La Storia
di Glauco: Capitolo 48
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- Glauco, - sussurrò Maxima dalla porta della piccola stanza buia. - Sei sveglio?
Glauco aprì gli occhi, ma non vide che oscurità.
- Uh, huh, sono sveglio. Nemmeno tu riesci a dormire?
- In vita mia non ho mai visto niente di più buio di questa locanda. Alla villa, di notte… anche con gli occhi chiusi… non era mai così buio.
- Credo che ci troviamo all’interno di una caverna, in profondità. La facciata della locanda è costruita con blocchi di arenaria, ma noi siamo un bel po’ all’interno. Probabilmente nessuna luce naturale ha mai penetrato questa zona. Dov’è la tua torcia? Vuoi che accenda una torcia?
- No… va tutto bene. Volevo soltanto udire la tua voce.
- Allora, segui la mia voce e vieni a sederti accanto a me, - disse Glauco gettando le gambe sopra il bordo della branda.
Massima usò le mani per guidarsi fino a lui.
- Come sapremo quando è mattina?
- Il locandiere verrà con una torcia. Attenta alla testa, - avvertì Glauco. La sua branda era premuta contro un ruvido muro di pietra che emanava refrigerante frescura, ma non umidità. Tappetini di lana colorati riscaldavano il pavimento di pietra. Un tavolo di legno e due sedie erano la sola mobilia a parte il letto. Era una stanzetta semplice, ma pulita.
- Credi che ci siano pipistrelli, qua? - chiese Massima rabbrividendo.
Glauco le prese la mano e sorrise nell’oscurità.
- No, non starebbero in un posto con così tante persone. Probabilmente ci sono
ancora centinaia di grotte disabitate nelle montagne,
dove ci vivono i pipistrelli. - Girò il viso in direzione della sorella.
- Ti senti meglio adesso?
- Be’, ho ancora della sabbiolina in bocca e la mia pelle è ancora secca, ma mi sento meravigliosamente pulita. Credo di aver lavato via, dai miei capelli soltanto, almeno tre secchi di sabbia. - Restò in silenzio per un istante, poi aggiunse. - Glauco, questo è il posto più strano che abbia mai visto. Una volta Apollinario mi parlò di Petra, ma non avrei mai immaginato niente del genere. E’ fantastico.
- Sì… e sicuro anche. Sono sorpreso che perfino un esercito come quello romano sia riuscito a sconfiggere i Nabatei e a rivendicare questi luoghi. Posso capire perché Marciano sia venuto qui… se l’ha fatto.
- Quando lo sapremo?
- Hamudi ha detto che avrebbe sparso la voce e che Marciano si sarebbe messo in contatto con noi… se è qui… e se vuole farlo.
- Non posso sopportare l’idea di dover attraversare di nuovo quel deserto senza averlo trovato.
- No, nemmeno io. Ma, siamo ottimisti! Nel frattempo Hamudi è d’accordo a restare con noi e a farci da guida e traduttore, se ne abbiamo bisogno.
- Come lo hai persuaso a farlo?
- Si è convinto dopo che ho chiesto scusa e strisciato quanto basta. Gli ho anche offerto una sostanziosa somma di denaro.
- Il denaro parla.
- Di sicuro… in tutte le lingue.
Ci fu silenzio per un lungo momento.
- Glauco? - sussurrò di nuovo Massima.
- Mhh? - mormorò il giovane che stava cominciando ad appisolarsi, la spalla appoggiata contro la parete.
- Grazie per avermi portata.
- E’ un onore, sorella. E’ un onore.
Il giorno seguente Glauco e Massima girarono la città con Hamudi, che era orgoglioso di mostrare ai due giovani romani le stupefacenti opere compiute dalla sua gente. La città di Petra si avvolgeva lungo un passo della catena di montagne Shara d’arenaria rossa venata da ombre di rosa, violetto e giallo pallido. La roccia era già piuttosto bella, ma ciò che i Nabatei avevano fatto con l’arenaria era tale da mozzare veramente il fiato. Le facciate degli immensi edifici a colonne corinziane erano state scolpite, lungo tutta la valle, proprio nella morbida pietra, con le stanze degli edifici formate da grotte che mantenevano la temperatura all’interno uniforme e confortevole a dispetto del clima esterno. Strategicamente disposta e quasi impenetrabile, Petra, una città di trentamila persone al suo apogeo, era prosperata come capitale di un modesto impero. Ormai, sotto il governo romano, era considerevolmente declinata in dimensioni e forza, ma la sua bellezza era rimasta immutata. Persone di tutte le razze passavano nelle sue vie, commerciando e vivendo in pace. Persone di tutte le razze, e di molte religioni, così come di sette perseguitate, affluivano a questa città remota in cerca di salvezza e pace. Glauco vedeva ovunque segni che in questo luogo i Cristiani vivevano e praticavano il loro culto, e venivano sepolti in centinaia di tombe scavate nelle pareti della montagna. Il piccolo pesce, il simbolo del cristianesimo, decorava la morbida arenaria in molti muri e porte. I seguaci di Cristo dividevano pacificamente il posto con i Nabatei ed il loro dio principale, Dushara; un dio cristiano misericordioso e un dio nabateo sanguinario.
Massima e Glauco passeggiarono lungo la via principale, ricurva e serpeggiante, e si meravigliarono quando Hamudi indicò i lussureggianti giardini che risalivano il fianco della falesia e spiovevano su cortili murati irrigati da un sofisticato sistema che trasportava l’acqua da sorgenti naturali d’acqua pura nelle montagne. C’era molta vegetazione ovunque, e Hamudi spiegò che le colline intorno a Petra erano usate per coltivazioni e pascoli e che la gente era esperta nel conservare quel poco di pioggia che veniva giù. Le foglie lanceolate di oleandri e tamarindi si abbarbicavano ai fianchi della falesia, mostrando ostinatamente il loro verde vivo nonostante fossero coperte da uno strato di sottile sabbia rossa.
Il grande mercato consisteva in niente più che bancarelle senza pretese con falde a strisce colorate che sbattevano nella brezza, ma quello che mancava in grandiosità romana era compensato dal sapore esotico. Massima riusciva a malapena a contenersi mentre svolazzava da un chiosco all’altro provando preziose fragranze esotiche di incenso e mirra pungente, tastando sete orientali dal colore verde pallido e fucsia e ammirando la gioielleria locale in argento e turchese. Ma ciò che era più impressionante era l’elegante ceramica nabatea dipinta con delicati motivi floreali. In qualche modo, a dispetto del peso e della fragilità, Glauco seppe che avrebbero lasciato Petra con zaini pieni di ceramica.
Mentre Massima si godeva il mercato sotto l’occhio attento di Hamudi che agiva da traduttore, Glauco passeggiava lungo il bordo del corso d’acqua che correva per la lunghezza della via principale, circa dieci piedi sotto. Alcune panche scolpite vicino al bordo superiore offrivano riposo ai cittadini più anziani di Petra che si raccontavano i pettegolezzi della città, le teste chine e vicine le une alle altre. Gradini scavati nell’arenaria scendevano a quel livello inferiore, e comodi ponti scolpiti attraversavano il burrone per raggiungere importanti edifici sull’altro lato, come l’antico palazzo reale e uno dei templi monumentali che dominavano questa parte della città. Questi sorgevano su alte e ampie terrazze ed erano raggiungibili da spettacolari rampe di scalini scavati nella pietra. Gradini correvano ovunque lungo i fianchi delle montagne, fino ad altezze vertiginose, prima di svoltare e scomparire dietro affioramenti di pietra. Glauco riusciva solo ad immaginare come sarebbe stata la veduta della città da lassù.
L’influenza greca a Petra era evidente nei templi a colonne con i loro porticati e frontoni ed intonacature elaboratamente modellate, ma la città manteneva una personalità completamente propria che la dominazione romana non era riuscita a sopprimere. I Nabatei adoravano ancora il loro dio Dushara e la loro dea Al Uzza in templi che non erano stati requisiti dai romani per i loro bisogni amministrativi. A parte i misteriosi pesci, in ogni caso, Glauco non aveva visto segno esteriore di abitanti cristiani… non che fosse sicuro di che cosa guardare, comunque. I nabatei erano riconoscibili dalla loro ossatura leggera e dalla pelle scura, ma che aspetto avevano i cristiani? Ne aveva mai visto uno?
Glauco si lanciò un’occhiata alle spalle, verso il mercato, e vide Massima avvolta in una lunghezza di seta verde-blu squisitamente ricamata che si adattava perfettamente ai suoi occhi, e sorrise affettuosamente. Che peccato, pensò, che Massimo non avesse mai conosciuto la sua bellissima figlia. Quanto l’avrebbe amata! Il suo sorriso si allargò ancor di più mentre la osservava contrattare allegramente con l’anziana venditrice sul prezzo della seta, poi fingere grande riluttanza nel pagare l’esiguo importo, ed egli silenziosamente ringraziò gli dei per aver loro permesso di trovarsi. Ella avvolse il suo acquisto sotto il braccio e scorse il fratello vicino alla parete dove scorreva il corso d’acqua. S’illuminò fiduciosa avvicinandosi a lui.
Massima spalancò il braccio srotolando il delicato tessuto,
che fluttuò per qualche istante alla calda brezza, prima di poggiarsi
gentilmente attorno alle sue spalle.
- Lo vedi questo? - chiese con una risata. - Lo vedi? Non ho mai comprato nulla
in vita mia. E’ stato meraviglioso! -
Volteggiò come una ragazzina, poi strinse il braccio del fratello. - Ma gli acquisti sono così stancanti con questo caldo.
Possiamo riposare un po’?
Glauco guardò Hamudi con un sopracciglio alzato in modo interrogativo. Senza una parola, il nabateo li condusse ad un angolo lontano del mercato dove poterono sedersi all’ombra delle falesie, circondati da boccioli dalla dolce fragranza, sorseggiando tè alla menta e mangiucchiando dolcetti di sesamo.
Massima stava ancora fremendo d’eccitazione.
- Glauco, nemmeno nei miei sogni più selvaggi avrei mai potuto immaginare un luogo come questo. Mai. E’ ancora più grandioso di Alessandria, a modo suo. Chiunque qui sembra così… pacifico e soddisfatto. Nessuno si affretta. Nessuno sembra triste. E’ così diverso da Roma, o anche da Ostia.
- E’ probabilmete un’ottima cosa per Petra, - convenne Glauco, - che i romani abbiano per lo più perso interesse nella città. Suppongo che qui non prevedano più grande guadagno finanziario, così l’hanno quasi dimenticata. - Si rivolse ad Hamudi. - Dove sono i governatori di questa città?
Hamudi indicò la fine della via principale e porte enormi che
racchiudevano una piazza e un magnifico tempio all’interno.
- Laggiù, nei vecchi edifici amministrativi nabatei. Non li vediamo molto. Non si immischiano. Siamo pacifici, qui. Nessun motivo di
uscire.
Glauco si chiese se, dietro quelle porte, pretoriani dai mantelli neri pattugliassero la piazza, poi mentalmente si riscosse. Era lontano, lontanissimo da Roma e dal pericolo.
Massima si sfiorò le labbra, contenta di trovarle di nuovo morbide e umide dopo alcuni trattamenti con una
pomata alla lanolina fornita da uno speziale di Petra. Quella mattina, si era
concessa il lusso d’un bagno caldo con oli ed acqua profumati. Si stirò e senza
successo represse uno sbadiglio, poi lanciò un’occhiata al fratello, che sedeva
rilassato ma vigile, con lo sguardo che sfrecciava da un viso all’altro mentre
i nativi seguivano le loro faccende. Ella si protese attraverso il tavolo e gli
toccò la mano.
- Glauco, devi essere paziente. Si metterà in contatto con noi quandò sarà
pronto.
Gli occhi verdi di lui si spostarono sul viso di lei, poi di
nuovo sulla folla.
- Lo so, ma mi ci sono voluti mesi per trovare tua madre a Roma e non posso proprio aspettare ancora tanto...
Un’ombra cadde sopra il tavolo ed un uomo si inchinò a Glauco, prima di chiedere educatamente.
- Cerchi Marciano?
Glauco balzò in piedi, il cuore martellante.
- Sì. Sì. E’ qui?
L’uomo sorrise, amichevole ma prudente.
- Hai documenti d’identità, presumo?
- Sì, ho i documenti.
- Posso vederli, per favore?
Immediatamente, Glauco divenne cauto. Non poteva permettersi di perdere i documenti d’identità. Scrutò l’uomo di fronte a sé. Sulla trentina, capelli del colore della sabbia scura, occhi grigi, snello, indossava una semplice toga bianca senza decorazioni e sandali ai piedi. Disarmato, non sembrava rappresentare una minaccia, ma Glauco aveva imparato a non fidarsi mai delle apparenze. Il suo sguardo non abbandonò mai l’uomo, mentre prendeva lo zaino e vi cercava i documenti d’identità. Lentamente si raddrizzò, li dispiegò con attenzione, e glieli porse.
L’uomo sorrise e disse.
- Li puoi tenere in mano, se desideri. Devo soltanto leggerli. - Egli contrasse
le labbra mentre analizzava le parole, poi le sue sopracciglia si alzarono leggermente
per lo stupore. Aveva chiaramente riconosciuto il nome. Fece un passo indietro
ed esaminò Glauco da capo a piedi, come per formarsi un’immagine mentale che
avrebbe presentato a colui che lo aveva mandato. Poi s’inchinò di nuovo molto
brevemente e disse: - Ti contatterò più tardi… alla locanda accanto al Tesoro,
suppongo?
Glauco annuì.
L’uomo s’inchinò di nuovo e scomparve tra la folla.