedi, lui non aveva capito che aveva parlato all’erede al trono... al figlio di una donna a cui aveva voluto bene... mia madre.

- Lo vedesti combattere?- chiese Mario, ansioso di dare a Glauco il tempo di digerire questa informazione e di calmare le sue emozioni.

- Sì, alcune volte. Era incredibile... straordinario. Nel suo primissimo combattimento a Roma egli comandò un cencioso pugno di gladiatori quasi fosse un piccolo esercito e sconfisse un avversario molto più potente. Roma era ai suoi piedi... compreso mio zio... fino a che scoprì chi era veramente l’Ispanico. - Lucio rimase in silenzio per un momento, ricordando, e nessuno osò distrarlo. - Fu un confronto sorprendente. Come molte cose, non lo capii che più tardi, ma sentii la tensione crepitare su di me come aria percorsa da lampi. Involontariamente salvai la vita di mio zio, quel giorno. Non lo capii che anni dopo, quando mia madre me lo spiegò.

- Spiegalo a me, - sollecitò Glauco.

- Commodo rimase talmente impressionato dall’Ispanico che lasciò il pulvinare e scese nell’arena per incontrarlo, il che era alquanto inconsueto. Io me la svignai dietro di lui e mi appoggiai con la schiena proprio contro mio zio, in mezzo a loro due. L’Ispanico era molto teso, ma chi non lo sarebbe dopo un combattimento come quello? Devo avergli sorriso come un idiota, ero così entusiasta. Egli continuava a guardarmi, e io pensai che fosse perché mi aveva riconosciuto. Mi resi conto più tardi che progettava di uccidere Commodo proprio lì e in quel momento, ma io mi trovavo proprio in mezzo. Non voleva rischiare di ferirmi, così non agì. Sono sicuro di questo. Invece, sfidò temerariamente mio zio. Si rifiutò di dire il suo nome, poi si voltò. Mio zio era furioso! Ordinò al gladiatore di mostrare il viso e di declinare le proprie generalità... ed egli infine lo fece. Si voltò lentamente, togliendosi l’elmo e io sentii mio zio irrigidirsi, poi mi spinse di lato. Non sapevo cosa stava accendendo. Massimo avanzò minaccioso verso mio zio e declamò il suo nome completo e il suo grado... Comandante degli Eserciti del Nord, Generale delle Legioni Felix. Perfino io capii che non era un uomo comune. L’arena piombò in un silenzio mortale e sono sicuro che perfino la gente dell’ultima fila udì le sue parole. Ricordo che mi sentivo spaventato, perché non capivo che cosa stesse accadendo... ma sapevo che non volevo che Massimo Decimo Meridio morisse. E nemmeno la folla. Tutti si alzarono in piedi e levarono il pollice recto, scandendo “Massimo! Massimo!” Non lo dimenticherò mai. Lanciai uno sguardo a mia madre e anche lei era in piedi. Allora mio zio si precipitò fuori dell’arena come una furia e io gli corsi dietro. Non sapevo che cosa fare. Sulla via del ritorno a palazzo ero accanto a mia madre, che tremava. Non disse nulla, ma tremava come una foglia durante una tempesta.

 - Deve essere stato piuttosto sconvolgente per lei scoprire che un uomo che credeva morto era ancora vivo. Un uomo che lei sapeva essere un generale, confidente di tuo nonno, - disse Mario.

- Lo fu. Capii dai suoi occhi la mattina dopo che aveva pianto. A quel tempo, tuttavia, non capii perché.

- Che cosa capisci ora? - chiese Glauco prudentemente.

- Che lo amava. Appassionatamente. E che lo aveva amato sin da quando era una ragazzina. Non penso che abbia mai amato così un altro uomo, neppure suo marito.

Glauco riusciva a malapena a respirare.
- Ma lei lo tradì.

Mario chiuse gli occhi terrorizzato. Glauco stava provocando Lucio troppo presto.

Lucio non parve offendersi.
- Fece quello che doveva fare per salvare la mia vita. Ero l’erede al trono, avrei potuto essere usato come merce di scambio, anche se non lo sapevo a quel tempo. Il giorno più tragico della vita di mia madre fu quello in cui vide morire Massimo. Era proprio accanto a lui, lo sorreggeva quando egli esalò l’ultimo respiro. Lei piangeva. Egli non la incolpò, Glauco. Spero che neanche tu lo faccia. - Lucio si alzò e vagò irrequieto per la stanza buia. - Anni dopo, in esilio, quando io ero molto più grande, mia madre ed io parlammo molte volte, con franchezza. Nessuno sa delle molestie che mia madre subì per mano del fratello. Non solo egli minacciò senza mezzi termini di uccidermi se ella non avesse cooperato con lui e non avesse rivelato il complotto per liberare Massimo, minacciò anche di tenerla come sua moglie, di violarla, e di avere da lei un bambino che fosse il suo erede. - Si voltò verso di loro, la voce che rivelava una prima nota di amarezza. - Mio zio era pazzo. Non c’era modo di trattare con lui. Quel giorno tuo padre salvò lei, me e l’intero impero, uccidendolo. A quel tempo, naturalmente, non lo avevo capito. Vidi soltanto il mio eroe giacere morto nella sabbia. Un uomo che volevo emulare. Un uomo... che amavo. Un uomo che, infantilmente, avevo sperato sarebbe diventato mio padre, un giorno. Giaceva morto sul terreno, davanti a me. Morto tra le braccia di mia madre. - Si voltò verso Glauco, il viso una maschera di dolore nudo e crudo. - E poco tempo dopo fummo mandati in esilio, per anni, e io persi mia madre a causa di una malattia. - La sua voce si spense. - Ma niente nella mia vita fu mai tanto terribile quanto vedere Massimo giacere morto nella sabbia.

Lucio si voltò e si asciugò gli occhi con il palmo della mano ed attese finché la sua voce fu sotto controllo, prima di girarsi e parlare di nuovo.
- Ora è il mio turno di porre qualche domanda.

Glauco annuì.
- E’ giusto.

- Perché l’imperatore ti vuole far arrestare?

- Crede che io sia una minaccia per la sua posizione d’imperatore di Roma.

Lucio alzò le sopracciglia.
 - Perchè dovrebbe pensare una cosa del genere?

- Perché sa che tuo nonno aveva nominato mio padre come suo erede il giorno in cui tuo zio assassinò l’imperatore. Crede che io voglia proclamarmi legittimo erede... come unico figlio in vita di Massimo.

Lucio non reagì all’ultima parte di quella dichiarazione.
- Ed è questo ciò che vuoi? Severo è molto impopolare presso l’esercito che gli ha messo la corona in testa. Un figlio di Massimo Decimo Meridio potrebbe farcela.

- No. Io voglio soltanto conoscere la verità e riabilitare il nome di mio padre. C’è ancora gente che crede che egli abbia avuto mano nell’omicidio.

Lucio scosse il capo con tristezza.
- Incredibile.

- Inoltre ho ucciso un certo numero di pretoriani vicino a Petra. Volevano assassinarmi.

- Capisco. Un’offesa imperdonabile, di sicuro, agli occhi dell’imperatore.

- Non mi denuncerai?

- No. No, non lo farò.

- Ci sono soldati in questa città.

- Naturalmente, ma il loro compito è di tenermi quaggiù il più a lungo possibile. Vedi... sono ancora in una sorta d’esilio. - Lucio incrociò le braccia, e se Glauco avesse potuto vedere chiaramente il suo viso, avrebbe visto la scintilla della sfida nel suo sguardo. - Sei relativamente al sicuro qui. Dimmi che cosa posso fare per aiutarti.