La Storia di Glauco: Capitolo 64

 

Capitolo 64 - Le Alpi

Giorni dopo i tre viaggiatori arrancavano lungo la strada della valle del fiume Isère. Dopo aver aggirato la città di Cularo[1], continuarono a nord-est verso la minuscola provincia con quel lungo nome, dove Lucio Vero presiedeva come Iudex Selectus Quaestionis. A Lemencum[2] raggiunsero una strada romana importante e proseguirono verso est lungo la valle dell’Isère. La velocità con cui avevano viaggiato da Roma alla Gallia non poté essere ripetuta in questa terra dagli svettanti picchi di granito e dalle profonde valli lussureggianti. Mentre avanzavano, saliva anche l’altitudine e l’aria diventava più rarefatta e più fresca, così lasciarono che fossero i cavalli a stabilire il passo. Approfittando dell’apparente indifferenza dei loro padroni, gli animali spesso si allontanavano dalla strada e sguazzavano oziosamente nell’acqua fredda alta fino al garretto e ruminavano felicemente le erbe e i fiori che punteggiavano di rosa, giallo e bianco il verde paesaggio. I cavalieri si meravigliavano alle vedute di bellezza incredibile... picchi ammantati di bianco lambiti dal sole, sopra foreste dalle multeplici tonalità di verde, e distese di pendii punteggiati di fiori che piombavano audacemente in torrenti tumultuosi alimentati dai ghiacciai. Incontrarono cascate che cadevano da altezze vertiginose scavando gole strette e profonde, e laghi insondabili e glaciali che rispecchiavano l’incommensurabile cielo azzurro. Brenno tratteneva il fiato ad ogni curva del fiume, non avendo mai immaginato una bellezza così spettacolare. Il problema ora non erano più le zanzare, ma le iridescenti libellule verdazzurre che molestavano i cavalli turbinando attorno ai loro posteriori. Ultor, in modo particolare, era molto infastidito e cercava di acchiappare gli enormi insetti multi-alati quando risalivano in nugoli verso il cielo.

Quando l’Isère svoltò a sud, la strada si arrampicò rapidamente e diventò così stretta che spesso dovevano mettersi di lato per farsi superare da carri trainati da buoi che si dirigevano ad ovest. La maggior parte dei carri più piccoli era trainata da asini, gli animali preferiti a queste altitudini, perfino dai cavalieri. Furono obbligati a mettersi in fila, attraverso lo stretto passo denominato Alpe Graia e dovettero fermarsi spesso, restando attaccati alla parete di roccia, per far passare altri viaggiatori diretti ad ovest, verso la Gallia. Il picco del grande Monte Bianco, che avevano visto per giorni al di sopra della sommità delle altre montagne, era ora proprio davanti a loro. La montagna era stata chiamata così per i suoi ghiacciai imponenti e perenni che anche d’estate brillavano al sole. Ne attraversarono il dirupato versante meridionale e continuarono la loro salita verso la città di Augusta Pretoria[3]. Spesso precaria, la pista poteva svoltare improvvisamente, abbassarsi o risalire in modo repentino ed essi scelsero di condurre a mano i cavalli per non rischiare di farli ferire a causa del terreno incerto. Particolarmente pericolose erano le placche di rugiada ghiacciata che si nascondevano dove c’era ombra, pronte a far cadere il viaggiatore incauto. Brenno era già scivolato due volte, cadendo sul fondoschiena e agitando convulsamente le braccia. Non avendo mai visto la neve prima, il ragazzo era affascinato dalle bianche stalattiti di acqua ghiacciata e cercava di scoprire i cumuli di neve sotto le sporgenze rocciose. In essi lasciava le proprie impronte di mani e piedi, assaggiava la neve, e la modellava in palle che lanciava allegramente addosso ai compagni. Quando tuttavia divennne chiaro che la neve sarebbe rimasta con loro per molto tempo, si stancò dei suoi giochi e pestò i piedi per scaldarne le punte, chiedendosi per la centesima volta come potesse qualcuno vivere in un posto come quello.

Mario, pur apprezzando la bellezza intorno a lui, era preoccupato per il suo ispanico amico, rimasto cupo e silenzioso da quando avevano lasciato Quinto. I suggerimenti di discutere di ciò che lo stava preoccupando si dimostrarono inutili. Glauco proseguiva, perso nei suoi pensieri, con una varietà di espressioni preoccupate che gli attraversavano rapidamente il volto. Indossava i propri vestiti, avendo rimandato l’uniforme di soldato al ragazzo di stalla a Valentia, insieme ad alcune monete per ripagarlo dei guai subiti. Anche se la forte somiglianza con Massimo era rimasta, Glauco non era più la sinistra replica militare del padre, e di quello Mario era estremamente grato. Ma qualcosa stava affliggendo Glauco, e Mario avrebbe voluto che Glauco condividesse le sue preoccupazioni con i suoi due compagni che rischiavano tanto per aiutarlo. Tuttavia i giorni e le notti passavano senza alcuna spiegazione, mentre la loro attenzione si focalizzava sulla ricerca di una locanda nei minuscoli villaggi di montagna, o di un qualunque riparo in cui potessero accamparsi.

La mattina dopo l’alba era grigia e piovigginosa. A mezzogiorno una fitta nebbia nascondeva la strada e i giovani cercarono riparo, poco disposti a rischiare di finire in un precipizio invisibile. Un grande affioramento di granito semicircolare assicurò la protezione di cui avevano bisogno... ampio a sufficienza per loro e per i cavalli. La temperatura si era abbassata in maniera costante ed essi tremavano di freddo negli strati di vestiti umidi, mentre Glauco cercava di accendere un fuoco con la legna bagnata. Sentendosi sempre più frustrato perché non ci riusciva, Glauco si alzò con un ruggito e strepitò intorno al riparo, imprecando e tirando calci all’esca poco cooperativa. Non avendo mai acceso in vita sua un fuoco partendo dall’esca, Mario si limitò a guardare l’amico dal suo posto in cima ad una pietra piatta riparata dalla pioggia.

- Bene, finalmente ti sei sfogato, - disse con voce strascicata.

Glauco tirò un altro inutile calcio alla legna.
- Fottuto fuoco. Fottuta pioggia. Fottute montagne!

- Fottuto tutto, - disse Mario, imitando il tono acido di Glauco. Ne aveva abbastanza anche lui ed era pronto a rischiare la collera dell’amico.

Glauco gli si rivoltò contro.
- Lasciami solo.

Mario diede dei colpetti ad un masso accanto a sé come se fosse un comodo divano imbottito.
- Vieni a sederti.

- Sono stato seduto per ore. Inoltre, farà ancora più freddo stasera e congeleremo senza un fuoco per asciugarci. A nessuno di noi sono rimasti dei vestiti asciutti. - Si voltò verso Mario, le mani tese in un gesto di supplica. - Forse dovremmo proprio tornare a casa... voi a Roma e io in Ispania. Ho scoperto abbastanza. So chi uccise mio padre. Non devo sapere altro.

- Chi uccise Massimo?

- Commodo lo pugnalò prima di quell’ultimo combattimento nell’arena. Massimo era incatenato. Inerme.

- Grazie per averlo condiviso, - disse Mario, poi si rammaricò delle sue parole noncuranti quando Glauco si voltò, di nuovo silenzioso. - Glauco, - disse Mario dopo aver ascoltato per alcuni istanti il rumore della pioggia fredda sulle rocce. - Tu già sospettavi che Commodo lo avesse pugnalato, quindi non può essere questo il motivo della tua infelicità. Sei sconvolto perché non hai ucciso Quinto?

- No, - disse Glauco allo scroscio di pioggia grigia. - Ho fatto la giusta cosa.

- Sono d’accordo. Ecco... questo è sistemato. Ora, che cos’è che ti preoccupa tanto? Perchè sei tentato di abbandonare tutto quando sei così vicino alle risposte finali?

Glauco non si mosse.

Il silenzio fu rotto improvvisamente da un urlo di Brenno, proveniente dalle profondità del riparo di pietra. Emerse dall’ombra portando una bracciata di legnetti così secchi che rimbalzarono e scricchiolarono quando gli scivolavarono dalle braccia.

Glauco finalmente sorrise.
- Ben fatto, Brenno. Ben fatto. Qui... dammeli, accenderò un bel fuoco e presto saremo al caldo. - In breve tempo, con fare esperto impilò il legno e provocò una scintilla ed un soffio di fumo che prese fuoco rapidamente trasformandosi in un fuoco ruggente che illuminò l’intera area. Disse a Brenno. - Ora che possiamo vedere, perchè non cerchi dell’altra legna asciutta? Quella bagnata farà solo fumo.

Brenno si allontanò di nuovo, contentissimo di essere d’aiuto.

Glauco si sedette e attizzò le fiamme con un bastone. Mario rimaneva muto. Finalmente Glauco disse tranquillamente:
- Quinto sostiene che Lucio è figlio di mio padre... mio fratello. Il figlio di Massimo e di Lucilla.

Con gran stupore di Glauco, Mario si limitò a scrollare le spalle.
- Ho sempre pensato che fosse possibile. Tu no?

Glauco scosse la testa, perplesso.
- Perchè pensi una cosa del genere?

- Erano giovani. Erano innamorati.

- Ma lei era promessa all’imperatore Lucio Vero.

- Forse Massimo non lo sapeva. Non era un’informazione di pubblica notorietà, sai. Il matrimonio di Lucilla in realtà ebbe luogo piuttosto rapidamente... addirittura prima che lei lasciasse la Germania, se la memoria non m’inganna. Forse doveva essere fatto in modo rapido.

Glauco si passò le mani sugli occhi come se un dolore improvviso lo avesse afferrato.

- Sarebbe così terribile? - chiese Mario con gentilezza. - Avresti un fratello. Un fratello e una sorella.

- Non voglio un fratello, - disse Glauco da dietro le mani. - Mio fratello è morto. Non ne voglio un altro.

- Glauco, Lucio sarebbe stato concepito prima che tuo padre partisse per l’Ispania; persino prima che incontrasse tua madre. Non le fu infedele.

Glauco si alzò e prese a camminare su e giù.
- Sta diventando sempre più complicato.

Brenno ritornò con un’altra bracciata di stecchi e li gettò per terra accanto al fuoco ancora scoppiettante.
- E’ tutto quello che di asciutto sono riuscito a trovare. Dovrà durare fino a domattina.

Glauco sorrise affettuosamente a quel giovane a cui voleva molto bene.
- Sono sicuro di sì, Brenno. - Mentre osservava Brenno impilare la legna, un senso di colpa lo sopraffece. Forse era stato troppo tetro. Forse non era stato leale con Brenno e Mario. Sospirò e si scaldò la schiena fissando la pioggia. Il senso di colpa lo rendeva ancora più depresso.

All’improvviso, roteò su se stesso così repentinamente che sparpagliò per terra un po’ di braci ardenti.
- Aspetta... aspetta... allora perché Severo sarebbe così preoccupato a causa mia? Lucio sarebbe l’erede legittimo al trono degli Antonini sia come figlio di mio padre che come nipote di Marco Aurelio, non io. Deve avere almeno sei anni più di me.

Mario prese in considerazione la cosa con attenzione. Brenno semplicemente sembrava perplesso.

- E’ vero, - disse Mario, - ma ha Lucio sotto controllo bloccato tra queste montagne. Sei tu l’enigma. Sei tu quello alla ricerca del contratto che potrebbe mettere te... o Lucio, sul trono. Così sei tu il vero problema.

- Se Lucio è mio fratello.

- Se, - accosentì Mario. - E c’è soltanto un modo per scoprirlo, non è così?

 

Desidero ringraziare Dominique, Susanne e Hebe per aver fatto tanta ricerca per questo capitolo ed il successivo. Era difficile stabilire quali paesi moderni potessero corrispondere alle Alpi Graie e Pennine (la Svizzera meridionale, essenzialmente), poi in quale città Lucio avrebbe potuto vivere, quindi trovare una strada romana che portasse a quella città, e inoltre i reali nomi romani delle città e dei passi (N.d.A.)



[1] L’attuale Grénoble (N.d.T.).

[2] L’attuale Chambéry (N.d.T.).

[3] L’attuale Aosta (N.d.T.).