La Storia di Glauco: Capitolo 46

 

Capitolo 46 - Il Nilo

La mattina seguente, all’alba, Glauco e Massima si trovavano nella zona portuale del Lago Mareotide in mezzo all’andirivieni di pescatori che vi portavano il loro pescato dal Nilo, il cui ramo più occidentale era a circa venti miglia. I moli erano carichi di datteri, papiri, legni preziosi e spezie, come pure di vini provenienti dai vigneti del Delta.

Le navi che risalivano i canali erano piccole, appena grandi abbastanza per dormirvi a bordo, per il viaggio di due giorni a Menfi. Fecero rotta verso oriente attraverso il lago, non appena il sole sorse sopra gli aspri roveti di papiro e giunchi che bordeggiavano la costa, con i venti prevalenti a loro favore. La brezza mattutina spazzava l’acqua e riempiva le loro vele, ed essi si diressero dritti verso Ra. Era già tardo pomeriggio quando raggiungessero la sponda opposta del lago, dove esso incontrava il ramo canopico del Nilo. Il barcaiolo calò l’ancora tra le protettive canne e le enormi foglie a forma di coppa delle piante di fagiolo ed essi dormirono placidamente, cullati dal gentile rollio della barca e dal frinire dei grilli nei rovi.

Ripresero la navigazione la mattina presto, mentre le foschie ancora salivano dalle paludi, e furono presto sullo stretto Nilo Canopico. Palme di dattero e vigneti punteggiavano i campi che circondavano l’acqua, e la terra era umida e verde... cosa sorprendente per l’Egitto. Il fiume rifletteva la sfumatura verdeggiante dei campi circostanti.

Massima stava appoggiata all’indietro e faceva scivolare le dita nell’acqua fissando le case di mattoni di fango e le centinaia di canali di irrigazione che irroravano i campi. Apollinario le aveva descritto tutto, naturalmente, ma vederlo di persona era totalmente differente. Si sentiva in un altro mondo, lontana da lui e da Ostia... e da sua madre. Guardò l’ampia schiena del fratello che sedeva proprio davanti a lei nella barca, anch’egli osservando la sponda, e sentì un gran senso di pace. Ella era dove doveva essere, non v’era dubbio alcuno nella sua mente. Non aveva commesso un errore nell’accompagnare Glauco. Egli era tutto quanto ella sperava che sarebbe stato... tutto quanto ella sognava che dovesse essere suo padre.

Percependo lo sguardo di lei, Glauco si guardò dietro e sorrise.
- Stupefacente, non è vero?

- Lo è davvero.

- Sono contento che lo condividi con me.

Ella si stupì di quanto velocemente le lacrime le salissero agli occhi ed abbassò lo sguardo.
- Grazie, fratello.

- Attenta alle dita.

- Perché?

- Coccodrilli.

Ella balzò in piedi in preda al panico, facendo oscillare la barchetta in modo allarmante.
- Dove? Dove? - I suoi pugni chiusi annodarono la stola al seno.

Glauco rise e indicò una macchia vicino la sponda.
- Guarda nei roveti. Le forme lunghe e marroni.

- Un ippopotamo è peggio, - aggiunse il barcaiolo. - Giacciono completamente sommersi con solo gli occhi visibili, poi si impennano e rovesciano le barche. Per favore, stai seduta, mia signora. Non peggiorare le cose.

Massima riguadagnò il suo sedile ed afferrò entrambi lati della barca, poi, decidendo che le sue dita erano ancora troppo vicine all’acqua, le allontanò e le piegò in grembo. Si chinò in avanti e sibilò al fratello.
- Sai nuotare?

- Sì. E tu?

- Non bene. Sorveglia gli ippopotami!

Glauco rise ancora e le diede piccole pacche sul ginocchio con grande affetto. Ormai non poteva immaginare la sua vita senza questa notevole giovane donna.

Quella sera calarono di nuovo l’ancora vicino alla sponda, ma visioni di ippopotami e coccodrilli impedirono a Massima un sonno ristoratore. Il russare leggero del fratello le disse che lui non aveva un tale problema.

 

Si alzarono di nuovo col sole ed issarono le vele. Poche ore dopo, la loro barca aggirò una lunga curva nel fiume ed il Nilo improvvisamente si allargò, mentre tutti i suoi sette rami si univano in uno solo.

Massima era perplessa.
- Glauco, non siamo andati troppo lontano? Ho l’impressione che non abbiamo preso il ramo pelusico, che ci porterà ancora più verso est.

- Sì, lo so.

- Lo sai? Ma allora dobbiamo tornare indietro.

- Sì, ma il barcaiolo mi ha assicurato che ne sarebbe valsa la pena. - Glauco sorrise. - Tieni il tuo sguardo sulla destra.

Presto il verde sconfinato dei campi del delta si restrinse ad un nastro di verde su entrambi i lati del fiume. Appena oltre, come se qualcuno avesse tracciato una linea, cominciava il deserto... piatto e dorato. All’improvviso, tre estremità appuntite apparvero sopra l’orizzonte, luccicando nel sole mattutino. Massima trattenne il fiato e si rimise in piedi, dimenticando gli ippopotami. Lentamente la forma delle piramidi si dilatò, man mano che si avvicinavano con la barca, crescendo verso il cielo finché sembrarono scomparire nel blu impenetrabile. Ella non riuscì a distogliere gli occhi, mentre la barca attraccava e Glauco noleggiava due asini per farsi portare ai monumenti, a circa tre miglia. Massima riusciva a malapena a contenere la sua eccitazione ed incitò il suo insensibile asino, fino a schiaffeggiargli il posteriore. Quell’animale non si spicciava per nulla!

Sotto il calore bruciante del sole, si fecero strada lentamente attraverso la sabbia dorata fino alle tre piramidi dalle punte acuminate, tutte esattamente dello stesso colore. Massima si tirò la stola sulla testa per proteggersi dai raggi solari e Glauco si asciugò la fronte. Non c’era un filo d’ombra da nessuna parte ed entrambi sapevano che era solo un assaggio della parte successiva del loro viaggio.

Quando finalmente si fermarono alla base di una piramide e guardarono in su, essa sembrò grande quanto una montagna... solida, formidabile ed impenetrabile. La pietra lucente sfolgorava riflettendo il sole come uno specchio d’ambra. Non c’erano fessure nella pietra, nessun ornamento... solo piatta, solida roccia.

All’improvviso la testa di Massima cominciò a girare ed ella si riparò gli occhi con la mano per cercare un posto più fresco. Ma il sole era allo zenit e gli immensi monumenti non facevano ombra alcuna. Sentendo di essere sul punto di svenire, Massima cercò il fratello. Riuscì solo a vedere forme galleggianti e indistinte che tremolavano nel calore.
- Glauco... - cominciò mentre le ginocchia le cedevano.

Egli l’afferrò poco prima che cadesse e prontamente le fece ombra con un parasole che era andato ad acquistare da un venditore vicino. Le portò una borraccia d’acqua alle labbra ed ella inghiottì l’acqua calda con avidità. Quando ne ebbe bevuta abbastanza, egli versò il resto sul viso e la gola di lei.
- Forse non è stata una buona idea, - borbottò. - Il caldo è eccessivo. - Le fece aria con la mano sul viso e la gola, ed il colore cominciò a tornarle sulle guance. Dopo un po’ egli la issò di nuovo sull’asino e si diresse verso la misera ombra sotto il mento della grande Sfinge. Là, stesero una coperta nell’ombra tra le zampe del leone, sotto il suo mento. Massima giaceva con gli occhi chiusi e Glauco la studiò con preoccupazione.
- Questo è un luogo di morte, - osservò. - Niente può vivere qui.

- Sì, è davvero un luogo di morte, - disse Massima aprendo gli occhi, e si lanciò in una relazione della storia delle piramidi con grande dettaglio.

Glauco sorrise e seppe che sarebbe stata bene. Quando il sole cominciò a tramontare, lanciando lunghe ombre appuntite sulla sabbia, tornarono alla barca, per il breve viaggio di ritorno al ramo del Nilo che li avrebbe portati più a est, nel terribile deserto egiziano.