La Storia di Glauco: Capitolo 35

 

Capitolo 35 - La partenza, 180 d.C.

Per il resto della settimana Giulia e Massimo si crogiolarono nella compagnia reciproca trascorrendo lunghe ore da soli nell’appartamaneto di lei o alla nave o nella spiaggia appartata. Apollinario li vedeva di rado e niente gli era più gradito. La gloriosa luminosità sul viso di Giulia quando li vedeva di sfuggita gli rivelava tutto quello che aveva bisogno di sapere. La risata profonda e trascinante del generale ed i serici sospiri di Giulia rischiaravano la villa, e tutti coloro che li udivano camminavano con passo più leggero, l’umore sollevato dalla gioia contagiosa della giovane coppia. Il cuore di Apollinario spiccava il volo... ma per precipitare a terra quando ricordava a se stesso ciò che sicuramente stava per accadere.

 

E che accadde fin troppo presto.

 

Il bussare martellante alla porta principale risuonò per tutto l’atrio ed un servitore accorse a rispondere. Il cuore colmo di terrore, Apollinario guardò dal cortile. La porta si spalancò con tale forza che il servitore fece un salto indietro per evitare di farsi colpire. Essa sbatté contro il muro e rimbalzò, poi fu bloccata dallo stivale di una guardia armata. Un uomo, basso e barbuto, superò la guardia ed entrò nell’ombra dell’atrio, poi altri tre uomini completamente armati si appostarono alla porta.
- Sono venuto a riprendere il mio gladiatore! - annunciò con voce minacciosa come una tempesta imminente. - Chiama la tua padrona! - ordinò al servitore che sgattaiolò via come un cane preso a calci.

 

Apollinario si fece forza e uscì per affrontare quell’uomo arrabbiato.
- Posso aiutarti? - chiese con quasi assurda cordialità.

 

- Sì, puoi aiutarmi. Ridammi il mio gladiatore. E’ stato qui più a lungo di quanto concordato e i giochi sono ricominciati. Lo rivoglio immediatamente. Deve combattere oggi pomeriggio.

 

Apollinario sorrise e chinò la testa in segno di saluto.
- Proximo, bentornato a...

 

Proximo avanzò fermandosi direttamente di fronte all’uomo dai capelli bianchi.
- Ah, sì, - disse con voce strascicata. - Mi ricordo di te. Sei l’uomo che ha preso accordi per questa visitina... l’uomo che ha affittato il mio gladiatore... - Proximo lanciò un’occhiata alle sue guardie, -...per conto della sua padrona, mi è stato detto.

 

- Sì... è andata così.

 

Proximo scansò Apollinario con un gesto della mano e si diresse con fermezza verso il cortile e la biblioteca di là da quello. - Mi devi un bel po’ più denaro di quanto originariamente ci accordammo.

 

- Sarai pagato per intero, - Apollinario gridò a Proximo mentre questi attraversava il cortile. - Il generale non è in biblioteca, signore.

 

Proximo si fermò e si voltò.
- Allora portamelo qui subi...

 

Una porta nell’atrio si aprì.
- Che c’è, Apollinario? Cos’è tutto questo rumore? - chiese Giulia... poi il suo sguardo si posò su Proximo ed ella raggelò.

 

Proximo arcuò un sopracciglio e accennò un rapido inchino.
- Bene, mia signora. La tua bellezza non è stata esagerata. - Ma egli era interessato soltanto a Massimo e squadrò il gladiatore dalla testa ai piedi con occhi esperti quando Massimo si mise protettivo alle spalle Giulia. - Dov’è la tua armatura? Dobbiamo andarcene. Oggi dovrai combattere.

 

- No, - mormorò Giulia afferrando la mano del suo amante. Egli le avvolse un braccio intorno alla vita e la tenne stretta al suo fianco.

 

- Che scenetta toccante, - disse Proximo con leggero sarcasmo e sollevò le sopracciglia con aria saputa. - Prendi la sua armatura, - ordinò al tremebondo servitore. - Appartiene a me e io non rinuncio mai a niente che mi appartenga. - Il suo sguardo si fissò deliberatamente in quello di Giulia. - Ispanico... entra nel carro.

 

Tremante, Giulia cercò di fare un passo avanti per affrontare Proximo, ma Massimo la trattenne.
- Giulia, - sussurrò, - non dire nulla. Me ne devo andare. Ne abbiamo parlato... non peggiorare le cose. - Le sue parole gentili avevano un tono di avvertimento.

 

Ella aprì la bocca per parlare, ma ne uscì soltanto un singhiozzo soffocato. Trasse un profondo respiro esitante e riprese:
- Tu sai chi è quest’uomo in realtà, Proximo. Non puoi tenere schiavo un generale romano.

 

- Posso e lo farò, - replicò Proximo con esagerata cortesia. - Era uno schiavo mezzo morto quando lo comprai... non un generale.

 

- Marco Aurelio lo favoriva...

 

- Marco Aurelio è morto. Commodo è l’imperatore, adesso. Commodo non lo favorisce.

 

Il servitore ritornò con l’armatura di cuoio e si diresse verso Massimo, ma Proximo allungò una mano e l’afferrò. - Ho detto che appartiene a me, adesso entra nel carro, Ispanico.

 

- Mi serve qualche istante, Proximo, - dichiarò Massimo con la calma autorità di un generale.

 

- Non c’è tempo. Verrò pagato quando ce ne andremo. - Si voltò verso Giulia con aspettativa e tese la mano. - Signora?

 

- Provvederò io al pagamento, - borbottò Apollinario quando Giulia sembrò incapace di muoversi.

 

- Mi dispiace, - sussurrò Massimo nei capelli setosi di Giulia, mentre Apollinario andava rapidamente in biblioteca.

 

Ella scosse il capo in silenzio, gli occhi spiritati, poi si staccò da Massimo con energia e si fermò tra il padrone e lo schiavo, gli occhi che sfrecciavano dall’uno all’altro. Lentamente, riprese la padronanza di sé fino ad apparire composta e calma malgrado il turbamento interiore.
- Voglio comprarlo, - disse a Proximo.

 

Massimo aggrottò la fronte. Proximo rise.
- Non è in vendita, signora. Come ho detto, sono venuto a reclamare ciò che è mio.

 

- Ti pagherò qualunque somma chiederai. Fai il tuo prezzo.

 

Ritornando dalla biblioteca, Apollinario si arrestò come se avesse messo radici nelle mattonelle del cortile, la busta in mano, sbalordito dall’offerta in bianco di Giulia.

 

Proximo scosse la testa.
- Signora...

 

- Qualunque cifra, Proximo. Pagherò qualunque cifra per lui.

 

Proximo arricciò le labbra ed incrociò le braccia osservando l’attraente giovane donna.
- Oh, oh... così ti ha proprio soddisfatta, eh? - Rivolse uno sguardo ridente al suo schiavo. - Ben fatto, Ispanico, ben fatto. Un altro tuo talento che potrò sfruttare quando torneremo a Roma.

 

Massimo mantenne un austero silenzio.

 

Giulia non fece alcun tentativo di nascondere la nota di disperazione nella voce.
- Tutto. Ti darò tutto quello che possiedo... la mia villa... la mia flotta di navi... il mio appartamento a Roma. Massimo non potrebbe mai guadagnare tutto quel denaro per te, nemmeno se vivesse due volte.

 

Apollinario era ammutolito. Entrò velocemente nell’atrio, con la busta dimenticata penzolante tra le dita.

 

Per la prima volta Proximo sembrò sinceramente intenerito e la sua voce si addolcì per la comprensione.
- Mia signora, lasciami spiegare. La tua offerta è davvero generosa e per qualsiasi altro schiavo avrei accettato prontamente. Ma non venderò Massimo, qualunque sarà la somma che mi offrirai. Vedi, i patrizi romani mi hanno già offerto molto di più per lui. Ma in Massimo ho trovato qualcosa che per me vale molto più di qualsiasi villa, appartamento, nave o somma di denaro. - L’uomo tenne fermo su di lei lo sguardo grave. - Ho ottenuto l’invidia ed il rispetto di ogni patrizio proprietario di gladiatori dell’impero. Oh, ci sono uomini che possiedono migliaia di gladiatori e possono permettersi di equipaggiarli con armature d’oro. Io, ahimé, non posso. Sono un semplice ex gladiatore che si è guadagnato la libertà e ha aperto una sua piccola scuola. Sono riuscito a trarne un guadagno sufficiente per vivere, ma sono stato deriso da uomini di buona famiglia con grandi scuole che vantavano una gran quantità di campioni. - Osservò Massimo, che mantenne il suo rigido silenzio. - Poi mi sono imbattuto in quest’uomo, ed ora ho qualcosa che per me è molto più importante di qualsiasi somma di denaro... l’invidia ed il rispetto dei patrizi che prima non si sarebbero mai abbassati a rivolgermi la parola. Niente di quello che tu puoi offfrirmi può equivalere a questo. Capisci, signora? - Proximo sembrava quasi dispiaciuto per la giovane affranta davanti a lui. Lanciò l’armatura di cuoio a Massimo, che la prese con riluttanza, poi accettò la busta da Apollinario.

 

- Proximo, ho bisogno di stare un momento da solo con lei, - insisté Massimo facendo cadere l’armatura ai suoi piedi. - Soltanto un momento, - chiarì quando il suo padrone sembrò poco incline a concederglielo.

 

Ma il lanista annuì seccamente.
- Aspetteremo fuori. Non metterci troppo. - Lui e le guardie uscirono in fila lasciando Massimo da solo con Apollinario e Giulia.

 

L’uomo canuto avanzò ed afferrò le spalle di Massimo.
- Mi mancherai, amico mio. Sei un grand’uomo e io sono onorato di conoscerti. Io... ti auguro buona fortuna a Roma. - Apollinario abbassò lo sguardo mentre i suoi occhi si rannuvolavano e uscì in fretta dall’atrio, lasciando soli i due amanti.

 

Giulia stava ferma di fronte alla biblioteca con Massimo alle spalle, il corpo rigido e i pugni stretti. Sembrava sul punto di andare in frantumi non appena sfiorata.

 

- Giulia? - Massimo sussurrò vicino all’orecchio di lei. - Mi dispiace. Mi dispiace se ti ho portata a credere che poteva finire in un altro modo.

 

- Non è stato niente di quello che hai detto, Massimo. Mi sono illusa nel credere che avremmo potuto avere una vita felice insieme... che il nostro amore avrebbe... potuto in qualche modo... - la voce le mancò ed ella chinò la testa mentre i singhiozzi le scuotevano il corpo. Si voltò e si gettò tra le braccia in attesa di lui. - Oh, Massimo, oh, Massimo, non posso vivere senza di te, - pianse nel suo collo aggrappandosi alle sue spalle, quasi cercando di insinuarsi e fondersi nel corpo di lui.

 

Massimo seppellì il volto nei suoi capelli, la voce malferma.
- Giulia... sapevamo che sarebbe finita così. Lo sapevamo.

 

- Non lo rende per niente più facile.

 

- No... no, infatti, - sussurrò prima di baciarle la bocca con dolorosa intensità. Poi staccò dal proprio collo le braccia di lei e si separò da lei. - Devo andare.

 

Giulia non fece alcun gesto per fermarlo, tuttavia affermò con convinzione:
- Anch’io verrò a Roma... con il mio calesse. Sarò proprio dietro al tuo carro. Massimo, sarò nell’arena ogni volta che combatterai. Non sarai mai solo perché io sarò con te. Sempre.

 

- Sbrigati, Ispanico, prima che ti faccia mettere i ceppi! - ordinò Proximo da dietro la porta.

 

Massimo lo ignorò.
- Giulia, resta qui. Resta lontana da Roma, - implorò. - Non vi sarà altro che dolore, per te, laggiù.

 

- No. Voglio stare dove sei tu, sarò là con te... ogni giorno. - La sua voce soffocò nelle lacrime.

 

Massimo l’afferrò gentilmente per le spalle.
- Sarebbe stato meglio se tu non mi avessi visto combattere. Non posso garantire un risultato positivo. - Abbassò la voce ad un sussurrio appena udibile. - Tu sai quello che devo fare.

 

Giulia gli prese il viso tra le mani a coppa.
- Massimo, se c’è un solo modo perché tu possa portare a termine quello che devi e... e vivere... promettimi che ritornerai da me.

 

- E’ molto improbabile, Giulia.

 

- Massimo... ti prego. Promettimi che se riesci a trovare un modo per uccidere Commodo e salvare la tua vita, lo farai. Promettimelo.

 

- Sì... promesso. - Egli prese le mani di lei tra le sue e se le portò alle labbra, baciando gentilmente ogni dito delicato. Poi la lasciò andare e si voltò, camminando lentamente verso l’entrata, con il contegno di un generale che affronti una battaglia temuta, ma da lungo tempo anticipata.

 

- Ti amo, Massimo.

 

Egli si voltò sulla porta, gli occhi colmi di tenerezza e rimpianto.
- Promesso, - sussurrò. Poi se ne andò.

 

Giulia si sentiva prosciugata... esangue, priva di ossa, senza vita, senz’anima. Non era altro che una conchiglia piena di sabbia anziché di forza vitale.

 

All’esterno, Massimo andò deciso verso il carro, si buttò dentro e sedette con la schiena rivolta alla villa. Non poteva sopportare di guardarla attraverso le sbarre. Quando il portello non si chiuse come si aspettava, egli voltò la testa. Proximo stava là, e guardava con attenzione il suo gladiatore.
- Mi dispiace, Massimo, - disse calmo mentre lentamente chiudeva con il catenaccio.

 

Giulia rimase ferma nell’atrio finché udì chiudersi il portello del carro, a malapena conscia che Apollinario era accanto a lei. Udì il conducente richiamare i cavalli e lo scricchiolio delle ruote di legno sulla ghiaia, mentre il carro riportava Massimo al Colosseo e di nuovo alla schiavitù.

 

- Apollinario, - disse Giulia con calma determinazione. - Si va a Roma.