La Storia di Glauco: Capitolo 51

 

Capitolo 51 - Le lettere

Roma

Settimio Severo percorreva i corridoi del suo grande palazzo, indifferente al panorama spettacolare del Circo Massimo che si vedeva dalla terrazza dell’immensa nuova costruzione, o all’assortimento di dolci, formaggi e frutta da poco apparecchiati sul tavolo da un servitore che si era ritirato rapidamente nell’ombra. Zoppicava vistosamente, il dolore a piede, fianco e ginocchio aggravato dalla sua collera, malgrado le cure del suo massaggiatore personale, Proculo.
- Come hai potuto lasciartelo sfuggire in quel modo? Come hai potuto? - ruggì all’uomo stravaccato con indolenza nella sedia di pelle con braccioli. - Adesso potrebbe trovarsi chissà dove nell’impero, a ridere di noi, per quanto siamo stupidi!

Plauziano si limitò ad alzare le spalle mentre prendeva un pezzetto di formaggio, lo esaminò come se fosse un criminale colpevole in attesa di giudizio, poi se lo gettò in bocca, masticando con lenta minaccia e studiando il piatto in cerca della sua prossima vittima. Proprio mentre stava per raggiungere di nuovo il piatto, questo fu rapidamente allontanato da sotto le sue dita e si schiantò sul pavimento di marmo, frantumandosi in un centinaio di pezzi che scivolarono nei recessi lontani della stanza. Il comandante pretoriano alzò lo sguardo con pigro disprezzo sulla faccia violacea del cugino. Al di sopra della spalla di Settimio colse una veduta fugace dell’ultima incarnazione in marmo dell’imperatore e dentro di sé sogghignò beffardamente. I capelli grigi e diradati dell’uomo si attorcigliavano in immaginosi riccioli di marmo, la barba di pietra era lunga e ondulata, come si addiceva ad un uomo che si proclamava non solo erede di diritto di Marco Aurelio, ma anche suo consanguineo. Il ritratto del busto non poteva ingannare coloro che conoscevano Settimio, ma i milioni di Romani in tutto l’impero che non avrebbero mai veduto il loro imperatore, non avrebbero conosciuto nulla di meglio delle riproduzioni in marmo del busto che adornava ogni pubblico edificio dall’Africa alla Germania. Plauziano rivolse di nuovo la sua attenzione all’amico d’infanzia.
- Abbiamo fatto tutto il possibile per il momento, Settimio. Quegli incompetenti di soldati che hanno perso il moccioso di Massimo stanno marcendo nella prigione Tulliana, e sono stati messi in allarme tutti i soldati e governatori dell’impero perché restino all’erta e lo ricerchino. Lo troveremo, presto o tardi.

L’imperatore roteò su se stesso infuriato.
- Sarà meglio presto che tardi. Io so soltanto che mi causerà grande affanno. Se trova quel contratto... - Le parole erano troppo dolorose perfino per essere pronunciate. - La profezia. La profezia sa. Le stelle sanno. Gli dei sanno ciò che quel bastardo sta per fare.

Plauziano allungò una mano per prendere un acino d’uva, mordendolo a metà e succhiandone l’interno dolce e succoso, prima di frantumarne l’aspra buccia.
- Lo troveremo.

- Quando lo farete, deve essere fermato, questa volta, mi hai sentito?

Il pretoriano alzò le sopracciglia.
- Pensavo che volessi il contratto, prima, - commentò con finta casualità. - Se lo volevi semplicemente morto, avrei potuto farlo molto tempo fa, in Germania. Fu tua la decisione di lasciarlo vivere, per quel che ricordo io.

- Avevo bisogno di quel contratto e i tuoi uomini non erano riusciti a trovarlo! - L’insoddisfazione crescente di Severo verso il suo protettore e consigliere si allargava ben oltre il suo fallimento nel trovare l’elusivo documento. Quell’uomo stava diventando sempre più indulgente verso se stesso, s’ingozzava a sontuosi banchetti e spegneva la sua lussuria dietro a ragazze e ragazzi, senza distinzione. Una sontuosa nuova uniforme camuffava il suo girovita in espansione. La sua depravazione non conosceva confini ed egli aveva perfino castrato un centinaio di uomini adulti prima di far fare loro da attendenti a sua figlia. Ma ciò che più aveva irritato e preoccupato Settimio era il numero di statue del prefetto pretoriano spuntate attorno a Roma... e nell’impero, senza alcun dubbio. Simboli di marmo della sua sete di potere e della sua forza sempre crescente. Pretendeva perfino la deferenza dovuta ad un imperatore. Forse il figlio di Settimio, Geta, aveva ragione. Plauziano stava diventando pericoloso. Anche l’uomo che Settimio aveva designato come collaboratore di Plauziano al comando della guardia, Emilio Saturnino, era stato ritrovato a galleggiare nel fiume, vittima, secondo Plauziano, di uno sfortunato incidente tra bighe. Il prefetto pretoriano non voleva nessuno che lo spiasse alle spalle e Settimio sapeva bene che egli aveva ridotto i poteri dei tribuni della Guardia, per rimuovere la possibilità che uno di essi potesse diventare idoneo alla prefettura. L’uomo che oziava nella sedia voleva essere prefetto a vita, non soltanto prefetto unico.

Plauziano infine si alzò e si stiracchiò. Era annoiato da queste tirate ogni sera da parte di un imperatore del quale ogni mossa era governata dalle stelle. Plauziano era molto più pragmatico. Per quanto lo concerneva, un uomo morto non poteva rappresentare una minaccia e quel dannato contratto probabilmente non sarebbe mai stato trovato comunque. Erano anni ormai che avevano ricevuto la copia, e non c’era più stato alcun contatto da parte del proprietario del documento. Settimio Severo era imperatore di Roma. Suo figlio maggiore, Antonino, promesso sposo della figlia stessa di Plauziano, avrebbe governato l’impero, un giorno. Il futuro sembrava bello, davvero molto bello. Dopo tutto, per quanto poteva vivere un uomo nelle condizioni di Severo? Ma Severo era vivo e vegeto, e il comandante pretoriano cercò di fingere interesse per la sua condizione.
- Stiamo tenendo d’occhio Mario Vipsanio Agrippa... sai, il figlio del governatore di Cappadocia... ma non ha avuto alcun contatto con il suo amico e passa le giornate nelle biblioteche come sempre. Sembra innocuo...

Le sue parole furono interrotte da un pretoriano che entrò nella stanza silenziosamente, la testa china in ossequio.

- Ebbene? - lo apostrofò Plauziano.

- Ho ordine di dare questo messaggio direttamente a te, signore. - L’uomo tese un rotolo di pergamena.

Plauziano lo afferrò senza una parola e srotolò la missiva, inclinandola verso una lanterna per meglio distinguere le parole scarabocchiate. Un lento sorriso gli raggrinzì la faccia ed egli guardò l’amico con aria trionfante.
- Sembra che la nostra preda sia stata vista ad Alessandria due settimane fa e che abbia disceso il Nilo con una giovane donna al suo fianco.

Severo congedò la guardia con un movimento imperioso della testa, ma un brivido gli increspò la spina dorsale.
- Alessandria? Perché sarebbe andato in Egitto?

- Chi lo sa? Forse ha deciso di visitare i luoghi, proprio come facemmo noi qualche anno fa. Pare che abbia una donna e che stia facendo un viaggio di piacere.

- Noi non eravamo certamente là per vedere i luoghi! Eravamo là per assicurarci una sezione instabile dell’impero. Se ti ricordi, l’Egitto sosteneva il mio rivale, Nigra, proprio come aveva sostenuto Avidio Cassio contro Marco Aurelio. Gli Egiziani non sono degni di fiducia, con le loro usanze e cerimonie segrete. Quel bastardo, Glauco, è andato laggiù per ottenere sostegno e montare un’offensiva contro di me... e ve lo troverà, senza dubbio. Fingerà di essere il nuovo Alessandro, proprio come fece Nigra. E’ andato laggiù ad usare la magia egizia per consultare gli dei.

Plauziano alzò le spalle con fare casuale, ma serrò i denti con impazienza.
- Tu la dichiarasti fuorilegge, ricordi? La pena è la morte.

- Infatti. Invia immediatamente ordine ad ogni città, paese e villaggio ad Oriente di restare all’erta e di ricercarlo. Voglio che lo arrestino e che faccia ritorno a Roma immediatamente.

- Anche senza il contratto?

- Oh, ce l’ha il contratto... ce l’ha. Io lo so.

 

Petra

La casa di Marciano era un grande edificio di pietra, alto due piani, con terrazze a gradini avvolte nella vegetazione. La moglie era morta da lungo tempo ed egli viveva lì con il figlio maggiore, Liato, sua moglie Elena ed i loro tre figli adolescenti. Glauco e Massima furono ospitati in due camerette al secondo piano, ognuna con la sua terrazza privata. La luce del sole penetrava attraverso le assicelle delle imposte, gettando lame gialle su tappeti di lana e coperte del letto. Le pareti erano intonacate di bianco per tener giù la polvere e le stanze avevano un’atmosfera luminosa ed allegra. Il solo accenno di architettura romana erano le entrate ad arco e a Massima piaceva l’esoticità e la semplicità di quella dimora... così diversa dalla sua casa ad Ostia.

Marciano, Liato ed Elena dormivano in due stanze a piano terra, e i loro tre figli dividevano una camera grande, spesso preferendo dormire sulla terrazza, di notte. I giovinetti consideravano Glauco una sorta di eroe, dal momento che avevavo ascoltato il loro nonno parlare spesso del grande generale Massimo. Esaminarono la spada con reverenza e sollecitarono Glauco con domande a cena, gettando furtive occhiate di apprezzamento a Massima, mentre ella divideva “racconti da donne” con Elena, che era felice d’avere una compagnia femminile.

Dopo cena si radunarono attorno ad un fuoco scoppiettante che rallegrava la stanza ed allontanava il freddo della sera, e chiacchierarono di Roma e Petra, del tempo e del cibo... di tutto tranne che del destino di Massimo, finché giovani orecchie erano in ascolto. Glauco fermò le dita quando si ritrovò a tamburellarle con impazienza sul bracciolo della sedia, ed era quasi invidioso di Massima, affacendata ad aiutare Elena in cucina. Finalmente, Liato fece andare a letto i ragazzi e gli uomini parlarono tranquillamente per un po’, finché furono certi che i giovanetti si fossero addormentati.

Finalmente, Marciano si alzò dalla sedia rivestita di cuoio e lentamente andò nella sua camera da letto. Glauco ora notò il suo camminare leggermente curvo e si chiese quanti anni avesse in realtà. Molto più vecchio di Massimo, aveva detto. Significava sessanta, settant’anni? Era vecchio come Giovino?

Ritornò poco dopo con un grande pacchetto avvolto in morbida pelle. Glauco si spostò sul bordo del suo sedile mentre Marciano posava il fagotto sul tavolo e procedeva a svolgerlo con delicatezza.
- Tuo padre teneva tutto, - disse. - Tutte le sue lettere scritte da tua madre sono qui, per quanto ne so. Sono molto vecchie, perciò stai attento a come le maneggi.

Con dita tremanti Glauco le lisciò ed appiattì, e trattenne il fiato quando il viso di un bambino fu rivelato allorché tolse le mani. Un bambino di non più di sei o sette anni. Suo fratello, Marco.
- Oh dei, oh dei, - alitò. - Non avevo idea di che aspetto avesse. - Poi parlò a Liato senza alzare lo sguardo. - Vorresti chiamare Massima?

- Certo, - disse Liato alzandosi e andando in cucina.

Un attimo dopo Massima, eccitata, si fece cadere sul pavimento accanto alla sedia del fratello e tese la mano verso il disegno.

- Stai attenta, - avvertì Glauco. - Il carboncino macchia.

- E’ lui? Nostro fratello?

Glauco annuì.

Ella strinse gli occhi e arricciò il naso.
- Non somiglia a noi.

- Somigliava molto di più ad Olivia, se ricordo bene, - disse Marciano. - Era un bambino dolce, un poco birichino, ma molto dolce, quando stava all’accampamento con tua madre. Tuo padre era molto orgoglioso di lui, non dimenticherò mai il momento in cui, vestito come un piccolo generale, percorse l’accampamento con tuo padre, sul suo enorme cavallo. Incantò tutti, quel piccolino.

Il bordo di un altro disegno catturò lo sguardo di Massima, ed ella lo estrasse dalla pila mentre Glauco esaminava ancora il viso del fratello.

- Ecco un’altra immagine di lui quando era ancor più piccolo. E’ seduto su un cavallino. Tua madre aveva certamente un gran talento, Glauco. Guarda gli edifici sullo sfondo. Si trovano alla fattoria?

- Potrebbero esserci stati, ma adesso non ci sono, temo. Qualunque cosa non fosse pietra bruciò fino alle fondamenta.

Massima affondò di nuovo le dita nella pila.

- Stai attenta, - avvertì Glauco.

- Ecco! - disse lei trionfante. - Ecco tua madre. - Con soltanto un attimo d’esitazione ella passò al fratello l’immagine della donna sorridente. - Era molto bella, - disse Massima tranquillamente, il suo entusiasmo temperato da una fitta di gelosia.

Glauco non riuscì a far altro che fissare quell’autoritratto. Era la prima volta che vedeva il viso di sua madre. Massima aveva ragione. Era stata bella, con grandi occhi scuri, lunghi e fluenti capelli neri, e labbra piene. Stava in piedi di fronte alla sua casa con le mani sui fianchi, orgogliosa e spensierata, quasi a voler prendere in giro l’osservatore. Sin da quando egli aveva saputo dei suoi veri genitori, aveva cercato d’immaginare il viso di sua madre, combinando i lineamenti dei membri della famiglia di lei, ma era riuscito al più ad evocare un viso irreale. Adesso, eccola qui, proprio di fronte a lui, la sua fisionomia finalmente chiara. Egli guardò il ritratto in silenzio, incidendo l’immagine di lei nella propria mente.

I bordi dell’immagine erano leggeri e sbavavano dove le dita avevano tenuto la pergamena, facendo macchiare leggermente il carboncino. Nell’angolo inferiore destro c’era un’impronta di pollice confusa e Glauco con delicatezza pose il proprio pollice dove si era trovato quello di suo padre.

Improvvisamente, l’ansito di Massima penetrò i suoi pensieri ed egli abbassò lo sguardo e la vide fissare la pergamena che teneva nelle mani tremanti. Egli delicatamente depose sul tavolo il ritratto di sua madre e posò una mano sulla spalla della sorella, piegandosi a vedere che cosa le stesse causando tanta pena.

Era un disegno di un generale romano in alta uniforme, in piedi sui gradini della sua casa in Ispania... disegnato da sua moglie per ricordo, senza dubbio. Glauco afferrò le mani della sorella per fermarle, anche se le proprie erano diventate improvvisamente intorpidite.

- E’ un ritratto notevolmente accurato. Sembra proprio lui, - disse sommessamente Marciano prima di alzarsi. - Vi lascio soli.

Il ritratto era più chiaro di quanto fossero gli altri, i bordi più netti, come se maneggiato di meno. Appariva giovane, notò Glauco. Quasi sulla trentina, probabilmente. Subito dopo essere stato promosso generale da Marco Aurelio, senza dubbio. Sembrava orgoglioso, tuttavia cauto, la fronte leggermente corrugata mentre fissava lontano, forse ponderando il lungo viaggio a venire. I capelli erano tagliati cortissimi. Due pellicce di lupo si bilanciavano sulle spalle ampie al di sopra di un lungo mantello e di una corazza intarsiata. Sembrava affascinante e forte. Invincibile. Ma non era stato per niente invincibile. Era stato assassinato. Era stato assassinato senza neanche sapere di avere un figlio ed una figlia in vita. Gli occhi di Glauco si riempirono di lacrime. Massimo. Finalmente aveva visto il volto di suo padre... un volto così simile al suo.