La Storia di Glauco: Capitolo 49

 

Capitolo 49 - La cima della montagna

Glauco ansimò appoggiandosi contro un muro di roccia a metà della salita per la montagna. Massima subito aggirò l’angolo tagliente dietro di lui e, contenta di vedere che egli si era fermato, si sedette a terra sul sentiero, ansimando nell’aria rarefatta. Boccheggiando, ella chiese di nuovo:
- Perché quassù, Glauco? Perché ci vuole incontrare quassù?

Suo fratello si limitò ad alzare le spalle, non volendo sprecare fiato su una risposta che aveva già dato più di una volta. Egli non aveva la minima idea del perché fosse stato organizzato un misterioso incontro così in alto, sulla sommità della montagna ad est di Petra, e sperava, ancora una volta, di non stare conducendo la sorella in una trappola. L’aveva pregata di rimanere in città, ma lei aveva categoricamente rifiutato e lui sapeva bene che era inutile sprecare tempo a discutere con lei.

Erano partiti di mattina presto, quando la brezza era ancora fresca. Dopo essersi riuniti accanto all’enorme fontana scolpita a forma di leone da cui sgorgava acqua fresca proveniente da una montagna wadi tramite la condotta principale della città, essi risalirono i gradini ripidi e stretti che erano stati scavati accanto al serpeggiante wadi fino alla cima della montagna... e al santuario del dio nabateo, Dushara. La prima ora di salita era stata estenuante seppur piacevole, tra oleandri e tulipani impolverati che si protendevano sui gradini, ma una volta oltrepassato il punto in cui le coltivazioni finivano, il vento li sferzò con mulinelli di sottile polvere rossa che si appiccicava ad abiti e capelli.

L’agile Hamudi sembrava impaziente di continuare e fece comprendere chiaramente ai suoi urbanizzati clienti romani che si era fermato solo per pietà. Glauco non si curava di quello che pensava il nabateo mentre inclinava la testa e trangugiava l’acqua dalla sua fiasca. Massima fece lo stesso, poi senza pensarci si pulì le labbra sulla tunica, un gesto assolutamente poco femminile, e immediatamente sputò la sabbia con disgusto. Represse un lamento quando suo fratello la spinse in piedi, ed arrancarono per un’altra mezz’ora, il silenzio interrotto soltanto dal loro respiro ansante. I gradini irregolari rendevano difficoltosa l’escursione ed inciampare sui ripidi scalini avrebbe potuto significare un atterraggio disastroso su una parete di roccia tagliente, o sul bordo di un burrone, così fratello e sorella dimenticarono il loro tormento concentrandosi su ogni punto d’appoggio.

Sentendo che le sue gambe infiacchite stavano per cedere, Massima pregò il fratello di fermarsi ancora una volta prima di raggiungere la cima, ma egli rifiutò di riposare troppo a lungo, ansioso di incontrare colui che li stava aspettando sulla sommità della montagna... il cosiddettoLuogo Alto’. Prudente come sempre, egli si assicurò che l’elsa della sua spada fosse libera dalle pieghe della tunica, pronta ad essere sguainata e brandita.

Entrambi dimenticarono le loro gambe doloranti quando raggiunsero finalmente la sommità, annunciata da un paio di enormi obelischi scolpiti rozzamente, creati scavando via la roccia attorno ad essi. Gli imponenti monoliti facevano sembrare gli umani dei nani e Glauco si affrettò a superarli, lieto di mettere le loro ombre dietro di sè. Più in là era collocato un edificio dal tetto piatto, con alte aperture per permettere la ventilazione, ma apparentemente senza porta principale. Egli si fermò e lo fissò. Era questo il luogo in cui dovevano incontrarsi? Ma Hamudi lo superò in fretta e Glauco e Massima lo seguirono da presso. Salirono ancora più in alto, finché finalmente raggiunsero un promontorio battuto dal vento. Da ogni lato, la piattaforma di roccia frastagliata offriva una straordinaria veduta dell’anello di aspre montagne che circondavano Petra... uno squarcio di verde che si faceva strada serpeggiando attraverso la roccia rossa. Il massiccio ovale del teatro romano di tremila posti dominava un lato della valle, circondata da tombe scolpite nella roccia sulla facciata della montagna. In lontananza le case di Petra sembravano blocchi indipendenti raggruppati sotto tetti a gradini con verdi terrazze. La luce del sole inondava la facciata del massiccio Grande Tempio, piccolissimo da quell’altezza. Glauco scoprì di poter guardare dentro l’accampamento romano dietro le porte proibite, e notò che il sole faceva luccicare gli elmi di uomini minuscoli vestiti di nero, simili ad insetti. Pretoriani.

Udendo Massima trattenere il fiato, roteò su se stesso allarmato, puntando la spada verso una monumentale piattaforma di pietra. Lentamente si raddrizzò, abbassò il braccio e rinfoderò la spada. Nel centro della piattaforma s’innalzava un’alta colonna di pietra nera.

- Dushara, - disse Hamudi con semplicità mettendosi in ginocchio e chinando la testa.

Era questa la misteriosa divinità, Dushara, Dio dei Nabatei? Glauco camminò lentamente attorno alla piattaforma, seguito da Massima, che sussurrò:
- Perché dovrebbero adorare questa cosa?

Glauco scosse le spalle, ma disse:
- Suppongo che abbia senso. Le loro vite sono dominate da queste montagne e sicuramente essi credono che il loro dio stia quassù. Questa roccia simbolizza semplicemente la sua esistenza.  - Egli si fermò improvvisamente e Massima andò a sbattere contro la sua schiena. - Ecco... - disse lui. - E’ un altare.

Massima gli girò attorno.
- Come fai a...? - Le parole le morirono in gola quando vide le macchie di sangue colato lungo il lato della roccia e il rosso fluido appiccicoso che formava una pozza alla sua base. - Che co... che cosa pensi che sacrificassero?

- Capre, suppongo, - rispose lui, mantenendo un tono calmo e regolare. - Sono certo che fossero capre. - Afferrò il braccio di Massima e la tirò contro di sé. - Resta accanto a me. Resta sempre accanto a me. - Egli la tenne stretta per il gomito, guardandosi attorno. Sembrava che fossero soli. Lentamente camminò attorno all’altare e subito si fermò. Sulla panca di pietra di fronte a lui sedeva un vecchio con barba e capelli bianchi fluenti, attorniato da quattro uomini più giovani.

L’unico suono era quello del vento, mentre gli uomini, con sguardo torvo, facevano capire chiaramente con le loro espressioni che Glauco non doveva avvicinarsi.

Il vecchio parlò.
- Che cosa vuoi? - La sua voce era forte e ferma, malgrado l’età, confermata dal viso solcato da rughe profonde.

- Sei Marciano... il medico?

- E se lo fossi?

- Ho fatto molta strada per trovarti.

- Perché? - Il vecchio strizzò gli occhi per il sole, che si trovava proprio sopra la testa di Glauco.

- Potresti avere delle informazioni di cui ho bisogno.

- Di cui tu hai bisogno. E chi sei tu, che hai bisogno di informazioni da me?

- Ho mostrato i miei documenti a quell’uomo... - Glauco accennò all’uomo sul lato sinistro della panca il cui viso era indecifrabile ma non ostile. - Chiedi a lui.

- Come ti chiami? - interrogò il vecchio.

- Massimo Decimo Glauco. Figlio di Massimo Decimo Meridio. Generale del...

- E’ una bugia! - Il vecchio balzò in piedi con sorprendente agilità, e i giovani si mossero per formare un semicerchio protettivo attorno a lui.

- Nossignore. Non è una bugia. Io sono chi dico di essere.

- Provalo!

- Ho mostrato i miei documenti a... - cominciò Glauco.

- Bah, - sbottò il vecchio, sprezzante. - I documenti possono essere falsificati.

Massima diede un colpetto al braccio del fratello ed egli la guardò con aria interrogativa. Ella allora spinse leggermente la spada al suo fianco e lentamente egli slacciò il fodero e lo tese con entrambe le mani.
- Riconosci questa, signore?

L’uomo dai capelli color sabbia che Glauco aveva già conosciuto fece un passo avanti per prenderla. Aggrottando la fonte con aria pensierosa, egli la mise nelle mani del vecchio che crollò a sedere sulla panca, studiando la spada con le dita e con gli occhi. All’improvviso, l’uomo rabbrividì e gemette. Mentre mani si tendevano per aiutarlo, egli rivolse a Glauco gli occhi colmi di lacrime.
- Massimo, - sussurrò. - Questa è la spada di Massimo. L’ultima volta che la vidi, era nelle mani del suo servitore, la notte in cui Massimo fu ucciso.

- Io... io sono suo figlio, signore. - Guardò la sorella. - E questa è sua figlia.

- Come può essere? Come può essere? - disse Marciano con voce rauca. - Suo figlio morì quando lui morì. La sua famiglia fu uccisa.

- Non ci uccisero tutti, signore, ed egli non morì quando e dove tu credi.

Marciano scosse la testa stupito, e per la prima volta gli uomini attorno a lui si rilassarono.
- I miei figli, - spiegò Marciano mentre essi avanzavano ad uno ad uno per porgere la mano in segno d’amicizia. Poi egli si alzò sulle gambe tremanti e si avvicinò a Glauco, afferrandogli la mano prima di tirarlo a sé in un abbraccio. - Devo sentire che cosa hai da dire, - sussurrò nell’orecchio dell’ispanico. - Ti prego, siediti.