La Storia di Glauco: Capitolo 57

 

Capitolo 57 - Il Tempio

Tre giorni dopo Glauco e Brenno passeggiavano tranquilli e noncuranti lungo la Sacra Via, che percorreva tutta la lunghezza del Foro, muovendosi come uomini del tutto a loro agio nella grande città, usciti semplicemente per fare due passi alla luce del sole presso i templi scintillanti dei Dioscuri, del Divo Giulio e di Vesta. L’aspetto di Glauco era cambiato ancora una volta ed egli si sentiva abbastanza fiducioso sul fatto che nessuno lo avrebbe riconosciuto. I suoi capelli adesso erano nerissimi, grazie a un dipendente di Eugenia che usava la tinta regolarmente per coprire il grigio sempre in aumento dei propri. Gliene aveva messa un poco perfino su sopracciglia e barba, per scurirle, ed Eugenia aveva dichiarato che era proprio l’immagine di suo padre. Egli dubitava seriamente, comunque, che qualcuno a Roma avrebbe fatto il collegamento, dopo tutti quegli anni, e sperava che i capelli scuri e la toga marrone chiaro lo avrebbero semplicemente fatto scomparire nella moltitudine di gente d’aspetto simile.

Mario aveva già preparato tutto e fissato un appuntamento per loro alla Casa delle Vestali a mezzogiorno, con il pretesto di consegnare alcuni importanti documenti di famiglia per depositarli lì. Una volta che la porta si fosse aperta, Glauco avrebbe insistito per vedere la Vestale Massima. Ma al momento la sua preoccupazione era di giungervi senza destare sospetti. Procedeva con la testa china e si teneva sul lato in ombra della via, mentre Brenno controllava se c’erano pretoriani. Quando ne adocchiò uno, mormorò una parola chiave ed entrambi i giovani si spostarono nell’ombra degli edifici, finché la minaccia si allontanò. Mentre le ombre si accorciavano per poi scomparire completamente sotto il sole di mezzogiorno, Brenno si avvicinò alla Casa delle Vestali, mentre Glauco aspettava indietro.

Il Tempio di Vesta era il più antico e più importante della città, ed era collocato un poco dietro la piazza, proprio di fronte alla Casa dove vivevano le vestali. Era stato costruito da Numa Pompilio, il secondo re di Roma, fondatore del culto di Vesta, dea della famiglia e del focolare domestico. In questo tempio le vergini vestali custodivano il Sacro Fuoco, simbolo della vita della città. Nel tempio si trovava anche il Palladio, un’effigie di Atena che si credeva fosse stata portata da Enea da Troia.

Nei giorni precedenti Mario era stato fin troppo contento di istruire Glauco e Brenno riguardo il tempio e le sue abitanti. Non era proprio un vero tempio, aveva detto, dato che la sua superficie non era stata inaugurata, né conteneva un’effigie di Vesta. Ma la sua importanza per la città era innegabile. Come ancelle di Vesta, il principale dovere delle sei vestali era di non permettere mai che la fiamma si estinguesse.

Glauco osservò l’edificio mentre Brenno scompariva dietro una fiancata. Il tempio era rotondo e più piccolo di quelli circostanti, fatto di mattoni eccetto che per le colonne di marmo decorate, e si ergeva su una base quadrata. Il tempio era separato dalla Regia, la casa del Pontefice, da una stradina che si diramava dalla Sacra Via: il Vicus Vestae. Il Pontefice Massimo era considerato il capo spirituale delle vestali, ma allo stesso tempo non aveva alcuna parte nella pratica del culto, che era esclusivo dovere delle sei vestali scelte fra le famiglie più nobili della città. Avvolte in indumenti bianchi come neve che simboleggiavano la loro purezza di corpi, menti e anime, queste donne erano prescelte per l’ordine proprio nel fiore della loro bellezza, giovinezza e forza, per divenire depositarie di segreti di stato, confidenti dei membri della famiglia imperiale e fedeli custodi dei sacri simboli della comunità romana. Il termine legale del servizio era di trent’anni, dopo i quali la vestale, ormai tra i trentasei e i quarant’anni di età, era libera di ritornare a casa, e anche di sposarsi. Il loro servizio era diviso in tre periodi di dieci anni ciascuno: nella prima decade la novizia era iniziata ai misteri del luogo ed istruita dalle sorelle maggiori; nella seconda decade ella praticava i suoi doveri; nella terza insegnava alle novizie.

Pochissime vestali si avvantaggiavano del permesso dato per legge di lasciare la Casa e di rientrare nel mondo, perché gli onori, i privilegi e le ricchezze di cui godevano come vestali eccedevano di parecchio qualsiasi immaginabile vantaggio di una vita mondana o da sposata. Esse erano estremamente ricche: ricche grazie alle entrate dell’ordine, che possedeva un gran numero di proprietà terriere; e anche grazie a speciali rendite assegnate ad ognuna di loro dalla famiglia o dal capo di stato. Le vestali non erano soggette al dominio della legge comune ed erano svincolate dall’autorità paterna. A loro erano riservati i posti d’onore in teatri, anfiteatri e nel circo. A loro era anche riservato il diritto di condursi nelle vie di Roma ad ogni ora ed in qualunque tipo di veicolo scegliessero, e chiunque, perfino i consoli, era obbligato a far strada al loro passaggio. I cavalli venivano scelti tra quelli delle loro scuderie private.

Le vestali adempivano importanti doveri in cerimonie di stato e testamenti di imperatori; segreti e documenti di stato erano affidati alla loro cura. In guerre civili e supreme emergenze della comunità erano scelte come ambasciatrici per ristabilire pace e tranquillità tra parti contendenti.

Venivano prese molte ed attente precauzioni per impedire alle vergini di cadere in tentazione. A nessun uomo era permesso avvicinarsi al Tempio di Vesta di sera; a nessun uomo era permesso sorpassare la soglia della Casa delle Vestali, con nessun pretesto. Ogni servitore ed impiegato era di sesso femminile. Perfino i medici erano esclusi, per quanto urgente e indispensabile potesse essere la loro presenza. Infatti, nessun caso di malattia si poteva svilupparsi entro quella cittadella di castità fortemente protetta. Non appena il primo sintomo di un caso di malattia seria faceva la sua comparsa, la paziente veniva spostata dall’Atrio e posta sotto la cura dei suoi genitori, o altrimenti di una distinta matrona. Il comportamento dei dottori addetti era, in ogni caso, sorvegliato da vicino.

La sola spina in questa idilliaca esistenza era il Pontefice Massimo, che manteneva un occhio vigile sulla comunità di donne, vegliando sul più piccolo segno di sospetto. Ogni dettaglio della loro vita gli veniva riportato da informatrici segrete, scelte tra le servitrici della casa.

Per quanto affascinante Glauco trovasse tutto questo, egli era interessato soltanto ad una vestale… la Vestale Massima Celia Concordia, che aveva donato la sua vita all’ordine ed era ora molto anziana. Era anche la cugina di  Marco Aurelio ed era sospettata di essere ancora segretamente leale a lui e ai suoi eredi, malgrado la processione di imperatori successivi.

Brenno riapparve all’improvviso e fece cenno a Glauco di seguirlo. L’ispanico s’affrettò per raggiungere il giovane mentre questi spariva rapidamente giù dalla Nova Via sul lato occidentale della Casa. Austera dall’esterno, Glauco sospettava che questa grande Casa racchiudesse all’interno incalcolabili  fasti. Mentre si avvicinava alla porta raddrizzò le spalle e sollevò la testa. Due guardie completamente armate erano posizionate su entrambi i lati del portale ed egli non voleva dar loro motivo di sospetto. Un’anziana impiegata stava in piedi sui gradini e gli fece cenno di venire avanti. Le guardie lo ignorarono.

Una trasparente mano bianca si tese dall’ingresso.
- Sì, sì, dammi i tuoi documenti.

Come ci si indirizzava ad un’impiegata delle vestali? Glauco s’inchinò un pochino e disse in tono fermo, ma cortese.
- Mia signora, devo dare i miei documenti direttamente alla Vestale Massima in persona.

La donna ritirò la mano e se la posò sul fianco.
- Sciocchezze. Non si fa mai. Li consegnerò io alla persona giusta. - Tese di nuovo la mano, scuotendola con impazienza, questa volta.

- Mia signora, la sola persona giusta  è la Vestale Massima in persona, Celia Concordia. Devo parlare con lei.

- Non si fa e basta, giovanotto, - borbottò la donna con tono definitivo, cominciando a chiudere la porta.

- Aspetta, - disse Glauco stendendo la mano con il palmo in su, nel piccolo spazio rimasto aperto. - Per favore, consegnale questo, poi consentile di decidere da sola se vorrà vedermi.

La vecchia socchiuse gli occhi e osservò l’anello con curiosità. Poi lo prese dalla mano di lui e lo tenne vicino agli occhi, girandolo avanti e indietro. Un sottile cambiamento pervenne alla sua espressione e la sua voce si addolcì. Chiaramente aveva riconosciuto il sigillo.
- Aspetta qui. Ritornerò presto con una risposta. - Poi chiuse la porta in faccia a Glauco.

Per molti, lunghi istanti di tensione Glauco e Brenno aspettarono fianco a fianco tra le due guardie, fissando in silenzio la porta di quercia. Finalmente la porta si aprì e comparve un’altra donna, molto più giovane. Chiaramente non era una vestale, ma non aveva nemmeno l’austero atteggiamento di un’impiegata. Si rivolse alle guardie con tono perentorio.
- Potete andare.

I soldati sollevarono le sopracciglia e si guardarono perplessi.

- Mi avete sentito. Potete andare… subito. Non ritornate finché non avrò finito di occuparmi di questi signori.

Le guardie, sdegnate, lanciarono a Glauco un lungo sguardo duro prima di obbedire spostandosi verso l’angolo più lontano dell’edificio. Il loro atteggiamento facevano capire molto bene che non gradivano ciò che stava accadendo e rimasero in allerta, pronte a difendere qualunque vestale rischiasse di essere ferita o insultata da quei due plebei. Brenno restò in piedi dando la schiena a Glauco, assicurandosi che le guardie non tornassero furtivamente indietro a distanza di udito.

La donna sorrise premurosa.
- Io sono la segretaria personale di Celia Concordia e lei vi concederà un’udienza. Dovete rimanere fuori. Non vi azzardate a muovere un solo passo oltre la soglia, capito? Se lo farete, sarete uccisi all’istante dalle guardie.

Glauco annuì e sentì che la sua mano scattava verso la spada, malgrado la mancanza dell’arma al suo fianco. Si inchinò educatamente.
- Sì, signora.

La donna scomparve nell’ombra e Glauco credette che lui e Brenno fossero soli nell’entrata aperta, finché un’altra donna si rivolse loro.

- Dove avete preso questo anello? - disse una voce perentoria dall’interno buio. Glauco riuscì a scorgere una forma indistinta con una stola candida e capelli grigi, ma poco altro. Dietro di lei c’erano parecchie altre figure leggermente più scure.

Glauco lanciò un’occhiata alle guardie prima di rispondere, poi abbassò la voce malgrado i soldati fossero distanti.
- Da una donna che lo ottenne direttamente dall’imperatore Marco Aurelio quando si trovava in Mesia, dopo la rivolta del traditore generale Cassio. - Attese una risposta che impiegò molto a venire.

- Tutto ciò che accade è usuale e familiare, come la rosa a primavera e la messe in estate, - recitò la vestale con tono riverente.

- Perdonami, mia signora?

- E’ una frase delle Meditazioni dell’imperatore, che deve aver ispirato le sue insegne.

- Capisco. Ebbene, la signora che possiede l’anello aiutò a salvare la vita del generale prediletto di Marco Aurelio, Massimo Decimo Meridio, in Mesia. Io sono il figlio di questo generale e sono alla ricerca di informazioni sulla sua vita.

- Egli è morto, - fu la repentina risposta.

Glauco soffocò la sorpresa causata dalle parole brusche di lei.
- Sì, questo lo so. So molto su quanto gli accadde, adesso… che morì qui a Roma… da gladiatore… dopo aver ucciso Comodo. Morì tra le braccia di Lucilla, figlia di Marco Aurelio.

- Allora che cosa vuoi da me?

- Voglio che tu prenda e protegga un documento molto importante, che assolverà mio padre da ogni accusa relativa alla morte dell’imperatore, agli occhi di coloro che ancora pensano che egli sia colpevole... e può proteggere anche la mia vita. E’ un documento di stato e reca sia la firma di Marco Aurelio sia quella di mio padre, ed il sigillo dell’imperatore.

- Fammelo vedere. - Una spettrale mano bianca volteggiò nella luce del sole, giusto per il tempo di prendere il rotolo e di nuovo ritrarsi. Un fruscio fu l’unico rumore dall’interno mentre il rotolo veniva dispiegato, poi vi fu quello di un improvviso trattenere il fiato. - Credevo che non l’avrei mai visto, - sussurrò la vestale.

- Tu… tu sapevi del contratto? - chiese Glauco, sconcertato. Come era possibile? Severo l’aveva avvertita?

- Hai fatto la cosa giusta nel portarmelo. Il potere di questo documento potrebbe far piombare l’impero nello scompiglio.

Glauco stava cominciando ad avere dei dubbi.
- Io te lo porto solo in custodia. Ho due copie che userò come crederò meglio, ma l’originale deve essere tenuto al sicuro. Ne avrò di nuovo bisogno.

Vi fu un lungo silenzio, poi queste parole:
- Somigli moltissimo a tuo padre.

Glauco non sapeva come rispondere all’improvvisa benevolenza nella voce di lei.
- Lo conoscevi?

- No, non lo conoscevo e io normalmente non frequentavo i giochi. L’imperatore Commodo, tuttavia, insisteva che le vestali frequentassero i giochi che egli finanziava in onore del defunto imperatore… così vidi tuo padre combattere.

- E morire.

- Sì. Fu un triste giorno per Roma.

Glauco si rassicurò.
- Rivoglio indietro l’anello, mia signora, per restituirlo alla proprietaria.

- Lo terrò al sicuro. - La porta cominciò a chiudersi.

- No… per favore, mia signora, devo chiederti di restituirmi l’anello, - insisté Glauco scrutando nello spazio buio che si restrigeva. - Non mi appartiene.

Una mano si tese nella stretta apertura e glielo fece cadere in mano.
- Mi occuperò personalmente della sicurezza del documento. Non aver paura. - La porta si chiuse con un fermo rumore sordo. Glauco la fissò smarrito. Tutto lì?

- Pssst! -  sibilò Brenno. - Le guardie stanno tornando.

Glauco si voltò e ripercorse lentamente la via, rendendosi conto per la prima volta che il sudore gli stava colando lungo la schiena e quel giorno non faceva caldo. Si asciugò i palmi delle mani sulla toga mentre lui e Brenno svoltavano l’angolo sulla Sacra Via, e allungarono il passo affrettandosi ad allontanarsi dal tempio, andando verso i commercianti e le taverne… la confortante folla. Glauco si diresse direttamente ad una piccola taverna incuneata tra due edifici governativi e andò dritto ad un tavolo sul retro, schivando una servetta con un vassoio carico bilanciato sulla spalla. Mario, travestito con un’assurda parrucca a ricci castani che gli stava appena, era seduto nell’ombra al posto previsto e Glauco e Brenno, grati, si lasciarono cadere accanto a lui mentre egli mesceva birra importata dal Nord. Brenno arricciò il naso al gusto amaro, ma Glauco la tracannò.

- Sollevato che sia finita? - chiese Mario osservando il suo amico scolare il boccale. Glielo riempì di nuovo.

- Mi sento come se avessi gettato tutto dentro un pozzo senza fondo, per qualche ragione. Ho l’opprimente sensazione che non li rivedrò più.

- Non ti preoccupare. Mio padre ha affidato alle vestali importanti documenti ed è facile riaverli se puoi provare chi sei. Hai avuto una ricevuta, spero?

Glauco impallidì.
- No. Ha detto che non ce n’era bisogno.

- Oh... be’, forse il tuo è un caso speciale. - Mario alzò le spalle. - Io non mi preoccuperei. Il cibo qui è eccellente, anche se provinciale. Volete ordinare?

- Quel posto dava i brividi, - disse Brenno, ancora piuttosto scosso dalla loro recente avventura.

- Sì, un po’, vero? - Mario si grattò la testa, la parrucca momentaneamente dimenticata, poi si affrettò a raddrizzarla di nuovo. - A nessun uomo è permesso metter piede all’interno, per paura di compromettere la virtù delle signore che vi vivono. Mi chiedo spesso che cosa succeda davvero là dentro. Pensieri sacrileghi, vero?

- Direi, - borbottò Glauco leggendo il menu scritto in gesso su un pezzo di ardesia attaccato alla parete della taverna.

- Ebbene, mentre stavo aspettando, ho avuto un sacco di tempo per avere pensieri sacrileghi su quella splendida giovane donna seduta laggiù, di fronte alla via. - Glauco scrutò attraverso l’orda di clienti di mezzogiorno per vedere la ragazza. - E sembra anche che sia da sola. Non penso di averla mai vista a Roma pri…

Le sue parole andarono perdute nel ruggito di collera di Glauco, e Mario afferrò il suo boccale di birra per impedire che si rovesciasse sul tavolo, ondeggiante per l’urto violento provocato dal suo amico che aveva lasciato il sedile e si era precipitato in direzione della ragazza, spingendo da parte clienti allarmati.

- Che cosa gli prende? - chiese Mario ad un attonito Brenno.

- Sua sorella, - rispose Brenno.

- Sua cosa? - chiese Mario con un misto di stupore ed euforia. C’era una possibilità che potesse conoscere quella bellezza? - Massima? - chiese.

- Massima, -  confermò Brenno.

La risatina cominciò bassa nel petto di Mario poi gli uscì dalla gola come risata profonda e gioiosa.
- Va’ a dirgli di portarla qui, - indicò a Brenno, guardando Glauco affrontare la sorella, che sorrideva dolcemente. - E cerca di impedirgli di ucciderla, d’accordo? Mi piacerebbe conoscerla.

Glauco scortò Massima al loro tavolo con uno scintillio omicida negli occhi ed una presa dolorosa sul braccio di lei. Ella rifiutava di essere intimidita, tuttavia, e mantenne il suo sorriso finché si sedette tra suo fratello ed il suo compagno di giochi d’infanzia.

- Salve, Brenno. Ti piace Roma? -  chiese amabilmente, dando uno strattone alla sua stola nella mano del fratello.

- Salve, Massima, -  rispose Brenno facendo girare la birra rimasta nel boccale, sperando che potesse evaporare.

- Che cosa ci fai qui? -  sibilò Glauco alla sorella.

- Sapevo che probabilmente saresti passato per il Foro, prima o poi. Volevo parlarti.

- Tua madre lo sa che sei qui?

- Naturalmente no. - Ella sollevò il capo. - Hai proprio un bell’aspetto. Non ti avevo riconosciuto, in un primo tempo, - disse riferendosi ai capelli scuriti di lui. Lo sguardo di lei scivolò sul compagno di suo fratello dall’altro lato del tavolo. - Non fai le presentazioni?

Glauco continuava a guardare sua sorella, così Mario prese l’iniziativa. Si alzò in piedi e si inchinò profondamente, e la parrucca gli ruzzolò sui sandali, da dove egli, con un calcio, se la fece arrivare in mano e se la ributtò sulla testa.
- Mia signora, io sono Mario Vipsanio Agrippa e sono molto contento di fare la tua conoscenza, - rise. - Ti prego di scusare il mio goffo travestimento.

Glauco rivolse la sua occhiataccia a Mario, che sorrideva deliziato.

- Oh, rilassati, amico mio. Quelle vestali ti hanno innervosito, vero?

- Salve, Mario, -  rispose Massima. - Ho sentito molto parlare di te. Suppongo che tu sappia chi sono io.

- Sì, ma  mi piacerebbe conoscerti molto meglio, mia signora. Dimmi, come fa una donna di tale bellezza e chiara intelligenza e dolcezza ad avere un fratello come quello? - accennò a Glauco il cui viso era porpora per la collera repressa. Massima ridacchiò. Brenno rise nervosamente.

- Credete tutti che questo sia un gioco? - ringhiò Glauco. - Pensate che sia uno scherzo? Le nostre vite sono in pericolo mentre sediamo qui. In ogni momento i pretoriani potrebbero piombare qui e arrestarci tutti. Poi potremo continuare questo bel corteggiamento in quel buco spaventoso della Prigione Tulliana! - La sua voce si era alzata ad ogni parola tagliente ed egli si guardò attorno un po’ allarmato per vedere chi poteva aver udito. I clienti vicini guardarono altrove rapidamente, non volendo attrarre la collera di quell’esagitato.

- Scusa, Glauco, - disse Massima per calmarlo. - Volevo soltanto rivederti prima che partissi per le Alpi.

- Andremo prima in Gallia, - spiegò Mario, poi sobbalzò quando Glauco gli tirò un violento calcio da sotto il tavolo.

Era troppo tardi. Massima sapeva esattamente di cosa stesse parlando.
- Quinto? Hai trovato Quinto?

- Ah… sì, mia signora. - Non aveva senso cercare di negarlo adesso, così Mario proseguì. - Quinto fa il contadino ora… come tuo padre e tuo fratello. - Era la cosa sbagliata da dire e Mario lo capì nell’istante in cui le parole lasciarono le sue labbra.

Glauco si volse a lui.
- Come osi paragonare quell’uomo a me o a mio padre?

- Io non intendevo…

- Come osi pronunciare il suo nome insieme al mio e a quello di Massimo? - La sua furia ormai in stato di ebollizione, Glauco si voltò di nuovo verso la sorella. - Dove sono le tue guardie del corpo?

- Mi stanno cercando al Mercato Traiano, - sogghignò Massima, orgogliosa della sua impresa e stanca del carattere sempre più irascibile del fratello.  - Stavo ammirando dei ciondoli, quando sono state distratte da un po’ di confusione fuori d’un negozio e io ne ho approfittato. Quel posto è pieno di meraviglie e novità provenienti da tutto l’impero, fratello… anche alcune cose molto antiche dall’Egitto e dalla Grecia e anche da Petra. Oh, e le sete, Glauco… nessuna meraviglia che la mamma compri qui le sete. E’ il luogo più divertente del mondo, secondo me. Adoro Roma!

Mario la osservava parlare, completamente incantato. Brenno sorseggiò la sua birra, determinato ad abituarsi al gusto ora che si era reso conto che non c’era modo di liberarsene in altro modo. Glauco sedette con i gomiti sul tavolo, cercando di attenuare con un massaggio l’improvviso dolore alle tempie. Quando infine rialzò lo sguardo, Mario e Brenno si erano scambiati i posti e Mario e Massima erano impegnati in un’animata conversazione. Il dolore lo colpì attorno alla nuca. Con lo sguardo iniettato di sangue, osservò il suo migliore amico corteggiare la sua sorellina. Infine colse le parole “rivediamoci”.

- Impossibile, -  asserì Glauco con enfasi. - Stai per andare in Gallia, Mario, ricordi?

Mario guardò Glauco stupito.
- Proprio questa mattina mi hai detto che non mi volevi perché ti avrei rallentato troppo!

- Devi aver frainteso, - disse Glauco deliberatamente. - Certo che ho bisogno che tu mi accompagni.

Mario sorrise ironico e pensò: “Tu hai bisogno che io stia lontano da Roma, mio amico ispanico… o più specificamente, lontano da tua sorella.” Si rivolse di nuovo a Massima, che abbassò le ciglia. Si rendeva conto di quanto fosse seducente quel gesto?
-  Ahimé, mia graziosa Massima, il dovere chiama e io non devo tradire il mio amico. Posso contare sul fatto che sarai a Roma quando ritorneremo?

- Naturalmente. Quando partirete?

Glauco lo anticipò.
- Abbiamo affari da svolgere a Roma, quindi non per una settimana almeno.

- Bene, allora ti rivedrò prima di quel momento, - sussurò Massima a Mario, quasi facendo le fusa.

- Sarò sempre ai tuoi ordini, mia signora. Sussurra nel vento e io sarò lì. E se non funziona, manda un servitore alla mia insula. - Risero entrambi.

Brenno scolò il suo boccale e lo tenne alto con aria trionfante, poi si precipitò a coprire l’orlo con la mano prima che Mario potesse riempirlo di nuovo.

Glauco si alzò bruscamente, annunciando.
- E’ tempo che tu vada a casa prima che vi arrivino i servi e dicano a Giulia che ti hanno persa. Sarà fuori di sé per l’ansia.

Mario si alzò e tese la mano alla graziosa giovane.
- Permettimi di accompagnarti, mia signora, - disse educatamente.

Mentre Massima prendeva la sua mano, Glauco disse bruscamente.
- L’accompagnerò io.

Mario con fermezza ripiegò la mano di Massima nell’incavo del proprio braccio e la fece voltare verso l’uscita.
- Non sarebbe saggio, amico mio. Metteresti tua sorella a grave rischio se venisse trovata con te.

Glauco doveva ammettere la verità di quelle parole e cercò un’alternativa. Brenno sembrava assolutamente brillo e non conosceva Roma abbastanza bene. Serrò i denti. Il suo troppo sollecito amico romano sembrava aver vinto la questione. Glauco si impastò un sorriso sul viso mentre sua sorella agitava le dita in segno di addio ed emergeva con Mario alla luce del sole, prima di scomparire nella densa folla pomeridiana del Foro.

Glauco tirò in piedi Brenno, poi si diresse da Eugenia ad un tale passo che il ragazzo riuscì a malapena a stargli dietro. Quando Mario li raggiunse ore dopo, tutti i loro zaini erano imballati e i cavalli erano pronti. Prima dell’alba del mattino successivo i tre uomini erano in cammino verso la Gallia, con Mario che fischiava un motivo allegro mentre attraversavano la Porta Flaminia ed entravano nella campagna romana.