La Storia
di Glauco: Capitolo 33
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Capitolo 33 - La nave, 180 d.C.
Giulia e Apollinario dalla terrazza osservavano
Massimo vagare in giardino senza una meta. Precedentemente, egli aveva gironzolato
nella biblioteca e bighellonato nel cortile.
- Tornerà. Gli serve solo un po’ di tempo, - Apollinario
cercò di rassicurare Giulia.
- Non ne abbiamo, di tempo. Anche lui lo sa e sta cercando di tenersi lontano da me per
non ferirmi.
Apollinario era sorpreso.
- Ferirti? Non ti ferirebbe mai.
- Crede che mi ferirà amandomi. - Gli occhi di Giulia
luccicarono di lacrime vicine a traboccare. - Ha talmente bisogno di amare, ma
non si permetterà questo essenziale bisogno umano perché ha paura di ferirmi. Invece, ferirà
soltanto se stesso.
Apollinario sentì il bisogno di spiegare le azioni di
Massimo, pensando che fossero del tutto altruistiche.
- E’ un uomo abituato a mettere le vite e gli interessi degli altri davanti ai
propri. Non conosce altra regola. Lui è così, ed per
questo che lo ami.
- Lo so. - Giulia osservava Massimo che, fermo su un sentiero
del giardino, aveva lo sguardo fisso nel vuoto, e i raggi del sole giocavano
sui suoi capelli scuri e sulle ampie spalle.
- Perché non vai tu da lui? -
suggerì Apollinario.
- Perché si limiterebbe a mandarmi
via, in un modo o nell’altro. - Giulia si asciugò gli occhi e si voltò verso
l’uomo accanto a lei. - Apollinario, devo portarlo lontano da qui... lontano
dai ricordi di guardie e catene. Aiutami.
Apollinario sospirò, una ruga di preoccupazione sulla
fronte. Gradualmente la preoccupazione si dissolse, sostituita da un sorriso
malizioso. - Ho un’idea.
Pochi minuti dopo Giulia si precipitava nella sua stanza da
letto, il viso acceso di speranza mentre Apollinario si dirigeva alle scuderie.
- Generale! Generale Massimo!
Massimo camminò fino in fondo al sentiero e nella strada di
ghiaia trovò ad attenderlo Apollinario che tratteneva un magnifico stallone
baio, sellato e scalpitante. Massimo sorrise all’uomo che con aria guardinga teneva
le redini del focoso animale, e con sicurezza afferrò le briglie prima di
accarezzare il muso vellutato del cavallo.
- E’ tuo? - chiese ad Apollinario.
- Oh... no, no, io non cavalco, generale. Ma
credo che a te piacerebbe molto. - Apollinario mantenne un tono di voce casuale,
come se offrire uno stallone ad uno schiavo che era in realtà un generale romano
fosse qualcosa che faceva ogni giorno. - C’è una gran parte della proprietà che
non hai ancora visto... un meraviglioso laghetto, per
esempio. - Indicò un punto in fondo alla strada e Massimo lo seguì con lo
sguardo. - Discendi un po’ questa strada verso la città poi devia
quando arrivi ad un sentiero battuto. Non è lontano. Ti basta attraversare i
boschi ed un campo e non ti puoi sbagliare.
Massimo sorrise e annuì in segno di
ringraziamento, prima di volteggiare senza sforzo in groppa al cavallo, mentre
Apollinario si affrettava a lasciar cadere le redini indietreggiando, grato di
liberarsi del terrificante animale. Il gladiatore si lisciò la corta tunica, fece voltare lo stallone e si precipitò giù per la
strada, sollevando ghiaia e scomparendo velocemente dietro gli alberi. Poco
dopo Massimo vide il sentiero, guidò l’animale fuori della strada e lo fece
rallentare mettendolo al passo, allontanando contemporaneamente i rami che gli
sfioravano il viso. Presto raggiunse il campo, che era una deliziosa mescolanza
di pascolo e fiori selvatici e lasciò galoppare il cavallo, apprezzando il
vento tra i capelli e i muscoli poderosi che si muovevano senza sforzo sotto le
sue cosce.
Tirò le redini e lo stallone s’impennò, non desideroso che
la corsa finisse. Massimo si riparò gli occhi con la mano e li socchiuse,
fissando lontano, dove una strana forma spuntava dal centro del campo. La forma
aveva un palo che cresceva al centro di essa. No...
no, era un pennone, non un palo. Un pennone dalle vele ammainate, fissato ad
una nave. Incuriosito, Massimo si avvicinò e man mano la nave divenne più
grande, finché egli si rese conto che si trattava di un vascello a grandezza
naturale, non d’una copia in miniatura, come aveva sospettato in un primo
momento. Perplesso, lo studiò mentre si avvicinava a cavallo, fino a quando il cavallo raggiunse il bordo di un grande stagno circondato da
giunchi. Al centro dello stagno stava la nave, attraccata, come se fosse appena
arrivata lì. La circondavano sculture di marmo e tutte le specie di creature
marine... vere e fantastiche. Cavalcò al passo attorno al perimetro del
laghetto stagno, meravigliandosi dei dettagli nella nave di legno. Le vele
erano arrotolate e le sartie scricchiolavano al vento. Sul ponte c’erano barili e ceste da imballaggio, proprio come li avrebbe
avuti una vera nave mercantile. Fece ancora il giro
dello stagno fino a che un’apertura tra i giunchi
rivelò un sentiero che conduceva alla nave, fatto di pietre piatte distanziate
in modo regolare per permettere un facile cammino. Smontò e diede una pacca al
cavallo, invitandolo a non andare lontano, poi con un passo salì sulla prima pietra.
Mentre avanzava nell’acqua,
esaminava le grandi sculture di marmo di pesci che saltavano fuori dell’acqua e
mostri marini attorcigliati, poi si rese conto che grandi forme argentate -
veri pesci - sfrecciavano tra i loro fratelli di pietra. Il sole faceva
scintillare i loro dorsi come metallo fuso. Otto passi dopo raggiunse la nave,
afferrò la scala a pioli di corda e si issò sulla balaustra
che afferrò con entrambe le mani, saltando con un volteggio sul ponte. Questo risuonò
vuoto sotto i suoi piedi. Egli alzò lo sguardo verso l’altezza vertiginosa dell’albero
maestro poi toccò un barile vicino. Camminò fino a poppa e guardò nell’acqua, che
si trovava ad una considerevole distanza al di sotto. Sul davanti della nave
c’era una statua di marmo di una sirena, con la coda da pesce che si arrotolava
in modo seducente attorno ai fianchi ed i lunghi capelli che le coprivano i
seni. Era un luogo magico... fantastico eppure molto realistico. Massimo si
voltò e si appoggiò all’indietro contro il parapetto. Alzò il viso verso il
sole e chiuse gli occhi, ascoltando la canzone del vento tra il sartiame. Era
facile immaginare che fosse una vera nave e che lui stesse davvero fuggendo
dalla schiavitù.
Lentamente si rese conto che una voce umana si era unita al
canto del vento ed aprì gli occhi, scoprendo che dove un
attimo prima non c’era nessuno c’era Giulia, e stava cantando una
canzone dai suoni dolcissimi. Era seduta su un barile vicino alla cabina, i
capelli sciolti e fluttuanti in soffici riccioli attorno al viso. Indossava un
abito color acquamarina che risplendeva di verde quando la luce sfiorava il
tessuto, e adesso sfavillava come il sole sulle onde. Il tessuto trasparente le
ondeggiò intorno al corpo come un velo mentre la brezza giocava sulla sua
superficie. Affascinato, Massimo si spinse via dal parapetto e si avvicinò. La
parte inferiore dell’abito di Giulia era decorata con soffici piume dello
stesso colore del tessuto; quando ella si alzò, l’abito formò uno strascico sul
ponte e ondeggiò dietro lei mentre camminava lentamente
verso Massimo, sempre cantando dolcemente. Mentre ella si avvicinava, i capelli
le fluttuavano dietro le spalle scoprendo il corpetto luccicante, la cui scollatura profonda rivelava la maggior parte dei
seni.
Massimo si fermò, stregato. Quando
parlò, la sua voce echeggiò, profonda e roca.
- Non so come Odisseo abbia potuto resisterti, bella sirena.
Ella smise di cantare e le note finali si diffusero nella
brezza; sorrise, lo sguardo traboccante d’amore.
Massimo continuò:
- Le sirene cercarono di attirare Odisseo con il loro canto e la loro bellezza,
per condurlo alla morte. Dovrei aver paura, graziosa sirena?
- Le sole persone che dovrebbero aver paura di me sono coloro che cercano di far del male al mio bellissimo
Odisseo. - Ella fluttuò verso di lui e gli accarezzò la guancia barbuta con il
dorso delle dita. - Sei al sicuro con me, caro Odisseo. - Gli circondò la nuca con
la mano e gli fece avvicinare il viso al proprio, e lo baciò dolcemente. -
Siamo sul mare... - gli sussurrò contro le labbra. - Roma è lontana dietro di
noi e stiamo andando alla deriva sulle onde... noi due soli. - Lo baciò di
nuovo, approfondendo il bacio questa volta, e le mani di lui l’attirarono più
vicina a sé... una tra i capelli di lei e l’altra alla vita. - Adorato Odisseo,
- ella sussurrò di nuovo, prima che egli le catturasse
la bocca in un bacio appassionato.
Era perduto.
La sua mano le lasciò la vita e scese
più in basso, egli allargò le dita sulle natiche di lei e schiacciò il tessuto
piumato tra le dita premendola contro di sé. Giulia si liquefece mentre la
lingua di lui catturava la sua in un bacio febbrile che le dissolse le ossa, riducendo
il suo corpo ad una massa informe pronta per essere plasmata dalle mani di lui.
Gemette mentre la sua bocca barbuta le sfiorava il collo e le spalle, ed egli spostò il sottile tessuto che gli ostacolava la via, poi con
impazienza lo abbassò completamente, rivelando la sommità di un seno vellutato.
La bocca di lui seguì la mano.
- Massimo, - alitò lei.
Egli sollevò il capo, l’urgenza chiaramente riflessa nei
suoi occhi.
- Dove? - ansimò.
- La cabina.
Egli si chinò e fece scivolare un braccio dietro le
ginocchia di lei, sollevandola senza sforzo. Raggiunse la porta con due lunghe
falcate. Curvandosi, entrò nella bassa cabina, poi con un calcio chiuse la
porta dietro di sé con tale forza che il suono riecheggiò attraverso il prato e
tra gli alberi. Il sole che filtrava attraverso
l’oblò rotondo svelò un ampio letto quasi completamente coperto da cuscini rivestiti
di seta lucente. Egli abbassò un ginocchio sul soffice materasso e vi depose adagio
Giulia, scaraventando poi impetuosamente tutti i cuscini sul pavimento. Giulia
gli coprì il viso con umidi baci, disegnadogli l’orecchio con la lingua,
incitandolo silenziosamente a far presto. Il suono febbrile dei loro respiri uniti
riempirono il piccolo spazio.
Massimo fece adagiare gentilmente
Giulia all’indietro sul letto, sostenendole la nuca, mentre le mani di lei gli
strappavano la tunica, denudandogli rapidamente le spalle musculose. Impaziente,
non desiderava preliminari. Gli afferrò il collo e gli mordicchiò la carne
esposta, mentre le mani di lui le erravano sul petto e le accarezzavano i seni
prima di prenderli a coppa con femezza. Egli gemette.
Ella ansimò quando le dita di lui sfiorarono, avvolsero e stuzzicarono i
capezzoli eretti.
- Troppi vestiti... troppi vestiti,
- sussurrò Giulia e Massimo si sollevò sui ginocchi e si strappò la cintura prima di sfilarsi la tunica da sopra la
testa e scagliarla via. Con lo sguardo e le mani Giulia gli divorò
il torace, mentre sotto il tessuto che le copriva il petto egli cercava tastoni
un’apertura qualunque. Giulia rise. - Oh, Massimo, strappalo e basta. Non
m’importa. - Ma prima che egli potesse seguirne
l’invito, ella stessa afferrò il tessuto e lo lacerò fino alla vita, offrendo completamente
il suo seno allo sguardo e al tocco di lui.
Egli non ebbe bisogno d’altro incoraggiamento e la veste di
lei incontrò lo stesso destino. Egli la lanciò in aria, dove essa ondeggiò e fluttò
in un frullio di piume prima di adagiarsi dolcemente sul pavimento. Ella era
completamente nuda sotto. Massimo non riusciva a distogliere lo sguardo da lei
mentre si liberava della sottotunica.
- Temevo che la mia immaginazione avesse abbellito la tua bellezza. Sei
magnifica proprio come ricordavo, - mormorò mentre osservava i seni di lei
sollevarsi e abbassarsi al battito selvaggio del suo cuore.
- E tu lo sei anche di più, mio diletto,
- sussurrò Giulia facendo scorrere lo sguardo sul corpo di lui, fermandosi
all’inguine. Tese le braccia e aprì le gambe. - Vieni, amore mio, ti ho
aspettato per troppo tempo.
Dalla terrazza di Giulia, Apollinario osservava il sole che tramontava,
canticchiando soddisfatto di se stesso. Era ovvio che la giovane coppia non
sarebbe tornata quella sera. Sapeva che l’incanto di quel luogo... e
l’irresistibile costume... erano serviti all’uopo.
Ore dopo Massimo brancolò alla ricerca della lanterna e
armeggiò con la pietra focaia. Quando una fioca luce dorata riempì la stanza, egli camminò scalzo fino alla
porta ed aprì uno spiraglio per far rinfrescare la stanza. Ogni superficie
liscia era coperta di umidità rugiadosa, ivi compresa
la sua pelle. Giulia batté leggermente sul materasso di piume così da poter
avere un’ampia visione del suo amante che si rinfrescava nella brezza serale.
Avrebbe potuto pensare che egli fosse una scultura di marmo cesellata da un grande
artista, Tritone emerso dal mare, se non avesse saputo quanto fosse calda la
sensazione di quella pelle sotto le dita e le labbra. Si stirò come una gatta e
sorrise totalmente appagata mentre contemplava i danni alla stanza. Il suo
costume giaceva completamente a brandelli, piume verdi e blu disseminate sul tappeto e sul letto. Uno dei sandali di
Massimo si trovava sullo scrittoio e l’altro vicino alla porta. La sua tunica
era atterrata sulla sedia capovolta, una gamba comicamente proiettata attraverso
la manica, come un arto macilento e rachitico... un acuto contrasto con il
braccio che l’aveva riempito poche ore prima. Ridacchiò.
Massimo si voltò e le sorrise... un piccolo sorriso, da un
solo angolo della bocca, che gradualmente crebbe in larghezza e calore.
Giulia disse:
- E’ un bene che abbia pensato di portare una borsa con altri vestiti per
tutt’e due, o avremmo offerto proprio un bello spettacolo tornando alla villa
nei resti di quelli che indossavamo. - Tese le braccia ed egli ritornò a letto.
Ella si spostò in modo che egli potesse sdraiarsi, poi possessivamente avvolse
un braccio ed una gamba attorno a lui e gli nascose il
viso contro il collo. Egli la strinse tra le sue forti braccia.
- Che cos’è questo posto? - chiese
contro la tempia di lei.
- E’ una copia della nave che diede inizio al commercio che
ora dirigo io. La prima della flotta, - venne la soffocata risposta. - Tu sai
che non so nuotare, perciò non mi piace salire sulle
navi. Questa è la mia nave personale... è sicura, vengo
qui quando voglio allontanarmi dalla villa e dalla servitù. Feci fare questa piccola
cabina per poter leggere. - Rise. - E’ buffo, ma non hai idea di quante volte ho
fantasticato di averti qui, che facevi l’amore con me.
- E’ la mia prima volta.
Ella rise.
- Come hai detto?
- E’ la mia prima volta a bordo di una
nave mercantile... tranne quella nella cui stiva fui gettato come
schiavo sulla via per Zucchabar.
Ella si sollevò su un gomito e lo
guardò.
- Davvero?
- Sì. Sono cresciuto lontano dal mare e da soldato ho
viaggiato quasi sempre via terra. Una volta andai in
Britannia, ma fu su una nave militare. - Il suo viso
si addolcì in un sorriso fanciullesco. - Non avevo idea che le navi mercantili fossero
equipaggiate delle loro proprie sirene. - Lanciò
un’occhiata al tavolino. - Vino e cibo, perfino. Tutto ciò che un uomo potrebbe
desiderare.
Ella seguì il contorno del suo sopracciglio con un dito
elegante poi scese lungo il naso fino alla bocca, e gli sfiorò le labbra.
- Dolce bocca, - disse, poi si chinò e cattturò il labbro inferiore di lui tra
i propri denti, succhiandolo dolcemente prima di lasciarlo andare. - Sognavo
che sarebbe stato così. Per anni ho sognato che sarebbe stato così, con te. E’
talmente diverso da qualunque cosa io abbia mai provato.
E’ meraviglioso... magico.
Massimo le acccarezzò la guancia con il dorso delle dita.
- Il passato ormai te lo sei lasciata lontano alle
spalle. Sei una donna diversa adesso.
- Ma questa è la prima volta che mi sento realmente diversa. Io... io
devo ammettere che ero un po’ spaventata. Temevo che anche solo stare con te mi
avrebbe riportato ricordi spiacevoli. - Abbassò le ciglia. - Non sono più stata
con un uomo dopo la Mesia.
Il sopracciglio di Massimo si sollevò incuriosito.
- Tuo marito?
- No, te l’ho detto... ricordi? Giurai che non avrei mai più
diviso intimità con un uomo, a meno che lo amassi e mi
potessi concedere liberamente. - Ella fissò con sincerità i suoi occhi blu profondo.
- Tu sei l’unico uomo che io abbia mai amato. E’ come
se il mio passato non esistesse più, ormai. Finalmente capisco che cosa
significhino le parole “fare l’amore”. Per me non hanno mai avuto significato,
perché non riuscivo a vedere niente di amabile nell’atto.
Riuscivo soltanto ad associarlo ad emozioni dolorose. Ora capisco. Grazie per
questo, mio diletto.
Ella lo baciò ancora ed egli aprì la bocca per rendere il
bacio più profondo. La mano di lei s’infilò tra i capelli di lui, afferrando i riccioli
corti mentre con le anche ella scivolava sopra quelle
di lui e lo stringeva con le gambe. Massimo le afferrò le natiche ed ella gli si
aggrappò alle spalle quando la fece rotolare sotto di sé.
Non fu che all’imbrunire della sera
successiva che Apollinario osservò lo stallone baio risalire la strada con le
due figure fuse come un solo essere. Fu un bene che il cavallo conoscesse la via fino casa, perché i due cavalieri erano presi soltanto
l’uno dell’altro.