La Storia di Glauco: Capitolo 53

 

Capitolo 53 - L’imboscata

Glauco cercò di non inciampare nel mantello mentre arrancava dietro ad Hamudi, risalendo il ripido fianco roccioso della collina con due otri d’argilla nelle mani. Ogni pochi momenti si fermava per guardare indietro nell’accampamento, tenuemente illuminato da tre fuochi da campo, ma non vide alcun movimento. L’unico suono era quello del vento e d’un lontano crepitio di braci. Ancora una volta si chiese perché avessero bisogno di altra acqua, ma doveva fidarsi del giudizio della sua guida, che ne sapeva molto più di lui di viaggi nel deserto.

Era quasi il crepuscolo quando raggiunsero un piccolo altopiano e Glauco si fermò per riprendere fiato.
- Ebbene? Ancora più lontano?

- Così dovrebbe essere abbastanza lontano, penso, - disse in perfetto latino un uomo che sbucò da dietro una grande roccia. Glauco roteò su se stesso per vederlo in volto e i due otri d’argilla gli caddero dalle mani e si frantumarono. Davanti a lui c’era uno dei suoi compagni di viaggio, il vestito bianco gettato a terra a rivelare la corazza nera da pretoriano. Fu subito raggiunto da un altro, poi Glauco colse un movimento dietro di sé. Voltò la testa rapidamente e scorse altre due guardie dell’imperatore. Hamudi non si vedeva da nessuna parte.

Glauco camminò lentamente all’indietro finché tutti e quattro i pretoriani furono compresi nella sua vista periferica. Le sue dita si strinsero attorno alla spada di suo padre sotto il mantello nero.
- Che cosa volete? - chiese con voce profonda e controllata, ma con il cuore che gli martellava nel petto. - Non credo di aver infranto qualche legge mentre ero a Petra.

- Evitiamo la conversazione, d’accordo? - disse il capo dei quattro uomini, il primo che si era palesato. - Abbiamo ordini da adempiere e sono ansioso di tornare a Petra. Non posso sopportare il deserto, specialmente di notte. Non si sa mai quali pericoli si nascondono qui, - sogghignò.

- Ordini? - chiese Glauco, anche se era sicuro di sapere quali ordini fossero.

- Sì. Questo posto segna la fine del tuo viaggio. I lupi banchetteranno con i tuoi resti molto presto. La donna sarà riportata a Petra per il divertimento degli uomini. - L’atteggiamento dell’uomo era decisamente rilassato, e così quello dei suoi soldati. Era evidente che non si aspettavano di incontrare alcuna difficoltà nell’ultimare il loro compito.

- Avete in mente di uccidermi?

Il sogghigno si allargò.
- L’idea è questa.

- Per ordine di chi?

- Non credo che siano affari tuoi.

- L’imperatore. E’ stato Severo a dare gli ordini? - Glauco aveva una presa ferma sulla spada e la sollevò leggermente dal fodero.

- Sono ordini da Roma. Questo è tutto quello che ti serve sapere.

- Avevo pensato che l’imperatore mi volesse vivo e vegeto. Sei sicuro dei tuoi ordini? Non sarà buona cosa per te se mi fai fuori prematuramente.

Gli uomini vestiti di nero ridacchiarono, ma tre di loro lanciarono occhiate incerte al loro capo, il che spinse l’uomo ad avvicinarsi a Glauco.
- Io so esattamente che cosa dicono gli ordini. Ma ho una domanda per te. Sei davvero il figlio del generale Massimo?

- Sì. Sì, lo sono.

- Bene.. sarà un onore uccidere il figlio del traditore che assassinò Marco Aurelio. - Mentre pronunciava il nome dell’imperatore, il pretoriano estrasse la spada e affondò verso Glauco, che si abbassò velocemente schivando il colpo. Il giovane, con un unico movimento, roteò per aver di fronte il suo avversario e si liberò del mantello, la spada ora pienamente svelata, stretta nelle sue mani e pronta. Mentre il prefetto pretoriano riguadagnava il suo equilibrio, gli altri tre scattarono in azione, agendo come un sol uomo mentre alzavano le spade pronti a colpire.

Per un attimo più breve d’un batter d’occhi, Glauco considerò la sua situazione... e si voltò e si mise a correre. Quello non era il posto ideale per affrontare quattro avversari armati. Non aveva idea di dove stesse andando, ma aveva bisogno di un punto dove potesse affrontarli uno alla volta. Scivolando su qualche pietra isolata, si inerpicò sul sentiero di montagna, che si restringeva via via che aumentava l’altitudine, i fianchi dell’accidentato pendio ora quasi a picco. Il suo stesso aspro respiro copriva quello degli uomini che gli stavano alle calcagna. Proprio quando sentì una mano afferrargli il piede, egli svoltò dietro una curva improvvisa e urtò in qualcosa di morbido. Senza un attimo di esitazione afferrò il corpo nelle sue braccia vigorose e si voltò. Hamudi urlò quando due spade gli perforarono lo stomaco e Glauco usò il corpo del nabateo come uno scudo, spingendolo forte in discesa, poi si scansò di lato, facendo sì che Hamudi, già senza vita, e due pretoriani, sbilanciati, precipitassero urlando. Egli stesso stava scivolando verso il basso, ma riuscì a fermarsi, usando la mano libera per aggrapparsi alle asperità, mentre acute schegge di pietra rossa gli si conficcavano nella carne. L’oscurità crescente proiettava ombre profonde attorno ad ogni sporgenza affiorante e Glauco non riusciva a distinguere che cosa fosse roccia e che cosa fosse umano. Poteva solo presumere che le altre due guardie fossero ancora dietro di lui... e che stessero ancora inerpicandosi. Probabilmente avrebbe potuto trovare un nascondiglio tra le fenditure e le rocce, e starsene al sicuro fino al mattino, ma i pretoriani quasi certamente avrebbero sfogato la loro collera e frustrazione su sua sorella, in modi che non voleva nemmeno immaginare. No... nascondersi non era possibile. Doveva ucciderli.

All’improvviso, Glauco emerse dalla pista sopra un’ampia sporgenza completamente piatta... la cima della montagna. Non v’era altro luogo dove andare se non giù, dall’altro versante, che era praticamente a picco. Si voltò rapidamente e si mise di fronte alla pista, appena in tempo per affrontare un pretoriano che ne stava emergendo. La furia dell’uomo per la morte dei compagni gli diede forza supplementare ed urlò rabbiosamente mentre caricava Glauco, la spada sollevata in alto. Vedendo un varco, Glauco scansò il colpo, poi colpì ferocemente il petto dell’uomo dimenticando, nell’oscurità, la corazza nera. Il suo colpo si limitò a rimbalzare sul metallo senza alcun effetto e lasciò Glauco esposto all’attacco. Egli sentì, piuttosto che vedere, il taglio attorno alla spalla, ma capì che era soltanto una ferita superficiale. Il dolore acuto scosse ogni suo senso fino alla massima intensità ed egli roteò di nuovo, mirando basso questa volta, ma il pretoriano era riuscito a spostarsi abbastanza lontano perché il fendente mancasse il bersaglio.

Glauco indietreggiò velocemente ed ammiccò nel buio, incapace di vedere alcunché. Placò il suo respiro e rimase in piedi immobile, facendo appello alla finezza del suo udito. Presto udì un mormorio di voci alla sua sinistra. Ma non riuscì a vedere gli uomini. Vestiti di nero da capo a piedi, i pretoriani si confondevano facilmente nel buio della notte. Abbassò lo sguardo. La sua stessa tunica nera, corta, gli concedeva un po’ di protezione, ma le braccia e le gambe nude potevano rivelare la sua posizione. Rimpianse di essersi tolto il mantello.

- Possiamo vederti, sai, - vennero le parole sarcastiche e cantilenanti. - Un bersaglio eccellente. Dimmi... come ti senti? Il mio compagno dice che è sicuro di prenderti.

Glauco rimase in silenzio... ascoltando... ogni muscolo teso. Udì il leggero scricchiolio di stivali mentre i due uomini si separavano e si mettevano in piedi di fronte a lui, leggermente spostati di lato. Egli ancora non si mosse.

- Certamente stasera non hai fatto niente che rendesse orgoglioso il tuo papà, vero? Sei stato fortunato... solo fortunato, quando hai ucciso quegli altri due. O... forse sono sopravvissuti alla caduta e stanno facendo visita alla tua donna proprio adesso.

Glauco fremette, ma rimase fermo... in silenzio. Oh sì, era vero, lo potevano vedere bene. Si erano posizionati in modo da poterlo attaccare simultaneamente da due lati.

- Non hai nessuna possibilità, lo sai. Perché non ti arrendi e ti lasci uccidere in fretta? Non sarà troppo doloroso... solo un dolore momentaneo, te lo assicuro.

- Sicuramente non sei tuo padre, vero? - sogghignò il secondo. - Massimo ci avrebbe già uccisi tutti. Era bravo, quello. Leggendario... un leggendario traditore. Che peccato che suo figlio sia senza spina dorsale.

Glauco serrò i denti, ma mantenne la sua posizione. All’improvviso la luna eruppe da dietro le nuvole inondando lo spuntone con una tenue luce argentata.
- Ecco, - Glauco sorrise lentamente. - Così va meglio. Ora direi che siamo pari... due di voi... armati fino ai denti... contro il figlio di Massimo senza armatura e con soltanto una spada. Sì, adesso direi che siamo pari.

I pretoriani non ebbero nemmeno il tempo di farsi beffe di lui, perché Glauco si lanciò sull’uomo che lo aveva ferito. Stavolta sapeva esattamente dove mirare... alla gola. Il suo improvviso venire allo scoperto fece trasalire l’uomo solo per un momento, il tempo sufficiente per dare a Glauco il vantaggio. Non impacciato da una pesante armatura, Glauco si mosse con la velocità d’un lampo, con un grido selvaggio che echeggiò tra i picchi lontani. Corse verso il soldato, ma appena prima di raggiungere l’uomo, che stava a gambe divaricate e con la spada sguainata, si abbassò in ginocchio e scattò verso l’alto, con una stoccata improvvisa che colse lo stupito pretoriano appena al di sopra della corazza ed andò in profondità, spezzandogli il collo, emergendo proprio al di sotto del cranio. Un getto  di sangue investì il viso di Glauco, che si buttò a terra rotolando appena in tempo per evitare un colpo mortale dall’altro pretoriano. Fu in piedi in un attimo, ma non prima di aver afferrato la spada dell’uomo morto.

Il capo dei pretoriani sembrava genuinamente impressionato quando si trovò ad affrontare il giovane che brandiva due spade, ma la sua voce conservava il tono sarcastico.
- Sei sicuro di sapere che cosa fare con quelle, figliolo? Mmh? Tuo padre certamente lo sapeva, ma tu?

- Tu non sai nulla di mio padre, - ruggì Glauco mentre le nuvole si spostavano ancora e il soldato scompariva.

- Oh, sì invece, - giunse la voce dall’oscurità. - Lo vidi fare un certo trucco con due spade, in un piccolo posto polveroso chiamato Zucchabar. Naturalmente a quel tempo non sapevo che stavo guardando l’infame generale Massimo. Era semplicemente uno schiavo conosciuto come l’Ispanico. - Rimase zitto per un momento prima di aggiungere: - Vuoi sentire la storia?

Glauco rimase in silenzio a lungo e il pretoriano attese pazientemente, come un gatto che gioca col topo condannato.
- Sì, - disse infine.

- Ma certo che vuoi. Bene, vediamo, era nel 180, credo, e Commodo era appena diventato imperatore. - Il tono dell’uomo era quasi da conversazione e Glauco capì che avrebbe potuto indurlo ad abbassare la guardia. - Per assicurarsi che non ci fossero rivolte nelle province, i pretoriani furono mandati in luoghi dove usualmente non sono d’istanza e io fui abbastanza sfortunato, - sbuffò, - da essere mandato nell’arida e polverosa Zucchabar. Era un posto brutto quasi quanto questo.

Glauco cercò di mantenere il corpo flessibile e pronto, ma i suoi muscoli erano o troppo rigidi o troppo rilassati.

- L’unico divertimento era una piccola arena nel centro del paese e la gente vi si accalcava ogni giorno. Massimo faceva semplicemente parte di un feccioso gruppo di schiavi appartenenti ad un uomo di nome...

- Proximo.

- Sì... Proximo.  Hai già udito questa storia?

Glauco non rispose.

- Bene, egli presto si distinse dagli altri e la folla lo amava. Non aveva mai visto uno come lui... un talento immenso con la spada, e molto, molto feroce. Egli non giocava con i suoi avversari, li giustiziava. La gente usava scommettere, non su quale gladiatore avrebbe vinto, ma su quanto tempo ci sarebbe voluto all’Ispanico per liquidare i suoi avversari.

Glauco lasciò che le sue braccia si abbassassero, ma rimase in tensione.

- Il momento che ricordo di più fu quando entrò nell’arena indossando una specie di armatura fatta di strisce di cuoio.

L’armatura che indossava quando era stato portato a casa di Giulia?

- S’inchinò ai suoi avversari... erano cinque o sei, credo... ad indicare il suo rispetto per loro. E poi rapidamente li ammazzò uno dopo l’altro. La folla urlava, naturalmente, amava il sangue. Poi egli... no, fammi pensare un momento... afferrò una spada dal corpo di un gladiatore morto e brandì quella e la sua contemporaneamente, prima di conficcarle entrambe nel ventre di un altro avversario, uccidendolo. Poi le tirò fuori e le usò per decapitare l’uomo. Riesco ancora a vedere la sua testa rotolare nella sabbia. Fu uno spettacolo piuttosto crudele perché l’uomo stava già morendo. Ma sapeva come divertire la folla, quello. Era bravo.

Ci fu un lungo silenzio.

Il pretoriano continuò con voce morbida.
- Ma tu non sei tuo padre, indurito da tanti anni di combattimento e di morti. Forse pensi di poter riuscire a maneggiare due spade, ma non puoi. Mettile giù, Glauco.

Glauco risollevò le spade. Riusciva quasi a vedere l’arena che il pretoriano aveva descritto. Forse non era stata più ampia dello spuntone su cui ora si trovava lui. Riusciva ad immaginare la folla, udire le grida. Come riusciva a vedere Massimo, nella sua corazza di cuoio, orgoglioso e forte malgrado la schiavitù. Massimo non si era mai arreso e nemmeno suo figlio lo avrebbe fatto.
- Se stanotte morirò sarà con una spada in mano, proprio come mio padre. - Con queste parole egli fece un affondo, urlando al pretoriano rimasto, ma fece una finta e si abbassò all’ultimo momento e la spada del pretoriano non trovò altro che l’aria.

- Piccolo stupido, - ringhiò il soldato, ma Glauco fu di nuovo su di lui, rendendosi conto d’essere molto più rapido del pretoriano, impacciato dall’armatura. Ora, se solo avesse potuto vedere cosa stava facendo... e come per magia, la luna riapparve. Usando la mano destra e la spada di Massimo, Glauco colpì, poi si allontanò quasi danzando, non causando danno fisico ma puntando sul gioco psicologico proprio come aveva fatto il pretoriano. Molleggiandosi sulle punte dei piedi, non smise mai di muoversi, girando continuamente attorno all’uomo, costretto a ruotare su se stesso al centro del suo turbinio. L’euforia gli diede forza ed egli punzecchiò il soldato in basso e in alto, senza mai toccarlo, ma assicurandosi che potesse sentire l’aria spostata dalle sue spade sibilanti.

Infine, egli lo sorprese mentre si girava in senso opposto al suo e lo colpì con un breve affondo, che attraversò la spalla destra del pretoriano e ne uscì prima che l’uomo capisse d’esser stato trafitto. Mentre incredulo si afferrava il braccio, Glauco menò un fendente alle ginocchia esposte, provocando una sfilza di maledizioni. Ad aggiungere angoscia all’uomo, Glauco rideva a voce alta continuando a roteare ed affondare, parando occasionalmente un contrattacco mal mirato, aspettando che l’uomo diventasse sbadato. Non dovette aspettare a lungo, perché collera, fatica e frustrazione fecero l’opera. L’uomo cercò di dare una stoccata dal basso verso l’alto, mirando allo stomaco di Glauco, ma il giovane fece fare alla spada un arco aggraziato verso il basso e aprì un brutto taglio al polso del pretoriano, poi fece un salto indietro prima che la spada del suo avversario gli si avvicinasse troppo. Subito dopo, egli colpì con la mano destra e, quando il pretoriano si mosse per proteggersi quel fianco, Glauco affondò con la destra, verso l’alto e sotto la corazza, dove la spada perforò la carne molle del ventre e s’immerse fino all’elsa.

Sbalordito, il pretoriano riuscì solo a sgranare gli occhi senza parole, mentre il sangue cominciava a gorgogliare dalla sua bocca. Glauco lentamente ritrasse la spada e l’uomo barcollò, ma non cadde. Glauco si trovava proprio di fronte agli occhi vitrei del pretoriano e fece balenare entrambe le spade avanti e indietro, incrociandole e separandole in un ritmo mortale. Il pretoriano sapeva cosa stava per succedere, ma non poteva impedirlo e con un rapido colpo incrociato delle spade di Glauco, gli occhi vuoti del pretoriano continuarono a fissare Glauco dal basso del terreno, dove giaceva la testa distaccata dal corpo, che poi piombò a terra come un albero abbattuto.

Glauco rimase a guardare la carneficina, il petto ansante per lo sforzo. 
- Era così a Zucchabar, pretoriano? Era qualcosa di simile a questo? - disse velenosamente. - Infine alzò gli occhi e vide un enorme lupo grigio-argento, seduto quietamente su una roccia piatta, che lo osservava, gli occhi intensi e misteriosi nella luce della luna. Glauco rimase assolutamente immobile, con le spade e la spalla gocciolanti di sangue, e fissò il magnifico animale. Non provava paura. Al contrario, uomo e animale si osservarono l’un l’altro con rispetto e comprensione evidenti.

Uno strillo femminile proveniente dal deserto si alzò fino al versante della montagna e Glauco voltò la testa verso la pista. Quando guardò di nuovo indietro, il lupo era scomparso. Glauco fece un passo avanti, esitando, poi si voltò e si lanciò di corsa verso la pista, mentre il grido successivo raggiungeva le sue orecchie.