La Storia
di Glauco: Capitolo 60
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- Prima, dimmi chi sei, - disse Quinto scrutando il soldato che se ne stava in piedi con le gambe divaricate ben piantate a terra e le braccia conserte. Accusatorio. Minaccioso.
- Te l’ho già detto, - ringhiò Glauco.
- Non è possibile, - protestò Quinto. - Massimo aveva un solo figlio maschio, Marco, ed è morto… - la frase gli morì sulle labbra. Chiaramente Quinto non era più sicuro di nulla, adesso.
- Oh, sì, è morto. Io sono il secondo figlio nato da sua moglie, Olivia. I pretoriani non mi trovarono, quel terribile giorno, e io sopravvissi.
- Ma, Massimo parlava spesso della sua famiglia. Non ha mai menzionato un secondo figlio. Sapevo che ebbe una bambina, che morì, ma non un altro maschio.
Glauco non voleva spiegare nulla a quell’uomo e si spostò con impazienza,
andando a mettersi vicino al focolare, con di fronte la luce spezzata
proveniente dalla finestra con le imposte chiuse.
- Il mio viso parla per me.
Quinto scosse la testa lentamente, con un’espressione confusa che gli
approfondì le rughe della fronte.
- Tu sei l’immagine di Massimo. Ma…
Glauco bloccò la domanda prima ancora che fosse formulata.
- Quella notte in Germania. Voglio tutti i dettagli.
Quinto si mosse a disagio nella sedia, che scricchiolò malgrado lo scarso peso di lui. Clara si alzò e si allontanò dai due uomini, andando alla finestra e aprendo le imposte. Con le braccia snelle si abbracciò il ventre, come cercando di isolarsi da quell’improvvisa e sconcertante intrusione nella sua semplice vita.
- Siediti, - le abbaiò Glauco. - Ti devi muovere solo quando te lo dico io.
Clara piroettò su se stessa e gli lanciò un’occhiataccia prima di
affrettarsi verso la credenza accanto al tavolo.
- Devo dargli del vino. A mio padre fa male la schiena e il vino lo aiuta.
Glauco aveva già capito che questa donna sicura di sé non si sarebbe fatta intimidire da lui o da chiunque altro. Si spostò leggermente così da poterla osservare servire il liquido, assicurandosi che non stesse per nascondere in tasca qualche utensile da cucina che potesse diventare una potenziale arma. Si chiese quanti anni avesse. Più grande di lui, senza dubbio. Aveva leggere increspature agli angoli degli occhi e una figura snella, ma matura. Vicina alla trentina, forse?
Clara mise il vino davanti al padre e scivolò di nuovo nel suo sedile. Si gettò i capelli dietro la spalla e guardò il padre con aspettativa, curiosa anche lei riguardo la sua storia.
Glauco appoggiò una mano sulla mensola del camino e tornò a rivolgere la sua
attenzione a Quinto, che fissò la sua coppa ma non
bevve.
- Quella notte l’imperatore morì, - lo imbeccò Glauco. - Dimmi
che cosa accadde prima che mio padre fosse convocato nella stanza di Marco
Aurelio.
Quinto fissava il muro, con i suoi irregolari mattoni di fango fatti a mano,
ma i suoi occhi erano focalizzati sul passato.
- Fui svegliato da un pretoriano e mi fu detto di vestirmi, poi fui scortato
fino ai quartieri di Marco Aurelio, dove Commodo e Lucilla già piangevano il loro padre. L’imperatore, il defunto imperatore, giaceva serenamente disteso nel suo letto. Non
c’era alcun segno di lotta o violenza. Commodo mi disse
che era morto nel sonno e io gli credetti. Marco Aurelio era stato molto
malato, dopo tutto. Non era difficile crederlo.
Commodo mi annunciò che aveva scelto me come nuovo comandante dei suoi
pretoriani e che dovevo assumere l’incarico immediatamente. Mi disse che l’impero rischiava di dover far fronte a tumulti,
quando il popolo avesse saputo della morte dell’adorato imperatore e che, a
causa della giovane età di Commodo, qualcuno poteva cercare di rovesciare il trono, gettando l’impero nel caos e nella
guerra civile. Commodo aveva bisogno di stabilire in fretta la sua autorità ed
eliminare chiunque avesse tentato di minacciarlo.
Quinto bevve a lungo dalla sua coppa d’argilla… più a lungo del necessario.
Glauco stava quasi per sollecitarlo di nuovo
quando egli continuò.
- Massimo fu il primo uomo che mi fu detto di convocare. Egli amava Marco
Aurelio e fu molto addolorato nel trovarlo morto. Commodo offrì la mano a
Massimo e gli disse che si aspettava la sua
lealtà. Io non ho alcun dubbio che
Commodo volesse che Massimo continuasse ad essere il comandante delle legioni
settentrionali, ma Massimo rifiutò di accettare la sua mano e si voltò,
ordinandomi di seguirlo. Era in collera, potrei dire.
Il mio cuore sprofondò. Sapevo che aveva appena suggellato il suo fato. -
Quinto bevve un altro sorso di vino e tese la coppa a
Clara perché la riempisse. Ella lo fece rapidamente, poi si sedette di nuovo,
con i gomiti sul tavolo e il mento appoggiato alle mani.
Quinto proseguì.
- Radunai un certo numero di pretoriani e mi recai alla stanza di Massimo, dove
lo trovai già vestito della sua armatura. Lo udii ordinare a Cicero, il suo
attendente, di convocare i senatori. Immaginai che Commodo avesse
ragione riguardo Massimo e che egli intendesse causare inutili conflitti. Non
si erano mai piaciuti sin da quando erano ragazzi. Pensai che Massimo fosse
poco ragionevole. Egli cercò di dirmi che Marco
Aurelio era stato assassinato e io lo misi in guardia circa la prudenza di dire
tali cose. - Quinto rivolse il viso a Glauco che stava in piedi, fissando le
braci incandescenti del fuoco mattutino. - Massimo aveva la completa lealtà
dell’esercito… di ogni uomo. Se
avesse voluto, avrebbe potuto causare grandi problemi a Commodo e all’impero.
La guerra civile. Non potevamo rischiare. - Quinto si volse a Clara, cercando
comprensione da sua figlia. Ella gli restituì uno sguardo impassibile.
- Così desti l’ordine della sua esecuzione. Tu… suo amico, suo compagno d’armi, - accusò Glauco.
- Sì, - disse Quinto quietamente, - Era la cosa giusta da fare. Il mio imperatore mi diede l’ordine. Era mio dovere eseguirlo.
- Il tuo dovere, - lo schernì Glauco. - Era una parodia di giustizia.
- Io non lo sapevo, a quel tempo! Tu sei un soldato. Sai che cosa significa obbedire… compiere il dovere per il tuo imperatore.
Glauco si mosse a disagio, la corazza sembrandogli all’improvviso pesante e rovente,
poi si allontanò dal focolare e si avvicinò al tavolo lentamente, con aria
minacciosa.
- Se mio padre sapeva che Marco Aurelio era stato assassinato,
perché tu no?
- Io… non vidi alcuna validità nella denuncia di Massimo. Sembrava assurda. Commodo non aveva alcun motivo per uccidere suo padre. Egli avrebbe ereditato il trono entro pochi mesi comunque, quando suo padre fosse morto.
Gli occhi spalancati di Clara si spostarono dall’uno all’altro, la fronte corrugata mentre ascoltava quella stupefacente conversazione.
- E quando riuscisti a capire, finalmente, che mio padre aveva ragione? - interrogò Glauco.
- Molto, molto più tardi.
- Dopo la sua morte.
La testa di Quinto s’afflosciò.
- Poco prima.
Glauco annuì con soddisfazione.
- E quanto sai adesso, esattamente, Quinto? Lo sai che
fosti tu a dare l’ordine di giustiziare il legittimo e
vero imperatore di Roma? Lo sai che, il giorno della sua morte, Marco Aurelio
aveva nominato mio padre suo erede e che furono
firmati i contratti? - Glauco sbatté violentemente entrambi i pugni sul tavolo
facendo saltare e rovesciare la coppa di vino. Ognuno di loro ignorò la macchia
rossa che si allargava. - Lo sai questo, Quinto? - gridò Glauco. - E come se
non bastasse, fosti tu a dare l’ordine di uccidere
anche la sua famiglia! Sua moglie ed il suo innocente
figlio… in Ispania… che non avevano nulla a che fare con tutto questo! - Glauco
a malapena notò lo sguardo d’orrore di Clara, prima di afferrare i bordi del
tavolo, sollevarlo e rovesciarlo, mandando Quinto a gambe levate sul pavimento,
la sedia frantumata sotto di lui e il tavolo sopra, ribaltato. Egli giacque lì,
confuso, mentre Glauco continuava la sua invettiva. - Mia madre e mio fratello! Mio padre! La mia famiglia! Tutti morti per
colpa tua!
Clara era balzata all’indietro quando Glauco aveva afferrato il tavolo ed arretrò finché con le ginocchia urtò il letto, lasciandovisi cadere, incerta su che cosa il furioso soldato avrebbe fatto dopo. Incerta del ruolo ambiguo giocato da suo padre nella storia romana. Incerta su tutto.
Glauco sollevò il tavolo di lato e usò il piede calzato da stivale per
voltare Quinto sulla schiena, la spada sguainata ancora una volta premuta
contro la gola dell’uomo.
- E quella non fu l’ultima volta che tu tradisti
Massimo, vero? Anche dopo che cominciasti a sospettare
di aver torto, tu continuasti ad interpretare il tuo ruolo, vero? Comandante
pretoriano per il corrotto Commodo. La tua ambizione offuscava il tuo giudizio, ancora e sempre.
Quinto chiuse gli occhi e rimase muto, inghiottendo bile con la gola convulsa.
- Le sue ultime ore, Quinto. Dimmi del tentativo di fuga, della sua cattura, e di quel combattimento finale nell’arena. - Glauco contorse la spada finché una goccia di sangue colò dalla gola dell’uomo riverso sul pavimento.
Quinto inghiottì di nuovo, tossì, poi riprese a parlare.