La Storia
di Glauco: Capitolo 61
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Finalmente libero da sbarre e ceppi, Massimo scrutò con prudenza attraverso le fronde degli arbusti, notando a malapena, dopo mesi di reclusione, l’aria pulita e dolce. Strisciò fuori lentamente nell’ombra dello svettante muro di pietra della città e scrutò Cicero, seduto in groppa ad uno stallone, che si teneva sotto un albero frondoso per proteggersi dai raggi penetranti della luna. Massimo spostò lo sguardo a sinistra e a destra. Tutto sembrava tranquillo. Ancora cauto, tuttavia, si fermò dietro dei cespugli senza foglie e modulò un basso fischio che sapeva Cicero avrebbe riconosciuto.
Cicero sollevò la testa di scatto e gridò un avvertimento.
- Massimo!
Immediatamente, lo stallone fu spinto via ed egli fu strappato via dal suo cavallo dalla corda che gli serrava il collo, assicurata al ramo al di sopra di lui. Sconvolto, Massimo si precipitò in avanti e afferrò le gambe di Cicero, sollevandolo verso l’alto per alleggerire il peso sospeso al suo collo. Cicero ebbe solo il tempo di mormorare una parola di scusa prima che una mezza dozzina di frecce gli si conficcassero nel petto.
- Nooo! - urlò Massimo, protestando per la morte dell’amico, per il tradimento del piano e la perdita imminente della sua stessa effimera libertà. Cercò la spada con la mano e roteò su se stesso, cercando di scoprire da che direzione veniva il pericolo. Tese la testa all’indietro e vide dei soldati armati di frecce che attraversavano il ponte ad arco sopra di lui, poi dozzine di altri soldati con torce e spade emersero dalle ombre per sciamare verso di lui come api rabbiose. Tradito! Tradito! gridava la sua mente mentre veniva circondato da ogni lato. Attaccò ciecamente con la spada, ma gli cadde per un colpo particolarmente violento, poi egli continuò a dibattersi agitando selvaggiamente i pugni e scalciando con i piedi. Tradito! Quel pensiero gli squarciò la mente e cadde sotto i pugni e i perfidi colpi portati con l’elsa delle spade, mentre i soldati lo percuotevano ripetutamente. Tradito... la parola perse consistenza ed egli misericordiosamente piombò nell’incoscienza. Il viso di Lucilla fluttuò davanti a lui... poi tutto divenne nero.
Sembravano trascorsi solo pochi istanti quando egli sentì che il suo corpo afflosciato veniva issato e freddi ceppi di ferro gli venivano chiusi attorno ai polsi. Le mani che lo sostenevano lo lasciarono bruscamente ed egli cadde. Non si schiantò al suolo perché trattenuto dalle catene, che lo impedirono. La brutale tensione gli strappò i muscoli di spalle e braccia ed egli restò sospeso nell’aria con le braccia spalancate. Gemette in agonia e si sforzò di aprire un occhio. Era buio, quasi più nero della pece, senza nemmeno una torcia a rivelare dove egli si trovasse. Gemette di nuovo quando il movimento di alzare il mento gli fece pulsare la testa ancora più forte. Lo riabbassò lentamente verso il petto e chiuse gli occhi contro il dolore. Radunando le forze, trascinò i piedi e scoprì che le sue braccia erano ancora sospese al di sopra delle spalle. E ora non aveva bisogno di luce per sapere dove si trovava. L’oscurità e l’odore putrido della morte gli dissero tutto ciò che aveva bisogno di sapere. Era in una cella, da qualche parte nelle viscere del Colosseo.
Catturato... tradito... di nuovo schiavo. Lacrime calde di frustrazione si concentrarono sotto le sue palpebre e si riversarono lungo le sue guance contuse. Che cosa era accaduto? Come avevano saputo i soldati del piano per farlo evadere e guidare un esercito dentro la città? Ma la sua mente razionale sapeva che semplicemente non c’era altra possibilità… Lucilla aveva rivelato il complotto a suo fratello ed egli aveva inviato i suoi pretoriani per fermarlo. Lucilla lo aveva tradito, questa volta. La sua testa martellante riusciva a malapena a dare un senso a quel pensiero. Lucilla, che soltanto poche ore prima aveva confessato il suo amore per lui e lo aveva baciato così teneramente. Lucilla, che lo aveva amato… e che ancora lo amava. Lucilla, terrorizzata che suo fratello potesse far del male a suo figlio. Massimo sollevò la testa leggermente. Ah… ecco la risposta. Ella era stata obbligata a rivelare il loro piano. Commodo le aveva minacciato il figlio. Massimo sospirò. Non la biasimava. Al posto suo, probabilmente avrebbe fatto la stessa cosa… qualsiasi cosa per proteggere il suo bambino.
I polsi e le spalle continuavano a fargli male. Spostò i piedi per cercare di cambiare posizione, ma scoprì che anch’essi erano incatenati. Aveva pochissimo spazio per manovrare. Non si era sentito così disperato ed inerme da quando era stato messo all’asta al mercato di schiavi ed era stato comprato da Proximo... da quando era stato incatenato nell’atrio di Giulia.
Proximo... molto probabilmente era morto. E forse anche Haken e Juba. Tutto per nulla.
Commodo aveva vinto e lui aveva perso. L’impero aveva perso.
Massimo rabbrividì e si rese conto per la prima volta che la maggior parte dei suoi indumenti era stata strappata via. Seminudo, in ceppi, solo, in attesa della forma di tortura e di morte che la mente perversa di Commodo avrebbe escogitato per lui.
- Mi dispiace, - sussurrò nel buio. - Mi dispiace, - ripeté. Era dispiaciuto per tutto… per la morte di sua moglie e di suo figlio, di Cicero, di tutti i gladiatori che aveva ucciso nell’arena… per la sua incapacità di realizzare il sogno di Marco Aurelio. L’imperatore gli aveva affidato un incarico monumentale… e lui aveva fallito. La sua testa ricadde ed egli pianse lacrime silenziose.
- Massimo? Sei tu? - sussurrò una voce nel buio.
La sua testa scattò verso l’alto ed egli si sforzò di ascoltare. Che cosa aveva udito?
- Massimo? Sei tu?
- Juba? Juba? Sei vivo? - ansimò Massimo. - Dove sei? Non riesco a vedere niente.
- Siamo in una cella non lontana da te. Possiamo udire la tua voce. Abbiamo visto che un uomo veniva portato dentro, ma non eravamo certi che fossi tu.
- Chi? Chi c’è con te?
- Molti di noi sono qui… e anche il senatore Gracco.
- Haken?
- No… non ce l’ha fatta.
Massimo annuì tristemente nell’oscurità.
- Senatore, che cosa intende fare Commodo?
- Una pubblica esecuzione, mi aspetto, considerando dove ci troviamo. E nessun dubbio che abbia in mente qualcosa di speciale per te, viste le tue condizioni. - Rimase in silenzio per un momento poi aggiunse. - Massimo, non biasimare Lucilla. Ha fatto solo quello che è stata obbligata a fare.
Così, aveva ragione lui.
- Lo so, senatore. Non biasimo nessun altro che me stesso.
- Nemmeno te stesso, - insisté Gracco. - Sei l’uomo più coraggioso che abbia mai conosciuto. Non è colpa tua.
La risposta di Massimo si perse nello stridore della porta quando essa fu aperta lentamente. La scarsa luce di una singola torcia fu sufficiente a far socchiudere gli occhi a Massimo, mentre cercava di distinguere chi si stava avvicinando con il fuoco tenuto davanti al viso. Un pretoriano. L’uomo aveva l’uniforme di un pretoriano. L’uomo si fermò ad un braccio di distanza da Massimo e abbassò la torcia lentamente, le ombre che si spostavano in modo macabro rivelando l’unica faccia che Massimo sperava di non rivedere mai più. Quinto. Il pretoriano ed il prigioniero si fissarono per un istante, poi Quinto si voltò per inserire la torcia in un supporto sul muro. Ma Massimo gli aveva visto abbassare gli occhi per la vergogna.
Massimo scagliò l’assalto.
- Sei venuto a gongolare, Quinto? E’ questo che hai
sempre voluto… vedermi umiliato? Vedermi appeso seminudo in una cella in attesa del piacere del tuo padrone?
Quinto percorse la cella, fermandosi dietro Massimo, dove per il prigioniero
era impossibile vederlo.
- Non volevo tutto questo, - bisbigliò.
- Ti glori del tuo ruolo, vero Quinto? Tu ami il potere… la ricchezza… il prestigio.
- No, ti sbagli.
- Finalmente hai la posizione che senti di aver sempre meritato e io presto ti sarò fuori dei piedi per sempre. Questo è quello che hai sempre voluto, non è vero, Quinto? Esser meglio di me. Bene, congratulazioni. Tu hai l’orecchio dell’imperatore e il popolo ti teme. Non è questo ciò che hai sempre voluto?
- No, - sussurrò Quinto. - Non ho mai voluto vederti in questo stato.
- Ah, ma questo è il dilemma, vero? Perché se io non fossi in questo stato… imprigionato o morto… sfiderei Commodo fino al mio ultimo respiro… e sfiderei te. Ti smaschererei per il codardo che sei.
- Non sono un codardo.
- Allora guardami in faccia! - ordinò Massimo.
Lentamente Quinto aggirò il lato destro di Massimo per mettersi davanti a lui, e il rumore di stivali dei suoi passi echeggiò tra le pareti di pietra. Si fermò, petto contro petto con Massimo, poi lentamente sollevò lo sguardo. Restò in silenzio.
Massimo ondeggiò leggermente in avanti nelle sue catene.
- Hai l’occasione di rimettere le cose a posto, Quinto. Sicuramente adesso sai
che specie d’uomo sia Commodo. Marco Aurelio non aveva intenzione di lasciarlo
diventare imperatore, così Commodo uccise il padre prima
che potesse rivelarlo pubblicamente. Nel tuo cuore e nel tuo
istinto tu lo sai.
- Non c’è alcuna prova di quello che dici.
- Fidati di me e fidati del tuo istinto. Credi a quello che dico. Liberami. Vieni con me ad Ostia e marceremo insieme su Roma!
Quinto rimase in silenzio.
- Per il bene dell’impero che entrambi amiamo e serviamo, Quinto. Liberami adesso, mentre c’è ancora tempo, - incalzò Massimo.
- I miei ordini sono di controllare che tu sia ben legato. - Tese la mano per controllare il polso sinistro di Massimo.
Massimo lo allontanò scrollandosi.
- Stupido. Puoi illuderti di capire la mente alterata
di Commodo, ma non è così. Un giorno finirai
qui come me, aspetta e vedrai.
- Sto solo facendo il mio dovere, - insisté Quinto.
Furioso, Massimo sputò in direzione di Quinto, colpendo la sua lucida
corazza.
- Ecco che cosa penso della tua preziosa uniforme, Quinto. Quell’uniforme
tradisce tutto quello che una volta avevi caro.
L’onore, Quinto, è molto più importante di tutto. L’onore, non il dovere.
L’onore dovuto ad un imperatore assassinato e ai suoi ideali.
Quinto usò il dorso della manica per pulirsi dal petto lo sputo di Massimo, poi girò sui talloni e si diresse verso la porta. Proprio prima di uscire si voltò leggermente e lanciò un’occhiata a Massimo... e sembrò esitare. Poi se ne andò.
Massimo ruotò la testa all’indietro e guardò le spesse travi di legno che si incrociavano sopra la sua testa.
- Non c’era bisogno che ti preoccupassi, Quinto, - disse, a nessuno in
particolare. - Non posso andare da nessuna parte.
Massimo non sapeva come, ma doveva essersi appisolato. Si svegliò bruscamente al dolore acuto in entrambe le spalle ed i polsi. Il suo mal di testa era quasi cessato, ma il suo corpo si stava ribellando per essere forzato in quell’innaturale posizione da troppo tempo. Ma non era quello che lo aveva svegliato. In lontananza aveva udito il suo nome gridato in coro a più riprese, alzandosi e abbassadosi nella misura in cui gli spettatori prendevano posto nel Colosseo e levavano il canto. "Massimo, Massimo," lo chiamavano, ignari del dramma che si svolgeva sotto i loro posti.
La luce del giorno si era insinuata nella sua cella mentre aveva dormito, attraverso finestre poste in alto nelle spesse pareti. Girando la testa seppe che sarebbe stato in grado di vedere gli altri prigionieri, ma scelse di concentrarsi invece sul coro e sull’immagine chiara nella sua mente dell’arena al di sopra. Gli spettatori stavano per prendere posto, ridendo e chiacchierando e intonando cori per il loro favorito, in attesa dello spettacolo del giorno. Oggi tutti si aspettavano di vederlo combattere … ma non si aspettavano di vederlo morire. Massimo sorrise ironicamente. Che brutta sorpresa sarebbe stata… Massimo l’invincibile stava per fissare la morte in faccia per l’ultima volta. Come l’avrebbe organizzata Commodo? Sarebbe stato impastoiato e sbranato lentamente da leoni famelici come facevano con i cristiani? In quel modo avrebbe soddisfatto la sete di potere di Commodo e la sua smania d’intimidazione?
Improvvisamente le porte furono aperte e la luce inondò la stanza, mentre Commodo entrava maestosamente, sorridendo, l’umore esaltato dalla morte inevitabile del suo nemico. Era vestito di bianco immacolato dalla testa ai piedi, in onore di quella speciale occasione, e lanciò un’occhiata alle catene legate in alto, intorno alle travi, che sospendevano le braccia di Massimo sopra la sua testa… e sembrò soddisfatto.
Massimo sentì sollevarsi i capelli sulla nuca e le spalle mettersi in tensione. Si sforzò di rilassarsi e lasciò che le mani pendessero dalle catene. Era sconfitto, ma si rifiutava di sentirsi intimidito.
Quando Commodo si fermò davanti al prigioniero, gli
ripeté sarcasticamente il coro della folla.
- Massimo, Massimo, Massimo, - imitò. - Ti acclamano. Il generale che diventò
uno schiavo… lo schiavo che diventò un gladiatore… il gladiatore che sfidò un
imperatore. - Le sue parole grondavano veleno. - Una storia che colpisce. E adesso il popolo vuole sapere come va a finire. Soltanto
una morte gloriosa li soddisferà.
Massimo tenne lo sguardo fermo sulla corazza scolpita di Commodo. Ma l’imperatore voleva la piena attenzione del suo prigioniero e sollevò il mento barbuto di Massimo con un indice curato. Invece di ritrarsi al suo tocco, il labbro di Massimo si arricciò in un ringhio.
- E cosa c’è di più glorioso che sfidare l’imperatore in persona nella grande arena?
Massimo guardò direttamente negli occhi di Commodo.
- Tu combatteresti contro di me?
- Perché no? - sfidò l’uomo più giovane. - Credi che abbia paura?
Sbalordito da questa frase infantile, Massimo rise amaramente.
- Credo che tu abbia avuto paura per tutta la tua vita.
- A differenza di Massimo l’invincibile, che non conosce paura?
Massimo rise con insolenza.
- Conoscevo un uomo che una volta disse: “La morte sorride
a tutti. Un uomo non può far altro che sorriderle di rimando”.
- Mi chiedo se questo tuo amico ha sorriso alla sua morte?
Massimo fissò su Commodo uno sguardo inceneritore.
- Dovresti saperlo. Era tuo padre.
Il labbro superiore di Commodo tremò, come quello di un bambino che combatta
le lacrime. Quando parlò la sua voce era trattenuta.
- Tu amavi mio padre, lo so. Ma
lo amavo anch’io. Questo ci rende fratelli, non è così? - D’improvviso si
avvicinò e attirò Massimo in un abbraccio. - Sorridi per me, adesso, fratello,
- sussurrò all’orecchio di Massimo.
Massimo fu spinto sulle punte dei piedi da un improvviso, acuto, profondo e
lancinante dolore sotto la scapola sinistra ed i suoi occhi si spalancarono con
violeza, mentre l’aria si precipitava fuori dal suo
polmone sinistro lungo un tunnel creato dal pugnale che si ritraeva di Commodo.
Non riusciva a respirare e ansimò disperatamente in cerca d’aria, mentre
l’imperatore gli baciava il collo in una parodia d’affetto, poi con calma
Commodo si voltò verso Quinto, rimasto senza parole, e ordinò:
- Mettigli l’armatura; nascondi la ferita. - Guardò di nuovo Massimo, con uno
sguardo di crudele soddisfazione.
Massimo sollevò gli occhi al cielo. Era riuscito a risucchiare nel polmone sano aria sufficiente per tenersi in piedi, ma sapeva che la morte sarebbe venuta a breve. Da soldato aveva visto troppe ferite simili per sapere che era inevitabile. Commodo era intelligente. Aveva usato un pugnale da sicario, con una sottile scanalatura lungo la lama, per assicurarsi che una piccola quantità d’aria sarebbe entrata nel polmone, provocando un’abbondante emorragia sia interna che esterna, e che il flusso risultante d’aria in uscita dal polmone avrebbe collassato l’organo. Intelligente da parte di Commodo ordinare che le sue braccia fossero tenute alzate sopra la testa, permettendo al coltello di scivolare facilmente nello spazio tra la scapola e il torace, separati dalla sua posizione forzata. Doveva aver progettato tutto. Massimo sarebbe morto, ma avrebbe vissuto abbastanza a lungo perché Commodo giocasse con lui per poi giustiziarlo di fronte al popolo romano; l’unico uomo che poteva sconfiggere il grande Massimo. I resti dei suoi indumenti si stavano già impregnando di caldo sangue. La vendetta per tutte le malvagità di Commodo era probabilmente soltanto un sogno, adesso.
Il prigioniero barcollò quando fu tirato giù da due pretoriani, che rudemente gli avvolsero il petto nel cotone e gli infilarono la tunica azzurra dalla testa. Sobbalzò, ma rifiutò di gemere, mentre con degli strattoni un’armatura gli veniva infilata sul petto e legata con cinghie ai fianchi. A Massimo stava ronzando la testa, ma riuscì a stare in piedi durante quel trattamento brutale. Sentiva il sangue colare giù per il fianco, sotto la corazza di cuoio, ed impregnare la tunica, continuando poi a scorrere lungo la gamba. La fine sarebbe venuta presto… avrebbe ritardato abbastanza da permettergli un’ultima occasione per sconfiggere Commodo? Un’ultima occasione per liberare Roma dalla sua tirannia? Mormorò una silenziosa preghiera al suo adorato padre e a tutti gli dei che conosceva mentre veniva sollevato sulla piattaforma che l’avrebbe issato nell’arena.
Trionfante e armato di tutto punto, Commodo lo raggiunse, e Massimo suppose che Quinto fosse da qualche parte nelle vicinanze. Non aveva l’energia per guardare.
Cavi e pulegge cigolarono mentre la piattaforma si sollevava lentamente e le botole nel pavimento dell’arena si aprivano. Petali di rose rosse fluttuarono ai piedi di Massimo dall’arena al di sopra. La luce fu bloccata all’improvviso quando pretoriani armati presero posizione per riparare i combattenti dalla vista degli spettatori, finché il momento fu opportuno per rivelare in modo clamoroso l’emozionante vista alla folla gremita.
Lucilla avrebbe assistito alla sua morte?
Anche Giulia?
Massimo tenne giù la testa, concentrandosi su niente che non fosse inspirare aria nel suo polmone sano e tenere sotto controllo il terribile dolore lancinante.