La Storia di Glauco: Capitolo 40

 

Capitolo 40 - La sabbia

Mario corse alla porta non appena la udì aprirsi.
- Che cosa è successo? Sei stato via così a lungo che cominciavo a preoccuparmi. Che cosa è successo?

- Rilassati, Mario. Sto bene…

- Non hai un bell’aspetto. Che cosa ti è successo alla mano?

- E’ stato un incidente. Non è nulla.

- Dimmi che cosa è successo. Hai scoperto qualcosa?

- Sì… molte cose. Siediti e te le racconterò. - Nelle ore successive Glauco rivelò ad uno stupefatto Mario tutti i dettagli della sua conversazione con Giulia.

- Tutte le volte che sono stato al Colosseo, - disse Mario scuotendo il capo, - e non avevo idea… non avevo idea.

- Ci andrò domani con Giulia.

- Vengo con te.

- Mario, c’è qualcosa di ben più importante che puoi fare per me, se vorrai.

- Che cosa?

- Scoprire dov’è Quinto. Mi deve dire che cosa accadde a mio padre poco prima del combattimento con Commodo… e poi lo ucciderò.

 

 

 

Glauco arrivò al Colosseo circa un’ora prima dell’appuntamento che aveva con Giulia. Ecco il luogo in cui suo padre era morto venti lunghi anni prima… assassinato in realtà, da chiunque gli aveva inferto quella ferita prima del combattimento. L’edificio era solido, forte e imponente proprio come egli aveva immaginato che fosse suo padre. Era appropriato che suo padre fosse morto qui, piuttosto che in qualche foresta germanica o riverso sulla sommità di due tombe… o in una lugubre prigione. Era morto da uomo potente e venerato. Da eroe.

Glauco si mescolò tra la folla, assorbendo l’atmosfera del luogo mentre aspettava Giulia. Si appoggiò contro l’enorme arco di travertino e osservò i cittadini entrare ed uscire discutendo animatamente i meriti di questo o quel gladiatore, o quanto avevano vinto o perso. Notò un ragazzo che indugiava vicino all’arcata opposta, poi lo vide affondare nellla pietra un chiodo di ferro ricurvo. Il ragazzo non vide che Glauco lo stava osservando, tanto era concentrato sul suo compito di sfregiare il muro del Colosseo. Curioso, Glauco gli si avvicinò.
- Che cosa stai facendo?

Il ragazzo fece un balzo indietro, il panico dipinto sul viso sottile.
- N… niente, signore.

- Non ti spaventare, sono soltanto curioso. - Glauco si chinò ed esaminò i segni appena incisi. - Chi è Flamma? - chiese al ragazzo.

- Beh, è solo il miglior gladiatore che ci sia, ecco, - rispose il ragazzo, il petto magro spinto in fuori come per rispondere ad una provocazione. - Può uccidere un centinaio di uomini in una sola volta.

Glauco annuì e nascose un sorriso.
- Perché hai inciso il suo nome nel muro?

Il ragazzo guardò Glauco come se fosse pazzo.
- Lo fanno tutti… scrivere i nomi dei loro preferiti. Lo fanno tutti, - ripeté, sulla difensiva.

Glauco si chinò e guardò di nuovo il muro. Sicuramente vi erano stati incisi i nomi di altri gladiatori, spesso sovrapposti, dato che le generazioni successive non si curavano degli eroi del passato.

- Le femmine sono le peggiori, - disse il ragazzo con un sogghigno beffardo. - Scrivono scemenze come: quanto è bello un gladiatore… o quanto eccitante. - Sputò a terra con disgusto. - L’unica cosa che importa è quanti uomini può uccidere.

- Conosci bene questi muri?

- Eh?

Glauco guardò il ragazzo.
- Hai mai visto il nome ‘Massimo’ inciso in essi?

Il viso del ragazzo s’illuminò.
- Soltanto un centinaio di volte… più di qualunque altro gladiatore. Vieni con me e te lo mostrerò. - Condusse Glauco attraverso il corridoio arcuato finché raggiunsero la zona dove erano collocate le celle da esposizione. - Guarda… qui. - Fece un gesto col braccio, indicando a Glauco che poteva guardare in qualunque direzione.

Glauco esaminò l’area dove la luce del sole irrompeva dal muro arcuato e lo vide chiaramente… il nome di suo padre scarabocchiato da dozzine di mani diverse con messaggi di amore e devozione imperituri. Tese la mano con dita tremanti e delicatamente tracciò le lettere con i polpastrelli… la prova tangibile della presenza di suo padre in quel luogo.

- Ti senti bene, signore? - chiese il ragazzo osservando Glauco con curiosità. - Il mio papà ride quando parlo di Flamma. Dice che Massimo fu il più grande di tutti i tempi.

Glauco si mosse lentamente lungo il muro, permettendo alle sue dita di accarezzare la pietra. Massimo. Era ovunque. Massimo. Massimo. Massimo. Glauco trasse un respiro incerto. Doveva riprendere il controllo di sé.
- Queste celle… è qui che tenevano i gladiatori?

- Uh-uh. Qualche volta portavano qui i gladiatori così che la gente potesse guardarli bene. Dovresti vedere che folla qui attorno quando succede. Non riesci ad avvicinarti.

Glauco afferrò le sbarre e sbirciò nella cella buia. Era vuota, salvo che per una panca di legno attaccata alla parete posteriore. Ecco dove era stato seduto suo padre quando Giulia lo aveva visto la prima volta a Roma. Rabbrividì.

- Stai bene, signore? - chiese di nuovo il ragazzo.

- Perché qui non ci sono gladiatori, adesso?

Il ragazzo guardò Glauco come se non riuscisse a credere alla stupidità di quell’uomo.
- Perché sono nelle celle all’interno dell’arena. E’ lì che vengono tenuti la maggior parte del tempo. O lì o alla scuola.

- Quale scuola?

Il ragazzo roteò gli occhi.
- Non sai proprio niente sui gladiatori?

- A parte quello che fanno quando combattono… suppongo di no.

- La scuola è dove i gladiatori vivono e si allenano. Ce n’è una proprio laggiù. - Il ragazzo indicò l’altro lato del foro. Socchiuse gli occhi e sollevò la testa. - Ti ci porto e te la mostro… se vuoi.

Glauco colse l’allusione e cercò nel suo abito qualche moneta. Ne porse qualcuna al ragazzo.
- Suppongo che sia più che sufficiente per una visita guidata.

Gli occhi del ragazzo si spalancarono e prontamente voltò la schiena e le ripose in un luogo sicuro e segreto. Poi ringraziò Glauco con un sorriso e fece un cenno con il braccio.
- Seguimi.

Scansarono la folla attraversando il foro e il ragazzo si fermò davanti a robusti cancelli con sbarre di ferro. All’interno c’era uno spazio aperto dove uomini corpulenti vestiti di semplici tuniche brandivano spade di legno, sorvegliati da uomini armati.
- Vedi, - disse il ragazzo compiaciuto. - Qui è dove vivono.

Il cortile era circondato da piccole celle di pietra, ognuna con una porta e finestre a sbarre.
- Chi è il proprietario di questo posto? - chiese Glauco al ragazzo.

- Nessuno. Non di questo, almeno. I proprietari di gladiatori possono affittarne lo spazio per la loro squadra mentre sono a Roma. Molte squadre di gladiatori possono trovarsi qui nello stesso tempo.

- Sai se Massimo viveva qui?

- Massimo? Non lo so, ma Flamma vive qui.

Glauco sorrise.
- Ci sono altre scuole di gladiatori a Roma?

- Molte, ma sono tutte proprietà privata di uomini ricchi e non ci si può avvicinare ad esse. - Il ragazzo e il giovane rimasero in silenzio per un po’ osservando gli uomini allenarsi.

- Signore?

Glauco annuì ad indicare che aveva udito.

- Devo andare.

- D’accordo, grazie…? - Glauco sollevò le sopracciglia con aria interrogativa porgendo la mano al ragazzo.

- Mi chiamo Druso, ma mi faccio chiamare Flamma.

Glauco rise.
- Grazie, Flamma. Spero che il tuo uomo vinca.

Ma la curiosità del ragazzo non era soddisfatta.
- Conoscevi Massimo?

Glauco prontamente si dominò.
- No… non l’ho mai conosciuto.

- Oh. Sembrava che per te era veramente speciale.

Glauco si limitò a voltarsi per guardare di nuovo la scuola di gladiatori, non volendo incoraggiare quel tipo di domande. Con un ultimo sguardo incuriosito, il ragazzo corse via, perdendosi in fretta nella folla.

 

 

 

Giulia sorrise in segno di saluto mentre Glauco si avvicinava. Era seduta vicino alla porta esterna della taverna dove egli aveva recentemente cenato con Mario, e accanto a lei c’era Apollinario. Egli prese la mano dell’uomo anziano e la strinse calorosamente.

- Temevo che fossimo in ritardo, - disse Giulia, - ma sembra che siamo arrivati prima di te.

Glauco sorrise prendendo una sedia.
- In verità ho girato un po’ i paraggi. Ho trovato le celle dove per la prima volta vedesti mio padre da gladiatore… e un ragazzino mi ha mostrato la scuola dei gladiatori dall’altro lato del foro. Credo che fosse quella in cui stava mio padre.

- Sì, lo è.

- Gli hai mai fatto visita là?

- No… ci provai, ma Proximo non voleva che mi avvicinassi a Massimo.

Glauco notò la tristezza nei suoi occhi. Quei tempi dovevano essere stati estremamente difficili per lei.
- Sei riuscita a prendere accordi? - chiese lui.

- Sì. Non c’è davvero nulla che il denaro non possa comprare. Ci sarà permesso di entrare nell’arena dopo che l’ultimo combattimento avrà fine. - Giulia studiò il viso tirato di Glauco. - Sei sicuro di volerlo fare?

Egli annuì.

- Bene… Sono contenta che non hai voluto vedere un combattimento perché non penso che avrei potuto sopportarlo.

- So come combattono i gladiatori. Li ho visti molte volte nelle arene in Ispania.

Apollinario alzò la mano solcata di vene per fermare la conversazione.
- Scusatemi… so che i miei occhi sono vecchi… ma quei due uomini laggiù stanno fissando noi?

Glauco lanciò loro un’occhiata poi guardò di nuovo Apollinario.
- Mi stanno seguendo da quando ho lasciato la Germania.

- Ma perché mai? - chiese l’uomo anziano.

- Non lo so con certezza, ma sono spie dell’imperatore.

- L’imperatore! - esclamò Giulia, allarmata.

- Sì… in realtà non mi danno fastidio e avevo quasi dimenticato che ci sono. Mi dispiace se la cosa ti disturba. Avrei dovuto dirtelo. - Glauco notò il crescente disagio di lei. - Giulia… Giulia, cosa c’è che non va?

Apollinario tese una mano alla moglie, che sedeva pallida in volto con i gomiti sul tavolo e le mani a coprire la parte inferiore del viso. Respirava affannosamente.

- Io… mi dispiace, - balbettò di nuovo Glauco scusandosi. - Avrei dovuto dirtelo. Non pensavo che fosse importante.

- Dobbiamo andarcene, - ansimò Giulia.

- Non possiamo andarcene, - protestò Glauco. - Voglio vedere dove morì mio padre.

- Giulia, cosa c’è che non va? - chiese Apollinario. - Non è da te. Cosa c’è che non va?

Ma Giulia ignorò il marito e freneticamente chiese a Glauco.
- Sanno che sei stato al mio appartamento?

- Sì… suppongo. Oh merda, mi dispiace, Giulia. Non avevo intenzione di trascinarti in qualche grana.

- Hai una qualche idea di che cosa stai parlando? - sibilò lei, con rabbia.

- Cos.. - sbottò Glauco. - Io… non capisco.

- Dobbiamo andarcene, - ripeté Giulia.

Glauco capì che era davvero spaventata. Apollinario, completamente senza parole, riusciva solamente a darle piccole pacche sulla schiena come se fosse una bambina sconvolta.

Lentamente, Giulia riprese il controllo delle sue emozioni.
- D’accordo, Glauco. Entreremo nell’arena... ma poi tu dovrai fare esattamente quello che ti dirò e senza far domande. Capito? Niente domande.

Egli annuì in silenzio.

I tre sedettero in silenzio, confusi e ansiosi, ascoltando mentre le acclamazioni dall’altra parte del muro gradualmente svanivano e il fiume di gente che si riversava fuori dell’arena diveniva un ruscelletto.

Infine Giulia disse con calma:
- Venite. E’ il momento. - Camminarono lentamente, a causa dell’artrite di Apollinario, verso l’entrata settentrionale dell’arena e lì furono salutati dall’ufficiale incaricato della visita.

Del denaro passò di mano e l’uomo disse:
- Seguitemi. - Entrarono nell’interno profondamente in ombra e Glauco riuscì a fatica a vedere qualcosa, finché i suoi occhi non si abituarono alla fievole luce. La loro guida tuttavia non rallentò, ed essi attraversarono un corridoio dopo l’altro finché salirono alcuni gradini ed emersero nella debole luce pomeridiana del sole che gettava lunghe ombre sul suolo dell’arena.

Glauco si fermò, sbalordito. Non avrebbe mai immaginato che l’interno potesse essere così vasto. Restò a bocca aperta davanti alla struttura e ascoltò solo per metà la guida che offriva un commento riguardo l’edificio: più di cinquantamila spettatori; il podium per l’imperatore, i dignitari importanti e le vergini Vestali; il velarium, ora ripiegato, usato per proteggere gli spettatori dal sole cocente[1]. Glauco fissò il pavimento a forma ovale dell’arena, situato ad una considerevole distanza al di sotto dei posti a sedere. Alle estremità dell’asse lungo c’erano due accessi...

- L’entrata sud-orientale è chiamata Porta Libitinaria, - spiegò la guida, - e attraverso di essa vengono portati via i gladiatori morti...

Ecco, pensò Glauco, da dove era stato portato via il corpo di suo padre, sulle spalle dei suoi compagni liberati.
- Possiamo andare là? - chiese.

- Ecco... non è cosa usuale.

Giulia esibì il suo sorriso più abbagliante.
- Sono certa che non v’è alcun male in questo.

La guardia si addolcì.
- Va bene, andiamo pure.

- Io aspetterò qui, se non vi dispiace, - disse Apollinario. - Non credo di poter fare quei gradini.

La guida condusse Giulia e Glauco di nuovo nell’interno dell’arena e giù per qualche gradino di pietra fino al livello dell’arena. Camminarono lungo un corridoio ricurvo fnché raggiunsero l’estremità nord-occidentale dell’arena.
- Mi spiace, - disse la giuda, - ma dobbiamo scendere un altro livello per avere accesso alla Porta. Seguitemi.

Mentre discendevano, l’aria divenne decisamente più fresca e umida. L’unica luce proveniva da alcune torce accese sulle spesse pareti di pietra. Giulia rabbrividì e Glauco le prese la mano e gliela strinse forte. Non era certo se per confortare lei o se stesso. Era un luogo tetro... il luogo dove venivano tenuti i gladiatori. Qui non c’era incenso a mascherare gli odori di morte; la luce del sole non arrivava ad offrire conforto e calore. C’erano bassi soffitti di pietra, pesanti travi di legno, corde e pulegge che alzavano ed abbassavano piattaforme, anelli e catene di ferro assicurati alle pareti, un sostegno di legno con alcuni giavellotti sistemati in verticale, un’incudine e martello, ceppi, un elmo solitario messo sottosopra sul ruvido pavimento di sabbia. Il distante ruggito di leoni risalì gli scuri gradini dalle budella dell’edificio. Era un luogo orribile.

- Non mostriamo al pubblico, normalmente, questo livello, - si scusò la guida. - Soltanto prigionieri e gladiatori, ed i loro allenatori l’hanno visto. Anche le guardie, naturalmente. - Indicò una rampa. - Ecco l’entrata. - Gridò ad un giovane manovale: - Apri le porte! - Esse si spalancarono con un gemito e la luce lentamente illuminò la cavità dove essi si trovavano. La guida cominciò a salire la rampa. - Ecco dove... - Si fermò. - Mia signora, ci siete?

Ma Giulia e Glauco erano inchiodati al loro posto, fermi in piedi dove era stato Massimo, vedendo quello che lui aveva visto, sentendo gli odori terribili di morte che lui aveva sentito... provando il terrore che egli doveva aver provato prima di ogni combattimento.

- Mia signora? - chiese di nuovo la guardia.

Giulia e Glauco lentamente seguirono l’uomo su per la rampa e avanzarono sulla sabbia dell’arena, sempre tenendosi per mano.
- Grazie per il tuo aiuto, guardia, - disse Giulia quietamente. - Ora vorremmo fare un po’ un giro qui intorno.

L’uomo esitò, poi ricordò le monete d’oro che Giulia gli aveva dato. 
- D’accordo, ho delle cose da fare. Lascerò aperta questa porta affiché troviate l’uscita. Non attardatevi troppo. Il posto è chiuso. - Egli scomparve di nuovo giù dalla rampa, con un rumore sordo di stivali sulla pietra.

L’arena era sembrata grande dalle gradinate, ma dal suolo era assolutamente immensa. Apollinario fece loro un cenno con la mano dai posti all’estremità opposta e sembrò minuscolo.

- Massimo deve essersi sentito sopraffatto la prima volta che è entrato da quella porta, - disse Giulia in un sussurro quasi inudibile.

Glauco annuì. Era certamente così che si sentiva anche lui, e lui non stava per affrontare la morte.
- Dov’è accaduto? - chiese, non avendo bisogno di spiegare che cosa intendeva.

- Vicino al centro.

Glauco cominciò a camminare più addentro l’arena, affondando i sandali nella sabbia ruvida. Si fermò quando si sentì tirare il braccio.

- Vai tu, Glauco. Io non ce la faccio. - Il volto di Giulia era pallidissimo.

Egli le baciò la mano poi la lasciò andare e si diresse lentamente verso il centro, voltandosi in cerchi graduali per avere il pieno impatto del luogo.

Giulia cominciò a tremare.

Glauco notò il podium con il pulvinare dell’imperatore e vi si diresse. Al centro stava un trono dorato protetto dal sole da un baldacchino. Alzò lo sguardo su di esso, proprio come doveva aver fatto suo padre e riuscì quasi a vedervi seduto un giovane imperatore con accanto la graziosa sorella. Riuscì quasi a udire... il ruggito della folla mentre Massimo fissava torvo Commodo, poi egli prendeva la spada e si preparava a combattere qualunque nemico avesse incontrato. Glauco immaginò di poter vedere gli spettatori in piedi ad applaudire, urlando la loro devozione al famoso gladiatore.

Le acclamazioni illusorie svanirono mentre egli si voltava, ed un anello di pretoriani dai neri mantelli si materializzava al centro dell’arena. Glauco sbatté le palpebre. Non c’erano davvero e lui lo sapeva, ma riusciva a vederli chiaramente come se ci fossero stati. Mentre lentamente si avvicinava alle fantomatiche guardie, un corpo apparve sulla sabbia. Era Commodo, morto e sanguinante. Glauco si mosse con cautela verso il corpo, ma si fermò quando un improvviso brivido gli strisciò lungo la schiena, facendogli rizzare i capelli. Si fermò paralizzato. Suo padre era lì... proprio di fronte a lui... sanguinante, vacillante, morente. Suo padre. Tese una mano al gladiatore in fin di vita proprio mentre Massimo crollava. Glauco urlò, “NO!” e corse verso l’uomo caduto, inginocchiandosi sulla sabbia. Tese una mano verso suo padre e afferrò, invece, un pugno di sabbia. Affascinato, la guardò scorrere lentamente tra le dita gonfie e contuse... questa sabbia che aveva assorbito il sangue di suo padre... la vita di suo padre. Affondò entrambe le mani nella sabbia e lasciò che i ruvidi grani gli passassero tra le dita e giù per gli avambracci. Poi lentamente strofinò le mani una contro l’altra e chiuse gli occhi portandosi al naso le dita impolverate. Udì il grido di Giulia in lontananza. Alzò lo sguardo. Era solo... non c’erano pretoriani, non c’era l’imperatore, non c’era Massimo. Gettò indietro la testa e gridò la sua agonia alle vuote gradinate, e il grido angosciato riecheggiò in ogni angolo dell’edificio. Poi crollò a terra, il viso premuto contro la sabbia, singhiozzando.

Giulia corse da lui e gli si gettò addosso, abbracciandolo, mescolando le proprie lacrime a quelle di lui.



[1] Un sito davvero interessante dove si possono trovare molte informazioni e foto sul Colosseo è http://www.colosseo.org/colosseo (N.d.T.)