La Storia di Glauco: Capitolo 47

 

Capitolo 47 - Il deserto

Vestiti come beduini, con appena un dito di pelle esposta, Glauco e Massima sedevano in groppa a due cammelli, con i rifornimenti sufficienti per il lungo e arduo viaggio verso Petra assicurati alle loro selle. Avrebbero fatto rifornimento d’acqua fresca lungo la via, da cisterne nel deserto. Dapprima diffidente delle bestie allampanate e indolenti, Massima era coraggiosamente salita sulla groppa del suo cammello, poi aveva trattenuto il fiato ed afferrato la sella mentre il goffo animale si metteva in piedi barcollando. Dal primo giorno lo soprannominò “Bruto” e imparò a sobbalzare felicemente appollaiata in mezzo alle due gobbe. Ella si abituò al cammello con molta più facilità di quanto fece Glauco, che malediva la sua cavalcatura puzzolente, lenta e pesante che lo sballottava tra le gobbe ossute, e raccontava incessantemente di quanto sentisse la mancanza di Ultor.

La loro taciturna guida era un nabateno. I Nabateni erano un popolo arabo che aveva stabilito a Petra la sua capitale e rivendicato le terre desertiche attorno ad essa. I Nabateni crebbero ricchi e potenti controllando il commercio tra l’Impero Romano e l’Oriente, prima di essere conquistati ed esautorati dai Romani sotto Traiano nel 106. La loro terra fu ridotta a piccola provincia ed il commercio fu deviato verso Palmira, la città rivale di Petra.

Il viaggio di quattro settimane li avrebbe portati verso sud-est lungo la vecchia via carovaniera, attraverso desolate terre desertiche e pietrose, da un punto d’acqua all’altro, fino a raggiungere le montagne di arenaria rossa che da nord a sud creavano una barriera, perforata da una valle che ospitava la città di Petra.

L’eccitazione dei primi giorni lasciò ben presto il passo al tedio, man mano che il paesaggio diveniva monotono... creste di dune a perdita d’occhio. Nel giro di una settimana il tedio cedette alla noia assoluta. Il cicaleccio felice di Massima sulla storia della via commerciale e le straordinarie merci, sete e spezie che essa aveva portato a Roma scemò ad un commento occasionale sul panorama o la rara fauna o flora selvatica.

Glauco cercò alcune volte di impegnare una conversazione con la loro guida, ma non apprese altro che il nome dell’uomo... Hamudi. Questi sembrava completamente disinteressato ad ulteriori tentativi di comunicazione e si limitava ad alzare le spalle in risposta alle domande di Glauco. Scoraggiato, Glauco si mise dietro Massima, che seguiva Hamudi, ascoltando i venti lamentosi ed il fruscio sordo della sabbia sotto le zampe piatte dei cammelli, che veniva trasportata sulla pista in forma di onde. Alla fine della seconda settimana, perfino Massima si era zittita... una figura avvolta in lini dalla testa ai piedi nel tentativo di tenere le raffiche di sabbia rossa lontane da occhi, naso, orecchie e bocca. Era una vana battaglia. Ogni respiro risucchiava sottili granelli di sabbia, ogni boccone di cibo era sabbioso. Né lo sputare né l’inghiottire alleviavano il disagio di masticare e respirare costantemente sabbia. I grani erano così sottili che filtravano attraverso il tessuto a trama fitta e si appiccicavano al sudore sui loro corpi, causando un costante prurito e pizzichio. Nel giro di due settimane la loro pelle era inaridita e le labbra erano spaccate dai venti secchi e caldi. Glauco doveva costantemente ricordare a sua sorella di bere acqua per evitare la pericolosa disidratazione. Era tristemente comico vederla portarsi la borraccia alle labbra senza esporre un centimetro di pelle, prima di accasciarsi di nuovo in un molle fagotto informe, senza parole. Glauco non aveva bisogno di chiederle come si sentiva... la sua postura parlava per lei.

Glauco aveva un mal di testa perenne, causato dallo strizzare di continuo gli occhi per tenerne lontani la sabbia ed il sole, e la pelle esposta del suo viso era lacerata da granelli che, sospinti dal vento, pungevano come migliaia di piccolissime api. Il collo gli doleva dal voltare continuamente la testa per controllare eventuali intrusi dietro di lui, tenendo una mano sulla spada nascosta nel caso i predoni calassero da dietro i massi che orlavano la pista.

Si accampavano presso ripari di rocce, sotto tende dall’armatura di legno coperte di nere pelli di capra, e sotto il cielo stellato. Il problema, di notte, non era il calore... era il freddo. Quando il sole tramontava, anche la temperatura calava e i viaggiatori rabbrividivano nella loro piccola tenda sotto strati di coperte, le ginocchia strette al petto, mentre il sudore del giorno si trasformava in umidità gelata della notte. C’era una gran quantità di tempo per pensare, durante le lunghe notti rigide, quando gli unici suoni erano quelli dei venti ululanti e delle pelli della tenda che sbattevano. Erano anche momenti di solitudine e Glauco desiderava udire il chiacchierio euforico della sorella. Ella si trovava nella tenda proprio accanto alla sua, ma avrebbe potuto benissimo essere dall’altra parte del mondo. Gli mancava la semplice amicizia che avevano sviluppato a bordo della nave ed era continuata per tutta la loro visita ad Alessandria.

Si alzavano presto ogni mattina, scavavano attraverso la sabbia accumulatasi che inevitabilmente seppelliva a metà i loro ripari, e viaggiavano il più possibile nelle fresche ore mattutine, prima che il sole arroventasse l’aria e la sabbia come una fornace. Durante le prime tre settimane superarono solo quattro altre carovane di cammelli e carri di buoi, che viaggiavano nella direzione opposta, ma poche parole furono scambiate e anche quelle poche erano in un linguaggio che Glauco non capiva.

Vicino alla fine della quarta settimana Glauco, preoccupato, si avvicinò a Massima quando si fermarono per rifornirsi d’acqua ad una cisterna. Quando ella fece capolino dai suoi avvolgimenti egli trasalì nel vedere le fosse violacee sotto i suoi occhi spenti. Appariva assolutamente esausta.
- Ti senti bene? - fu tutto quello che riuscì a dire. Ella lo fissò in risposta, con un’indifferenza allarmante, e senza profferir parola accettò l’acqua. Estremamente spaventato dalla sua apatia, Glauco le afferrò le braccia e fu sconvolto nel sentire quanto erano dimagrite.

Raggiunse la guida a passo di marcia.
- Quanto manca per Petra? - interrogò. L’uomo si limitò a scuotere le spalle e cominciò a voltarsi, sollevando la fiasca d’acqua alle labbra. Glauco gli afferrò il braccio, facendogli versare un po’ del prezioso liquido sul braccio. - No. Non va affatto bene. Ho riposto completamente la mia fiducia in te, ma ora siamo esausti, affamati e sporchi e io voglio delle risposte. Sono preoccupato per la salute di mia sorella. Quanto manca?

L’ometto con la faccia scura solcata dalle intemperie sputò nella sabbia e disse:
- Sulla collina, - girando sui talloni e lasciando Glauco a chiedersi quale collina. Con riluttanza aiutò Massima a montare di nuovo sul cammello, poi si arrampicò sul suo imprecando violentemente sottovoce. Stava cominciando a sentirsi veramente a disagio riguardo questo viaggio. Avrebbe dovuto assicurarsi che Marciano fosse di certo a Petra, prima di partire. Avrebbe dovuto insistere che Massima lo aspettasse ad Alessandria o addirittura rimandarla ad Ostia a bordo della nave di sua madre. Avrebbe dovuto noleggiare una guida più cordiale. Avrebbe dovuto...

La guida alzò la mano e fece fermare il piccolo convoglio.
- Petra, - indicò.

Glauco scrutò in lontananza. Non riusciva a vedere nient’altro che colline pietrose, falesie rosa e sabbia d’oro rosso sotto uno splendente cielo azzurro.
- Dove? - chiese.

La guida bofonchiò qualche parola inintellegibile e disse:
- Là. - Indicò di nuovo verso un distante crinale rosso.

Ancora una volta, Glauco scrutò le colline in cerca d’un qualsiasi segno di civiltà. Non c’era nulla. Non c’erano persone. Non c’erano costruzioni.

Incoraggiata dalle parole della guida, Massima sollevò la testa e allontanò il lino dal volto. Scandagliò l’orizzonte con sguardo speranzoso, poi chinò il capo e si abbassò di nuovo il cappuccio sul viso.

- Massima, sono certo che ci arriveremo presto. - Glauco sperò di avere un tono più incoraggiante di quanto si sentisse lui. Ella non rispose.

Mentre proseguivano sulla pista sabbiosa, egli tenne lo sguardo sul lontano crinale aspettandosi di vedere forme familiari di colonne e tetti emergere dalle mura di roccia. Ma, mentre si avvicinavano alla fila di montagne di arenaria, divenne evidente che laggiù non v’era città, non v’era valle. La sua mano si strinse sulla spada mentre osservava la nuca della guida. Che cosa stava succedendo? Era una trappola, un’imboscata? Hamudi era al soldo dei pretoriani? Dell’imperatore?

Con gran sorpresa di Glauco, la guida si fermò all’ombra di una falesia di rossa arenaria e smontò.
- Da qui camminiamo, - disse. - Dobbiamo guidare cammelli attraverso wadi. - Allo sguardo vuoto di Glauco spiegò: - Wadi sono gole rocciose di corsi d’acqua... irrigate in stagione piogge... ora secche. Via più veloce per Siq.

- Cos’è “Siq”? - gracchiò Massima, le prime parole che diceva da giorni. Glauco esalò un enorme sospiro di sollievo. Malgrado la gola riarsa, ella era ancora attenta.

- Passaggio dentro Petra. Dobbiamo avvicinarci a città da est, non ovest.

Glauco finse di controllare che i suoi fagotti fossero ben assicurati e borbottò alla sorella.
- Pensi che stia dicendo la verità?

- C’è una ragione per cui non dovrebbe? - gracidò lei.

- Non lo so, - disse Glauco porgendole una fiasca d’acqua. - Sto cominciando ad avere brutte sensazioni al riguardo. - Osservò la snella gola della sorella contrarsi mentre l’acqua scivolava giù.

- Calda, - disse e si pulì la bocca con il dorso della mano. - Desidero tanto un po’ d’acqua fresca. Mi rendo conto adesso quanto prendessi per scontate le amenità della villa. Non ho mai saputo che la gente vivesse sotto simili aspre condizioni. - Poi ella aggrottò la fronte e considerò quello che lui aveva detto. - Perché ti senti inquieto? Non siamo ancora arrivati, ecco tutto.

- Hai ragione... probabilmente non è nulla. Sono solo stanco. - Egli le sfiorò gentilmente la guancia con le dita ruvide. - Mi spiace di averti fatto preoccupare. - Si riparò gli occhi e guardò attentamente l’inizio della scoscesa pista rocciosa che svoltava e scompariva dietro una rupe. - Perché non cavalchi? Sembra molto ripido, ci sono sassi taglienti ovunque, e potresti facilmente slogarti una caviglia. Condurrò Bruto e legherò il mio cammello dietro la sua sella.

Massima esitò e osservò la pista pensosamente. Poi annuì e sospirò mentre fissava la sella che era stata il suo sedile per le trascorse quattro settimane.
- Sono così, irrigidita, dolorante, sporca e assetata che pochi giorni non faranno alcuna differenza.

Glauco tenne la sella di Bruto mentre ella montava, ma non aveva bisogno di preoccuparsi. Le palpebre del cammello si chiusero sonnolente, gli enormi occhi marroni nascosti da lunghe ciglia folte. Se non altro, il giovane ispanico si rese conto che avrebbe avuto problemi a far muovere di nuovo il cocciuto animale. Mentre prendeva la briglia egli disse alla sorella in tono incoraggiante:
- Dovrebbe fare più fresco tra le montagne e non essere così sabbioso. - L’animale muggì rumorosamente in segno di protesta e Hamudi lemme lemme si avvicinò. Senza una parola prese le redini e tirò in piedi il cammello. Poi, dopo aver lanciato uno sguardo ironico a Glauco, si pose alla guida del proprio cammello e si diresse verso la stretta pista. Glauco seguì con il cammello di Massima, la mano sull’elsa della spada di suo padre, controllando con gli occhi i pinnacoli che torreggiavano sopra la pista.

Il desiderio di sollievo dal caldo crebbe e dopo un’ora di scalata Glauco era inzuppato di sudore. Lo stretto passaggio era orlato da alti picchi frastagliati che toglievano l’aria e cuocevano i viaggiatori. Si fermò e si appoggiò contro una ripida parete di arenaria, detergendosi il viso con la manica.  Poi si mise prima su un solo piede e poi sull’altro e sgombrò dai sandali gli acuminati ciotoli, prendendo seriamente in considerazione l’idea di indossare gli stivali nel suo zaino. Si massaggiò la pelle tagliata e spaccata, non abituato ad un tale abuso.

Hamudi continuava senza fermarsi.

- Bastardo! - gli gridò Glauco, la voce echeggiante tra le rocce. - Aspettaci. Ti abbiamo assunto, non dimenticartelo! - Non ci fu risposta. Frettolosamente, Glauco si legò di nuovo il sandalo e riprese a risalire la pista. Proprio dietro l’angolo Hamudi li stava aspettando.

La guida sollevò una mano scura per impedire la tirata di Glauco.
- Arriviamo prima di crepuscolo. Dormirete a Petra stanotte.

Il petto ansante per lo sforzo e la collera, Glauco gli rivolse uno sguardo infuriato. Non gli piaceva quest’ometto... non si fidava per niente di lui. Ma non aveva idea di dove egli fosse o di dove fosse Petra e sapeva, per ora, che doveva seguire la guida nabatea. Bevve un sorso d’acqua e annuì per indicare ad Hamudi di procedere. Ma Bruto aveva altre idee e quando la corda di conduzione inaspettatamente si tirò, Glauco sdrucciolò sui sassi sparpagliati e cadde ginocchioni, scivolando in basso sul pendio roccioso per alcuni passi. Urlò quando l’arenaria ghiaiosa gli graffiò la pelle anche attraverso il lino. Con umore ancor più tempestoso di prima, si alzò e strattonò con forza la corda, ma l’irriducibile cammello rifiutò di muoversi. Improvvisamente, su un’alta cresta sopra la testa del cammello, Glauco percepì del movimento. Sguainò la spada e si accovacciò, pronto a balzare su un avversario che potesse farsi cadere da sopra. Non accadde nulla. Si tirò indietro il cappuccio di lino per avere una miglior visuale delle creste, poi girò in un lento cerchio, ogni muscolo in tensione.

- Glauco, che cosa c’è? Qualcosa non va? - chiese Massima, allarmata.

- C’è qualcuno sulle falesie, - sussurrò lui in risposta.

Seduta sul cammello, Massima guardò in su.
- Non vedo nessuno. Ne sei sicuro? Può essere stato un uccello, o qualcosa del genere.

Glauco sapeva che non era stato un uccello, ma annuì e con riluttanza rinfoderò la spada. Ringhiò al cammello che, percependo il suo umore, cominciò ad arrancare sulla pista. Questa pista era una trappola mortale. Erano imprigionati tra alte pareti di roccia, quasi indifesi ad un attacco dalle falesie.

Massima si aggrappò al dondolante cammello mentre Glauco aggrediva la pista rocciosa spinto da un’energia provocata dalla paura. Quando raggiunse Hamudi, spinse rudemente l’agile guida.
- Se a mia sorella accade qualcosa ti trapasserò con la mia lama.

Hamudi si indignò.
- Mi paghi per portarti là sano e salvo e io questo faccio. - Indicò un’immensa parete di arenaria ora visibile sopra le falesie. - Lassù è Siq.

- Portaci là in fretta, - ordinò Glauco scrutando ancora le falesie, cercando un segno di movimento. Soltanto il sole bruciante assalì il suo viso rivolto in su.

Ci volle ancora un’ora buona prima che si trovassero davanti un’enorme magnifica parete di frastagliata arenaria rossa, striata di venature rosa e violetto.
- Dove? Dov’è questa valle. Dov’è Petra? - interrogò Glauco con una punta di disperazione.

- Là. - Hamudi indicò ancora, questa volta verso una breccia che si alzava nella maestosa parete... una fessura nera e contorta in cui la luce del giorno penetrava appena.

- Non penserai seriamente che ti seguiremo là, vero? Per quanto ne so io, potrebbe essere un’imboscata. Non c’è nessuna città! Che cosa stavi progettando di fare? Derubarci e poi lasciarci qui a morire?

Massima fissava allarmata il fratello, gli occhi spalancati resi ancor più grandi dalle occhiaie violacee.

Hamudi gettò indietro la testa con sdegno.
- Se volevo derubarvi e uccidervi potevo farlo molte settimane fa. Che cosa ci guadagnavo nel portarvi fin qui? Questo è Siq. Questo ci porta dentro Petra.

- Glauco! - strillò Massima. - Lassù! Lassù! Hai ragione tu... c’è qualcuno sulle falesie! - Roteando su se stesso, Glauco si fece cadere Massima tra le braccia e la spinse sotto il cammello, dove ella si stese tra ciotoli e sabbia, poi egli estrasse la spada con fulminea rapidità, pronto ad affrontare qualunque aggressione. Anche lui li aveva visti. Due uomini, uno ad ogni lato della fenditura.

Hamudi sospirò e roteò gli occhi.
- Guardie. Sono guardie.

- E’ esattamente quello che immaginavo, - ringhiò Glauco. - Pretoriani.

La guida lo guardò sorpreso, poi scoppiò a ridere.
- Pretoriani? No pretoriani qui. - Si asciugò le lacrime dagli occhi. - Guardie di Petra. Guardie nabatee.

Glauco non era completamente convinto. Socchiuse gli occhi guardando le cime delle montagne finché un rumore da dentro la fenditura lo fece ruotare su se stesso e accovacciare, con la punta letale della sua lama puntata verso l’apertura. Il rumore indistinguibile aumentò di volume e i muscoli di Glauco si tesero. Ma invece di pretoriani armati dai neri mantelli... un vecchio asino con un pesante carico di sacchi e un ragazzino dalla pelle scura sulla groppa emersero dall’oscurità. Il giovinetto, nudo, sorrise loro, senza accorgersi minimamente della spada e dell’uomo in tensione che la brandiva... e lanciò un allegro saluto, a cui Hamudi rispose nello stesso modo.

Sentendosi stupido, Glauco lentamente si raddrizzò e rinfoderò la spada. Un secondo asino seguiva il primo, anch’esso con in groppa un ragazzo, leggermente più grande dell’altro. Glauco tirò in piedi la sorella.

Sogghignando, Hamudi fece loro cenno di seguirlo. Glauco prese la mano della sorella in una delle sue e la corda del cammello nell’altra, ormai convinto in modo umiliante che la sua trepidazione era stata infondata. Piombarono rapidamente nell’oscurità quando la stretta gola inghiottì la luce del sole del crepuscolo. Mentre i suoi occhi si adattavano, Glauco notò i primi segni di civiltà che non vedeva da settimane.
- Acquedotti, - disse stupito a Massima e diresse lo sguardo di lei verso le larghe tubature che correvano lungo l’alta parete sopra le loro teste.

- Un bagno. Potrei uccidere per un bagno, - gemette Massima mentre i suoi occhi scivolavano sullo stretto squarcio di luce sopra di loro.

- Più alto di qualunque costruzione nell’impero, - disse Hamudi con orgoglio. - Più alto di cinque templi.

Massima rabbrividì, sicura che le enormi pareti di pietra stessero lentamente scivolando l’una sull’altra preparandosi a schiacciarli come insetti. Non aveva completamente torto. La fenditura stava diventando più stretta... ora larga appena soltanto perché due animali passassero affiancati. Chiuse gli occhi e immaginò i grandi spazi aperti e i prati ondulati della villa in Ostia e respirò un po’ più agevolmente. Anche la frescura aiutò. Le rocce attorno a loro non avevano mai visto la luce del sole e irradiavano un refrigerio che ristorava.

All’improvviso Glauco si fermò.
- Oh, - alitò. - Per gli dei, guarda quello!

Massima aprì gli occhi e trattenne il fiato. Attraverso l’apertura alla fine della fenditura ella vide un incredibile tempio di arenaria rosso oro... scolpito direttamente nella parete di roccia dietro di esso e sfavillante come fuoco ai raggi morenti del sole al tramonto.

- Petra[1], - disse Hamudi con orgoglio. - Accetto le tue scuse e il tuo pagamento.



[1] Alcuni siti ricchi di foto e commenti riguardanti il Wadi, il Siq e Petra sono: do l sole e irradiavano unane http://nabataea.net/facstreet.html e http://www.jordanjubilee.com/gallery/photospet.htm  (in inglese); http://digilander.libero.it/jimdigriz/jor_syr/petra.html e http://www.tuttotreviso.it/pages/pagine_personali/cst/pages/giordania/petra.html  (in italiano) (N.d.T.).