La Storia di Glauco: Capitolo 56

 

Capitolo 56 - L’anello

La luce del focolare scintillò e fece sfavillare l’oro antico cesellato dell’anello che Giulia teneva in alto, girandolo lentamente perché tutti potessero vedere gli squarci color giallo che si fondevano con il porpora acceso della pietra. Era un anello disegnato per un uomo potente... un anello adeguato ad un imperatore. Il sigillo era così grande che, una volta indossato da Marco Aurelio, esso doveva raggiungerne la nocca. Giulia ricordò che le dita di lui erano state lunghe, snelle ed in qualche modo fragili, più adatte al poeta erudito che all’imperatore guerriero.

Il sigillo era stato inciso su una pietra lucida e piatta, perfettamente arrotondata, un raro pezzo d’agata viola. L’intaglio era un capolavoro d’oreficeria, le linee talmente delicate che sembrava impossibile che fossero state cesellate da mani umane. Ma, così come la sua dimensione contrastava con la snellezza del dito che l’anello a sigillo doveva adornare, la semplicità delle insegne cesellate sulla pietra contrastava con il peso dell’oro e l’evidente ricchezza della gemma: una spiga di frumento ed una rosa, intrecciate. Nessuna parola. Non un dio né una dea. Nessuna rappresentazione di romani trionfi. Solo una semplice, umile spiga di grano ed una bella rosa in fiore. Una spiga di grano maturo, come quello che nutriva i Romani di tutte le classi, in ogni angolo dell’impero. Una rosa come ne sbocciavano a milioni dalla Siria alla Britannia. Così semplice. Così naturale. Tuttavia esse erano state scelte dall’uomo più potente del mondo come suo personale sigillo. Misteriose nella loro semplicità, quelle insegne si adattavano perfettamente all’uomo semplice che l’imperatore Marco Aurelio era stato. Si addicevano al guerriero, al filosofo, all’uomo potente eppure compassionevole che egli era stato... l’uomo che aveva avuto un potere assoluto e che tuttavia voleva restituire il potere al popolo di Roma. L’uomo che aveva scelto Massimo come suo solo possibile erede.

- E’ splendido, - disse Massima fissando estasiata i colori vibranti. - Chi te lo ha dato?

- L’imperatore di Roma... Marco Aurelio. - Giulia sorrise nel vedere il sussulto di Glauco. - Mi era molto grato per il ruolo che ebbi nel proteggere la vita di tuo padre, quando egli fu in grave pericolo in Mesia, e mi donò questo anello con sigillo, consigliandomi d’usarlo se mai avessi avuto bisogno d’aiuto, di qualunque tipo. - Giulia si mise l’anello nel palmo, compiaciuta del suo peso. - Avrei voluto usarlo per salvare la vita di Massimo, dopo che scoprii che era schiavo a Roma, - disse, - ma era troppo tardi, ormai.

- A che cosa serve, ora che Marco Aurelio è morto? - chiese Massima prendendo l’anello dalla madre e rigirandoselo più volte nella mano, poi lo provò sul dito medio, dove esso inghiottì l’intero dito...

Glauco anticipò la risposta di Giulia.
-
La gran sacerdotessa di Vesta. Ella riconoscerà l’anello, vero?

Giulia annuì con un sorriso.

Glauco continuò.
- E mi aiuterà, quando l’avrà visto. Giulia... intendi prestarmi l’anello?

Il sorriso di lei si allargò.
- Se non lo potei usare per aiutare tuo padre quando era vivo, allora lo impiegherò adesso, per servirlo dopo la sua morte. E’ ciò che l’imperatore avrebbe voluto, ne sono sicura.

- Ecco... prendi! - esclamò Massima lanciando l’anello al fratello. Con lo sguardo, Glauco lo seguì volare nell’aria e lo afferrò con la mano, sentendo la gemma affondare nel palmo. Egli lo strinse forte, poi aprì le dita lentamente, studiando l’impronta delle insegne nella sua carne.

- Ho anche notizie per te, - continuò Giulia lanciando un’occhiata ad un raggiante Apollinario. - Sappiamo dove si trova Lucio Vero.

- Dove? - chiesero Massima e Glauco all’unisono, il prezioso anello temporaneamente dimenticato, alla menzione del nipote di Marco Aurelio.

- Egli è Iudex Selectus Quaestionis della Provincia Alpina delle Alpi Graie e Pennine. Non farti ingannare dal nome prolisso. E’ forse una delle province più piccole dell’impero ed è certamente una delle più remote, sperduta sui picchi alpini.

- E’ finito piuttosto fuori mano, - commentò Glauco.

- Questo è certo, - fu d’accordo Massima. - Che cos’è un Iudex... mhh...?

Apollinario si unì alla conversazione.
- Iudex Selectus Quaestionis è la più alta autorità in una provincia troppo piccola per avere un governatore. E’ un magistrato civile
col compito di dispensare giustizia a livello locale. Essenzialmente, egli tiene udienza e dà ascolto alle lamentele, poi dispensa giudizi. Non è un lavoro di poco conto, ma non riesco ad immaginare che abbia molto da fare, in una remota provincia in mezzo alle Alpi, popolata per lo più da pastori.

- Molto ingegnoso da parte di Severo, comunque, - commentò Glauco. - Al popolo di Roma sembra che egli abbia dato al nipote di Marco Aurelio una posizione di responsabilità, laddove in realtà l’ha soltanto spedito fuori dei piedi.

- Precisamente, - disse Apollinario. - I passi sono inaccessibili per la maggior parte dell’anno, così il giovane resta piuttosto isolato laggiù. E le strade per le province settentrionali ed occidentali evitano i picchi più alti delle Alpi Graie e Pennine. E’ la più a nord delle tre province alpine.

- Da quanto tempo si trova là? - chiese Glauco.

- Non so, - rispose Giulia. - La gente a Roma non lo vede da anni, ma mi sono assicurata che è vivo e che sta bene.

- Vi andrò di sicuro... molto presto, mentre il tempo è buono. Grazie, Giulia ed Apollinario. Non posso dirvi quanto apprezzo tutto ciò che avete fatto per me.

- Ci sono altre due cose che vorrei fare prima che tu parta domani, - disse Giulia. Glauco sollevò le sopracciglia in modo interrogativo. - Devo alterare un poco il tuo aspetto, in modo da non poter essere identificato troppo facilmente. Inoltre, hai bisogno di un compagno di viaggio che possa fare le commissioni ed andare in posti dove tu non oseresti rischiare di essere identificato. La donna che mi aiutò a mettere al mondo Massima, un’amica molto cara, ha un figlio di circa un anno più giovane di Massima. E’ molto intelligente e sveglio e, come Massima, annoiato della vita alla villa. Parla perfettamente latino e greco e sa leggere e scrivere correntemente. Ho già parlato con sua madre ed egli sarebbe molto contento di accompagnarti.

- Sa cavalcare? - chiese Glauco, per niente sicuro di volersi trascinare in giro un ragazzo che lo avrebbe rallentato.

- Si sta prendendo cura del tuo cavallo da quando partisti e si è piuttosto affezionato all’animale. Sì... cavalca molto bene in realtà.

- Come si chiama?

- Brenno. Ha circa la tua altezza, folti capelli neri e ricci ed occhi castano scuro.

- Brenno... Oh, so di chi parli, mamma, - disse Massima. - Giocavamo insieme quando eravamo piccoli, prima che tu decidessi che avevo bisogno di un’istruzione più adatta. Ti piacerà, Glauco.

- Bene, allora è deciso. Grazie molte, Giulia. - Glauco inspirò a fondo. - Suppongo che questo sia un addio, per ora. Partirò molto presto domani mattina, prima che gli uomini dell’imperatore abbiano la possibilità di scoprire che sono qui. Se tutto va bene, si trovano ancora molto indietro, lontani da me, ma la notizia del massacro nel deserto potrebbe viaggiare molto velocemente.

- Ti rivedrò a Roma, - dichiarò Massima.

- No, sorella, - rispose Glauco con un tono che non ammetteva repliche. - Non dobbiamo essere visti insieme in nessuna circostanza, fino a che tutto questo non sia finito.

Massima mise il broncio.
- Potremmo solo...

- No! - disse Glauco, - e non voglio sentire un’altra parola al riguardo. Anche se ci trovassimo entrambi a Roma nello stesso tempo, non dobbiamo incontrarci.

Massima strinse le labbra e cambiò argomento.
- Che cosa intendi fare per alterare il suo aspetto, mamma?

Giulia si limitò a sorridere.

 

Nella grigia foschia del primo mattino, due figure maschili a cavallo discendevano al trotto la strada dalla villa, superando l’oleandro color rosa tenue in piena fioritura e gli alberi di limone fragranti dai rami aguzzi, che strappavano i loro mantelli come per persuaderli a non partire. Quando raggiunsero la strada che collegava Ostia e Roma aveva cominciato a piovigginare in modo serio, ed il più giovane dei due si tirò il mantello sulle orecchie, appiattendo i folti riccioli neri che a poco a poco si erano inzuppati. Il mantello marrone bagnato fradicio non riusciva a camuffare il corpo snello e flessuoso del giovane,  non più che un ragazzo, o a soffocare la sua eccitazione riguardo il suo primo lungo viaggio lontano dalla villa. Egli spronò la sua cavalla baia ad una breve corsa, per riuscire a star dietro all’enorme stallone nero, che trottava ad un passo agevole e sbuffava felicemente per essersi infine riunito al suo padrone e trovarsi di nuovo in viaggio. Man mano che la strada si addentrava, la foschia diventò più fitta, alzandosi ora dalle  paludi circostanti e stillando dai cipressi che torreggiavano sopra le loro teste. Non c’erano ancora mercanti sulla strada, ma i due uomini viaggiavano in silenzio affinchè brani della loro conversazione non arrivassero ad orecchie nemiche.

Brenno guardò con la coda dell’occhio l’uomo sullo stallone. Glauco era stato cordiale, la notte prima, quando si erano conosciuti, ma aveva mantenuto un’aria distante, non desiderando condividere i suoi pensieri con un ragazzo che aveva appena conosciuto. Brenno sperava di guadagnarsi la sua fiducia ed amicizia, ma sapeva che le chiacchiere oziose non erano il giusto metodo d’approccio, così rimaneva in silenzio. Egli provava più che una punta d’ammirazione reverenziale per il suo compagno di viaggio... il figlio del leggendario generale Massimo. Aveva un’aria così intimidente, in groppa allo stallone. Il suo mantello cadeva dalle ampie spalle e si allargava sui muscolosi fianchi dell’animale. Una spada ed un fodero decorati erano fissati alla sua anca, la mano posata con indifferenza sull’elsa.

Malgrado la fredda pioggerella, Glauco sedeva eretto e teso sul dorso di  Ultor, lo sguardo diritto in avanti, i pensieri controllati, i sensi completamente all’erta. Il suo sguardo dardeggiava ad ogni suono: ogni stridio d’uccello, ogni fruscio d’animale nell’erba a lato della strada. Non aveva dormito bene e si sentiva un po’ irritabile. Il suo addio a Massima era stato doloroso, la sua sorellina gli sarebbe mancata molto, malgrado il sollievo dato dal fatto che fosse finalmente al sicuro sotto la protezione della madre. E Giulia... anche lei gli sarebbe mancata. Sorrise lievemente chiedendosi come avrebbe reagito quando avesse trovato il disegno a carboncino di Massimo, posato con cura sul tavolo accanto alla sua sedia preferita, nel suo appartamento. Era certo che Massimo avrebbe voluto che l’avesse lei. Inoltre, egli aveva mandato a memoria ogni tratto, tonalità e sfumatura. Il viso di suo padre era inciso nella sua mente. Glauco si spostò leggermente nella sella ed il peso confortante premuto contro le sue reni gli assicurò che l’anello, il contratto, e due copie autenticate firmate da testimoni quali Giulia ed Apollinario erano protetti e al sicuro.

La fredda pioggerella cominciò a gocciolargli fino alla base del collo, sotto il cappuccio, ed egli si passò la mano intorno alla nuca, momentaneamente allarmato per l’assenza di capelli. Giulia aveva ordinato che i suoi lunghi riccioli ondulati fossero tagliati  corti e la sua barba venisse spuntata, ed ora essi non erano molto più lunghi di quanto lo erano stati quelli di suo padre. Si ricordò di come si era sentito intimidito quando si era guardato nello specchio. Se i suoi capelli fossero stati unti e pettinati in avanti, e più scuri di alcuni toni, avrebbe potuto passare per suo padre. Giulia aveva voluto quello? Egli aveva gettato uno sguardo al viso di lei riflesso nel vetro sopra la sua spalla. Era pallida, la mano alle labbra per l’emozione, gli occhi colmi di lacrime. No... l’arcana rassomiglianza con suo padre aveva sorpreso anche lei. Con corazza e mantello avrebbe potuto passare per quel giovane dell’illustrazione in piedi sul gradino. Soltanto il tempo lo avrebbe detto.

 

Roma
Mario sedeva guardando le particelle di polvere fluttuanti nei raggi di sole che filtravano dalle alte finestre della biblioteca e sospirò. Era così stanco di fare ricerca. Era così tediato dagli studi e dalla politica, gli mancavano l’avventura e gli stratagemmi che Glauco aveva introdotto nella sua vita, e che si erano volatilizzati con la sua partenza. Non si era reso conto di quanto fosse noiosa la sua vita, fino a che non aveva fatto amicizia con il figlio del generale Massimo. Oh,  gli intrighi non erano svaniti del tutto. Sapeva bene di essere sorvegliato e che c’erano guardie appostate all’insula, nel caso Glauco fosse tornato. Ma ora si domandava se Glauco sarebbe mai tornato, o se avesse incontrato una sorta di destino finale laddove lo aveva portato la sua ricerca.

Mario si riscosse dalle sue fantasticherie, allorché un giovane prese posto vicino a lui sulla panca e fece cadere una pila di rotoli sul tavolo. Doveva essere impegnato in qualche studio serio, pensò Mario, prima che i suoi occhi tornassero alle galleggianti particelle di polvere. Alla fine sospirò e ritornò ai suoi studi sulla guerra perugina. Lui ed il suo compagno di panca rimasero seduti in silenzio per un lungo istante. Infine il giovane gli diede un colpetto sul gomito.
- Scusami, potresti dirmi che cosa significa questo?

Il giovane non era familiare a Mario e, dopo averlo studiato brevemente ed avere deciso che era inoffensivo, abbassò lo sguardo sulla pergamena sul tavolo... i rotoli che facevano la cronaca delle campagne germaniche di Marco Aurelio.

Mario si irrigidì leggermente, immediatamente prudente.
- Proverò. Di che si tratta?

- Proprio qui, signore, - disse il ragazzo e guidò l’attenzione di Mario ad una tavoletta di cera nascosta all’interno del rotolo.

- Cos...? - cominciò Mario, ma serrò in fretta le mascelle quando lesse il breve messaggio. - Sì, sì... uh, puoi trovare più informazioni nelle pile di rotoli laggiù. - Indicando la parete alla sua sinistra, esplorò rapidamente la stanza in cerca di Glauco e lo scoprì che esaminava con comodo le pile di rotoli tre piani sopra, col viso non rivolto all’affollato dibattito vivace ai tavoli o ai gruppi studiosamente chini sui manoscritti.

- Grazie, signore... Per favore, non alzarti. Posso trovare ciò che mi serve da solo, poi tornerò. Mi vorresti tenere il posto?

- Sì, sì... naturalmente. - Mario tenne lo sguardo immobile sul rotolo della guerra perugina mentre il giovane si allontanava. Poco dopo sbadigliò profondamente e si stiracchiò all’indietro, ascoltando le sue vertebre scrocchiare mentre di soppiatto osservava il ragazzo esaminare i manoscritti vicini a Glauco, che aveva capelli incredibilmente corti. Sembrarono urtarsi, poi si chiesero scusa prima che il ragazzo si dirigesse di nuovo verso di lui. Glauco prese posto ad un tavolo isolato in un angolo buio.

- Hai trovato quello che volevi? - chiese Mario, conscio che la sua voce suonava ansiosa.

- Sì, credo di sì. E’ questo? - Il giovane aprì il rotolo per rivelare un’altra tavoletta di cera con un secondo messaggio scarabocchiato da Glauco, che Mario lesse rapidamente.

- Ah... sei nuovo qui a Roma? - chiese Mario, arrabattandosi per cercare di dare un tono casuale ad una conversazione dal significato rilevante.

- Sì, sono arrivato proprio questa mattina. Sono qui per studiare. - Il ragazzo tese la  mano. - Mi chiamo Brenno.

- Piacere di conoscerti, Brenno. Io sono Mario. - Brenno sorrise, poi tornò al suo rotolo, congedando Mario. Che cosa si supponeva che facesse, adesso? Dalla nota di Glauco era chiaro che questi fosse in grave pericolo e che Mario non doveva avvicinarsi.

Improvvisamente Brenno si girò di nuovo verso di lui.
- Devo trovare una stanza in affitto, signore. Conosci qualche posto sicuro per qualcuno nuovo della città?

La risposta gli venne di getto.
- Il posto in cui abito io non è sicuro. Nient’affatto sicuro. Non devi andare là. Ah...  forse... c’è un posto vicino al distretto della Suburra. Sì... è una buona idea. C’è un posto là dove puoi trovare alloggio. Ti dirò come arrivarci.

 

Più tardi quella sera...
Gli occhi di Brenno erano tondi come piatti mentre seguiva Glauco attraverso il labirinto di viuzze; la loro torcia era l’unica fonte di illuminazione, a parte i raggi occasionali provenienti da lanterne che pendevano sulle vie ciottolose e sopra i muri sudici e diroccati. Non aveva mai immaginato che Roma fosse così. Aveva pensato che l’intera città fosse come il Foro... quella zona rifulgente di templi ed edifici pubblici, piena di luce ed acquirenti, uomini d’affari e senatori. No, non aveva mai immaginato nulla di simile a questo, e si tenne il mantello sopra il naso per sfuggire al peggiore tra gli odori rancidi e sopprimere lo stimolo a vomitare. Il posto puzzava di urina, feci e vomito. Egli mormorò delle scuse, per la decima volta almeno, quando calpestò i calcagni di Glauco. Preferiva rischiare uno schiaffo dal giovane, piuttosto che rimanere troppo a distanza da lui, dalla sua forza, dalla sua lanterna e dalla sua spada. Inoltre, Glauco sembrava sapere dove stava andando e Brenno invece non aveva idea di dove si trovasse. Si chiedeva, tuttavia, come Glauco potesse sembrare a suo agio in un sobborgo così orribile, dove l’umanità sembrava sopravvivere in circostanze troppo terribili persino per degli animali.

Glauco svoltò un angolo e Brenno si affrettò per stargli dietro... e urtò contro la schiena di Glauco quando egli si fermò improvvisamente davanti ad una  porta. Chiese di nuovo scusa, poi sentì una presa schiacciante sul polso mentre veniva  trascinato accanto al giovane.
- Vuoi smetterla di chiedere scusa! - sibilò Glauco. - Capisco come ti senti. Mi sono sentito così anch’io la prima volta che vidi questo posto. Però... smettila di scusarti con me.  Non lo sopporto più.

- Sp... spiacente, signore, - disse Brenno prima di premersi la mano sulla bocca. I suoi riccioli neri rimbalzarono mentre scuoteva la testa freneticamente per indicare che non aveva voluto lasciarsi sfuggire quelle parole.

Glauco sospirò. Brenno si era dimostrato molto utile e a lui francamente piaceva, ma a volte la sua mancanza di esperienza era stancante. Bene... se sta incollato a me, pensò Glauco, perderà la sua innocenza piuttosto presto. Glauco sospirò ancora mentre usava l’elsa della spada per bussare sulla porta di legno sfregiata che si aprì immediatamente. Fece cenno affinchè Brenno lo precedesse all’interno, e ridacchiò quando il giovane evitò l’enorme fallo eretto di pietra accanto allo stipite della porta. Ah, sì... perderà la sua innocenza piuttosto presto.

All’interno, le loro narici furono assalite da un nauseante profumo dolciastro destinato a mascherare gli odori delle secrezioni corporee che permeavano ogni crepa di una tal casa. Senza che fosse pronunciata una sola parola, furono indirizzati da una giovane donna verso una porta leggermente socchiusa e si affrettarono ad uscire da quell’atrio opprimente.

- Glauco... Glauco, amico mio! - esclamò Mario avvolgendo l’ispanico in uno stretto abbraccio. - Non ero sicuro che ti avrei più rivisto. Ti ho riconosciuto appena, nella biblioteca. Hai perso un po’ di capelli e guadagnato un compagno.

Glauco sorrise.
- Sì, si chiama Brenno ed è il figlio di un’amica di Giulia.

Allo sguardo di sorpresa di Mario, Glauco aggiunse.
- Che storia che ho da raccontarti... e ho una sorella, Mario. Una sorella!

- Una sorella?

- Una sorella? - Le parole echeggiarono dalla porta dove Eugenia stava in piedi con le mani sui fianchi larghi. Tutte le teste ruotarono verso di lei ed ella sollevò le mani per arrestare le parole di protesta di Mario. - Oh, lo so... mi hai pagata per usare la stanza per parlare, e io ho promesso di non interferire. Ma... una sorella. Non sarà mica figlia di Giulia e Massimo, vero?

Glauco gentilmente spinse Eugenia fuori della porta ed ella strillò mentre lui chiudeva con fermezza la porta dietro di lei.
- Parleremo più tardi, Eugenia. Grazie. - Tornò a rivolgersi a Mario, che sorrideva. - Siediti, mio nobile amico, perché ho una storia stupefacente da raccontarti.

- E io ho qualcosa da dirti, - sbottò Mario come se non riuscisse a contenere più a lungo le parole che aveva covato per tanto tempo. - So dov’è Quinto!

Glauco sentì una scossa percorrerlo dalla testa ai piedi, vibrando lungo le sue membra e fino alle  estremità delle sue dita. La sua voce, tuttavia, non tradì in alcun modo la sua emozione interiore.
- Come lo hai scoperto?

Mario fu in qualche modo colto alla sprovvista dalla brusca replica dell’amico.
- Be’... tu conosci l’ossessione dei romani per i registri. Ho dovuto soltanto scavare un po’. Ma... non vuoi sapere dove è?

- Naturalmente sì, Mario, - disse Glauco sedendosi e versando il vino in tre calici. - Desidero trovarlo più di chiunque altro. E’ vicino, spero.

- Be’, non esattamente... no. E’ in Gallia, cerca di sbarcare il lunario da una terra particolarmente ingrata.

- E’ un contadino? - chiese Glauco con incredulità.

- Sì, - ridacchiò Mario. - Che ironia, vero? E pare che non sia molto bravo, stando ai prodotti che ha venduto e alle tasse che ha pagato. Dopo che Severo salì al potere ed esiliò tutti i pretoriani... almeno quelli che non uccise... Quinto fuggì in Gallia.

- Quanti anni fa accadde questo?

- Ecco, subito dopo che Severo marciò su Roma, perciò doverebbe essere stato nel 193. Non ricordi come lo fece? Pubblicò un proclama ordinando ai tribuni e centurioni della guardia di abbandonare le armi ed indossare le uniformi, per andarlo ad incontrare fuori delle porte della città. Essi supposero che obbedendo si sarebbero assicurati la continuità del loro servizio, perciò non esitarono ad obbedire. Quinto li fece persino sfilare per accertarsi che sembrassero perfetti quando avrebbero salutato il nuovo imperatore. Mentre essi si vestivano elegantemente e si agghindavano, dei distaccamenti delle forze di spedizione di Severo s’impadronirono dell’armeria e presidiarono le porte. Un altro distaccamento circondò i pretoriani indifesi. Severo allora li rimproverò per aver tradito Pertinace, dicendo loro che se realmente non avevano ucciso l’imperatore, allora l’aver fallito dall’ucciderne gli assassini li rendeva colpevoli. Quindi egli li degradò formalmente. Furono loro strappate le uniformi e tolti i cavalli e fu loro ordinato di non avvicinarsi ad almeno cento miglia dalla pietra miliare della città, pena la morte. Alcuni commisero suicidio, ma Quinto se la svignò e si diresse in Gallia. Una volta sistemato là mandò a chiamare sua figlia...

- Sua figlia? Ha una figlia? - chiese Glauco sorpreso.

- Sì, la prole d’un matrimonio di durata molto breve. Credo che sua moglie sia morta di parto e che la bimba sia stata cresciuta dai parenti della moglie, finché Quinto non ha portato via la sfortunata bambina. Si chiama Clara, credo.

- Bene, hai fatto un lavoro magnifico, Mario, e io mi dirigerò subito in Gallia. Ho un conto da regolare con quell’uomo, dopo che mi avrà detto quello che voglio sapere. - La voce di Glauco era ancora stranamente priva di emozione, ed egli sapeva che la sua apparente mancanza d’entusiasmo preoccupava il suo amico. Sorrise. - Sono soltanto stanco, Mario. Ho avuto proprio una bella avventura in questi pochi mesi trascorsi... e che ha avuto molto successo. Per quanto tempo possiamo avere questa stanza?

- Finchè lo desideriamo. Ho pensato che questo potrebbe essere un posto sicuro per voi, mentre siete a Roma.

Il viso di Brenno impallidì.

- E’ stato molto intelligente da parte tua pensarci, Mario. Ora, prendi un po’ di vino e preparati a stupirti.