La Storia di Glauco: Capitolo 62

 

Capitolo 62 (Roma, 180 d.C.) - Il combattimento finale

Quando i pretoriani levarono gli scudi e corsero a prendere posto mettendosi in cerchio attorno ai combattenti, il braccio sinistro di Massimo stava formicolando per la mancanza di ossigeno ai muscoli. La piattaforma si fermò con uno scossone e la folla ruggì d’approvazione. Vacillando leggermente, Massimo obbligò l’arto intorpidito ad abbassarsi per prendere il consueto pugno di sabbia che si strofinò brevemente fra le dita. Mentre si raddrizzava con lentezza, intravvide l’uniforme di Quinto e lanciò uno sguardo accusatorio all’amico d’un tempo. Quinto sostenne il suo sguardo ma, quando Massimo, ferito, si avvicinò alla sua arma, quello lanciò la spada nella sabbia, obbligando Massimo a chinarsi, dolorosamente, per raccoglierla. Perfino adesso Quinto rifiutava di essere contrito... perfino dopo esser stato testimone delle azioni del suo imperatore.  Massimo sapeva che Quinto avrebbe atteso prima di scegliere da che parte stare. Avrebbe semplicemente aspettato di vedere chi stesse per vincere.

Massimo si voltò per affrontare il suo ultimo avversario e le loro spade si incrociarono con un poderoso clangore che risuonò anche al di fuori delle mura dell’arena. La folla gridò la sua approvazione. I due uomini affondavano e paravano, avanti e indietro, avanti e indietro, nessuno dei due avendo un netto vantaggio, fino a quando Massimo improvvisamente sferrò un calcio e fece perdere l’equilibrio a Commodo, facendolo cadere di schiena nella sabbia con un colpo violento dell’elsa della spada. Impossibilitato a muoversi abbastanza rapidamente, tuttavia, il fendente di Massimo sollevò polvere mentre Commodo rotolava fuori portata e si rimetteva di nuovo in piedi. Lo sforzo costò caro a Massimo ed egli ripiegò il braccio sinistro contro la vita per proteggerlo, in quanto non riusciva più a controllarne con esattezza i movimenti. Piegato in due, inspirò ansimando qualche boccata d’aria, poi le spade cozzarono di nuovo. Ora la testa gli girava e Massimo non vide, fino all’ultimo secondo, il fendente che gli sfiorò il fianco e la gamba, aprendo un largo squarcio. Sopraffatto dal dolore e dalla scarsa lucidità, vacillò all’indietro. Commodo fu su di lui in un istante, non desiderando perdere il suo evidente vantaggio. Massimo indietreggiò dalla spada minacciosa, quindi radunò le forze dal profondo del suo corpo per rispondere con i propri colpi. Supremamente sicuro di sé ora, Commodo roteò come aveva visto fare a Massimo in combattimento e si trovò col petto contro il petto più ampio del suo avversario. Usando la sua maggiore taglia e forza, pur se indebolita, con il braccio destro Massimo obbligò l’imperatore ad indietreggiare quindi assestò di rovescio un feroce colpo sul braccio rivestito di bianco, obbligando Commodo a far cadere la spada per stringersi convulsamente la ferita gocciolante di sangue. La folla applaudì la prodezza del suo favorito, convinta che avrebbe vinto facilmente. Commodo si strinse il braccio mentre il suo avversario vacillava all’indietro.

Massimo non vide Commodo afferrarsi il braccio, né il giovane avanzare verso di lui; sul viso aveva un’espressione strana. L’intorpidimento era strisciato nel collo e nella spalla e giù per il fianco, attenuando misericordiosamente il dolore consumante. Improvvisamente l’arena si inclinò davanti ai suoi occhi, poi sembrò allontanarsi molto da lui, come se egli la stesse osservando dall’altro lato di una galleria. Udì una voce sepolcrale dire:
- Quinto, una spada. Dammi una spada, - ma non era sicuro di chi fosse la voce. - Una spada, dammi una spada! - gridò ancora la voce.

- Rinfoderate le spade! Rinfoderate... le... spade!

Massimo era disorientato. Era Quinto? Dov’era Quinto? La galleria cominciò a richiudersi, a diminuire di circonferenza, lasciando soltanto una macchiolina di luce all’estremità. La spada cadde dalle dita tremanti di Massimo mentre egli si allungava verso l’estremità della galleria, che si era allargata per rivelargli una scena familiare. Sapeva dove si trovava ora. In Ispania. Davanti a lui c’era il cancello d’accesso alla sua fattoria. Olivia doveva essere là... e Marco.

Le improvvisa grida e urla di disapprovazione della folla riportarono di colpo Massimo alla dolorosa realtà, appena in tempo per vedere Commodo avvicinarsi con un sogghigno crudele ed una lama imbrattata di sangue. Massimo incespicò all’indietro mentre Commodo avanzava, mirando alla gola non protetta di Massimo. Disarmato ora, Massimo chiamò a sé tutte le sue capacità di combattimento da soldato e le sua ultime riserve di forza, e alzò il braccio destro, colpendo di rovescio con il gomito la mascella di Commodo. Mentre il giovane barcollava e riguadagnava l’equilibrio, Massimo roteò il pugno all’indietro e glielo abbatté sul viso. Commodo cadde per il colpo poi si rimise in piedi agitando selvaggiamente le braccia, con la lama di Massimo di nuovo alla gola. Ma Massimo lo aveva previsto e bloccò il colpo con il braccio sinistro intorpidito, poi lo abbatté come un martello, fracassando il naso di Commodo. Il sangue sprizzò su entrambi gli uomini e Massimo portò di nuovo il braccio indietro colpendo la faccia pesta dell’imperatore e lo fece seguire da un potente diretto col pugno destro. Mentre Commodo si accartocciava, Massimo lo colpì di nuovo con un destro sul viso, seguito da una ginocchiata che mandò l’imperatore a gambe all’aria nella sabbia.

Mentre Massimo barcollava stupito, Commodo, malconcio ma determinato, lottò per mettersi in piedi e avanzò ancora una volta, determinato a finire il gladiatore e a reclamare l’amore e la devozione del popolo. Alzò minacciosamente il pugnale una terza volta e Massimo bloccò facilmente il colpo con la mano destra. Conficcando il braccio sinistro sotto il braccio di Commodo e usandolo come una leva, egli lentamente forzò all’indietro il polso dell’imperatore... mentre i colpi frenetici di Commodo gli rimbalzavano senza effetto sulla schiena... finché la lama del coltello toccò la gola di Commodo. Tenendo la testa della sua nemesi quasi con tenerezza, e soddisfatto dallo sguardo di sorpresa e paura negli occhi di quell’uomo odiato, Massimo continuò a premere inesorabilmente, occhi azzurri avvinghiati in occhi azzurri, guidando la lama nella giugulare, poi ancora più in profondità finché essa fendette la spina dorsale con uno scricchilio. Commodo scivolò in basso, lungo il corpo di Massimo, afferrando il suo giustiziere come supplicandolo di prolungare in qualche modo la vita che lo stava lasciando. Quando crollò in ginocchio era morto e Massimo ritirò la lama lentamente, lasciando cadere scompostamente Commodo nella sabbia.

Il suo compito era finito.

Il buio si avvicinò di nuovo; la galleria era ancora più lunga questa volta. Massimo lo imboccò galleggiando, leggero come l’aria. Atterrò gentilmente davanti al suo cancello e questa volta non si sarebbe fatto trattenere. Lo aprì spingendolo e lo attraversò, e c’erano gli adorati pioppi allineati lungo la strada per casa sua. Sorrise. Era quasi a casa.

- Massimo! - lo chiamò una voce familiare e la galleria si dissolse nella luce abbagliante. Dove si trovava adesso?

- Massimo. - Era nell’arena... piombata nel silenzio ora che la gente vedeva il suo eroe indebolirsi... con l’imperatore morto lì accanto e Quinto che lo chiamava. Erano ancora circondati da un cerchio di silenziosi pretoriani.

Massimo sbatté le palpebre.
- Quinto, libera i miei uomini. Il senatore Gracco deve essere reintegrato. Ci fu un sogno che fu Roma. Dovrà essere realizzato. Queste sono le volontà di Marco Aurelio.

Quinto scattò per obbedire.
- Liberate i prigionieri, - ordinò alle guardie. - Andate!

L’oscurità discese velocemente questa volta e all’improvviso Massimo fu lì, attraversava il suo campo di grano, sfiorando con le dita le spighe dorate.

- Massimo! - lo chiamò una dolce voce femminile. Olivia? Si sforzò di aprire gli occhi e vi riuscì solo parzialmente. Lucilla era lì accanto a lui, in lacrime, il campo di grano baluginava come oro splendente dietro di lei. Il viso di lei svaniva e riappariva ed egli seppe che la stava lasciando... che stava perdendo la vita.

- Lucio è salvo, - mormorò, ma quella semplice frase diceva tutto. Egli aveva infine completato la sua missione di liberare l’impero da quel pazzo di Commodo, ponendo le basi per la repubblica, proprio come il suo adorato Marco Aurelio aveva desiderato. Ed aveva salvaguardato il trono per il nipote del suo imperatore, Lucio, che sarebbe stato guidato dalla sua impareggiabile madre, che ora piangeva per il guerriero caduto. Voleva consolarla, ma le parole non si formavano più. Semplicemente non c’erano più né forza né aria rimasta nel suo corpo.

- Va’ da loro, - ella sussurrò tra le lacrime e Massimo fluttuò via di nuovo nell’oscurità gradita e indolore per emergere dove voleva trovarsi. Casa. E non era solo. In lontananza li vide, in piedi sul sentiero. Olivia e Marco. Che lo aspettavano. Dandogli il benvenuto. Mentre suo figlio gli correva incontro, camminò verso di loro, passando le dita in mezzo al grano della sua adorata fattoria in Ispania.

Era a casa.