La Storia
di Glauco: Capitolo 41
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Il forte battere alla porta, la notte seguente, svegliò l’intera insula. Domina Onoria brontolò, gettandosi sulla testa la pesante parrucca castano chiaro e mettendosi una sopravveste sugli abiti da notte. Meglio che fosse importante! Tirarla giù dal letto nel mezzo della notte quando gli schiavi stavano dormendo!
Bang! Bang! Bang!
Ella inciampò nell’atrio buio e la cosa la fece arrabbiare ancor di più.
- Un attimo! Un attimo! Arrivo! - sbraitò. Si fermò alla porta e appoggiò un
orecchio, urlando. - Chi siete? Che volete?
- Aprite in nome dell’imperatore!
Qualche giovanotto ubriaco che sta facendo uno scherzo, pensò lei, facendo
loro il verso.
- Andate via prima che chiami la guardia urbana! - urlò.
- Domina, noi siamo i pretoriani dell’imperatore e dobbiamo entrare qui! Apri la porta!
- Che succede, domina? - chiese Mario dalla soglia della sua porta chiudendosi la veste con una cintura. I suoi riccioli ribelli erano arruffati e gli occhi erano gonfi di sonno.
Onoria lo guardò ansiosamente.
- Pretoriani, dicono.
- Merda, - bofonchiò a se stesso poi si rivolse alla sua padrona di casa. - Chiedi loro che cosa vogliono.
- Che cosa volete? - chiese lei, assicurandosi che la voce non tradisse il fatto di essere intimidita.
Piedi calzati da stivali si scagliarono nel legno.
- Aprite la porta o la butteremo giù!
Mario si avventurò nell’atrio, mentre femmine più anziane in vari stati di
disordine apparivano nel corridoio.
- Oh cara, oh cara, - mormoravano.
- Meglio fare come dicono, domina, - consigliò Mario e si preparò a quello che stava per succedere.
Non appena fu tirato il chiavistello, la porta si spalancò e sei pretoriani in armatura e mantello nero si precipitarono nell’atrio.
Le vecchiette squittirono. Mario inghiottì.
- Dov’è Massimo Decimo Glauco? - interrogò il loro comandante.
Domina Onoria si allungò in tutta la sua
altezza che a malapena raggiungeva il petto dell’uomo.
- Ebbene... sta dormendo direi, come tutte le persone civili a quest’ora della notte.
- Mostraci il suo appartamento.
Onoria gettò indietro la testa in femminile sdegno, poi si raddrizzò la parrucca prima di attraversare l’atrio buio, e laboriosamente fece strada salendo i gradini, con sei impazienti pretoriani che le camminavano alle calcagna.
Sbuffando e sibilando, ella raggiunse il terzo piano.
- Glauco, - chiamò dolcemente, - c’è gente qui che...
Il comandante dei pretoriani la spinse da parte rudemente e martellò sulla porta. Non ci fu risposta.
- Le chiavi! - abbaiò il comandante e le strappò dalla mano di Onoria mentre lei con riluttanza le estraeva dalla veste. La porta finalmente si aprì, i pretoriani piombarono nell’appartamento, le spade sguainate.
Mario rimase con le signore terrorizzate ad osservare dal corridoio mentre gli uomini di Severo spalancavano ogni porta e controllavano sotto e dietro ogni pezzo di arredamento.
- Non è qui! - gridò un pretoriano. - Perquisiamo l’intero edificio - La guardia domandò le chiavi di ogni appartamento, poi i suoi uomini procedettero a perquisirli tutti, ignorando le grida di protesta dall’atrio mentre la mobilia si fracassava contro i muri e tendaggi e indumenti venivano ridotti a brandelli.
- Non è qui, signore, - riferì una guardia al suo comandante, che chiaramente ribolliva di furore. Si rivolse a Mario.
- Tu sei suo amico, non è così?
Mario mantenne il sangue freddo.
- Io ero suo amico.
- Dov’è?
- Non lo so.
- Stai mentendo!
- No. So che lo stavate seguendo. Quand’è stata l’ultima volta che ci avete visti insieme?
Il pretoriano strinse gli occhi ma non rispose.
- Un bel po’ di giorni fa, non è vero? - affermò Mario. - Abbiamo litigato. Non l’ho più visto da allora e non me ne importa.
- Per che cosa avete litigato? - chiese sospettoso il soldato.
- Egli non apprezzava l’onore della mia compagnia. Mi sono stancato di lui.
- E non sai dov’è?
- Non ne ho la minima idea.
L’uomo, minaccioso, fece un passo verso Mario finché si fermò davanti al
giovane, naso contro naso.
- Farai meglio a non mentire.
- Perché dovrei mentire per proteggerlo?
Entrambi gli uomini simultaneamente voltarono le teste, all’improvviso
trambusto all’esterno. Due altre guardie entrarono di corsa.
- Signore, signore! Il suo cavallo non c’è!
Un momento di panico non dissimulato distorse il viso del comandante pretoriano, prima che chiudesse gli occhi per l’ansia. Questa non era una bella notizia, non lo era affatto. Come l’avrebbe spiegato a Plauziano? Avrebbe preferito combattere nell’arena un leone affamato piuttosto che affrontare un Plauziano furibondo. Dopo aver lanciato un ultimo sguardo di impotente minaccia agli abitanti dell’insula, si voltò ed in silenzio uscì dall’atrio, seguito dal resto dei soldati, considerevolmente più tranquilli di quando erano arrivati.
- Che liberazione! - gridò Onoria con ostentazione sbattendo la porta, poi si voltò per accogliere l’ammirazione delle signore cinguettanti.
Mario rimase solo nell’ombra, mentre un lento sorriso gli si allargava sul viso.
Il carro con il nero stallone legato dietro arrivò alla villa vicino Ostia nelle buie ore del primo mattino. I passeggeri discesero velocemente ed il veicolo e i cavalli furono allontanati... Ultor in una parte isolata della proprietà.
Giulia, Apollinario e Glauco attraversarono furtivamente la villa senza
l’aiuto di una torcia, non desiderando allertare qualcuno della loro presenza.
Apollinario chiuse con sollievo la porta al suo appartamento. Stava diventando
vecchio per certi sotterfugi! Giulia entrò nel proprio appartamento con Glauco
subito dietro di lei. Ella chiuse la porta a chiave.
- I servi non sapranno che sei qui, - spiegò. - Sanno che tengo molto alla mia
intimità e non entreranno nel mio
appartamento senza il mio permesso.
Glauco non discusse le sue azioni, proprio come non aveva discusso quando gli aveva chiesto la sua tunica e il mantello neri dandogli in cambio semplici abiti color marrone. Egli aveva percepito l’urgenza di lei quando ella aveva disposto che un servitore, più o meno dell’altezza e del colorito di Glauco, rimanesse a Roma e facesse fugaci apparizioni in vie buie, abbastanza spesso da far credere ai pretoriani che Glauco fosse ancora là. Né le aveva fatto domande quando nel mezzo della notte un servitore era apparso con il suo cavallo davanti all’appartamento di lei, prima che tutti loro partissero immediatamente per Ostia sotto una coltre d’oscurità. Aveva avuto soltanto il tempo di radunare i suoi pochi averi dal proprio appartamento e spiegare brevemente la situazione... per quello che aveva capito... a Mario, che aveva promesso di continuare a cercare Quinto.
Adesso, alla villa di Giulia, lasciò cadere sul pavimento il suo fagotto e si guardò intorno. Non riusciva a vedere molto nell’oscurità, ma percepiva l’enorme dimensione del luogo e lo immaginò molto lussuoso.
- Tu dormirai là, - disse Giulia indicando una camera da letto vicina al soggiorno. - E’ lì che tuo padre dormì quando...
Qualcuno bussò alla porta.
- Mamma? Sei lì? Ho udito arrivare il carro. Perché non c’è luce in casa?
La mano di Giulia volò alla bocca e i suoi occhi si spalancarono.
- Mamma? Ci sei? Papà è con te?
All’improvviso Glauco si ritrovò spinto verso la camera da letto, dove
Giulia disse con un basso mormorio:
- E’ mia figlia Giulia Apollinaria. Non si aspettava che tornassi così presto,
e di sicuro non si aspetta un visitatore. Noi... non abbiamo mai visitatori.
Devo andare a parlarle. Tu mettiti comodo. - Poi ella uscì dalla stanza e
chiuse la porta.
Glauco si mise le mani sui fianchi e pensò a quello che era appena accaduto. Giulia si stava certamente comportando in modo strano da quando aveva scoperto che l’imperatore lo stava facendo seguire. Ora sembrava allarmata che sua figlia sapesse che lui era lì. O era allamata che egli sapesse che lei aveva una figlia? Perché doveva interessargli se lei e Apollinario erano genitori? Si chiese, brevemente, se la figlia fosse bella come la madre.
Era stanco, comunque, e poteva aspettare fino all’indomani per scoprire che cosa stava succedendo. Si sedette sul letto. Suo padre aveva dormito qui... proprio in questo letto. Si stiracchiò soddisfatto e ben presto si addormentò.