La Storia
di Glauco: Capitolo 26
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Capitolo 26 - Il mare, 180 d.C.
Massimo stava in piedi con le gambe affondate fino alla coscia tra le onde del Mare Tirreno, saldo come una roccia malgrado le ondate verdazzurre che gli si abbattevano violente contro il corpo. Le mani sui fianchi, osservava le navi che, a dozzine, erano in attesa di entrare nel porto di Ostia. Altrettante ne stavano uscendo, con le vele spiegate per catturare il vento nel loro viaggio verso i porti di tutto il Mediterraneo e dell’Oceano Atlantico, dove l’accesso ai grandi fiumi le avrebbero condotte alle città romane nelle province settentrionali. L’imponente faro di Ostia si trovava alla sua destra, simbolo e lascito dell’ingegneria romana.
Indossava una semplice tunica bianca di lana pregiata che Apollinario aveva pensato gli sarebbe stata bene… e così era. Gli cadeva morbidamente sulle spalle ed era stretta in vita da una larga cintura di morbida pelle scura, poi scendeva in pieghe leggere appena sopra le ginocchia, l’orlo alzandosi e ricadendo con il movimento delle onde. Massimo allungò le braccia sopra la testa e chiuse le dita, girando le palme in su e stiracchiandosi all’indietro, completamente rilassato.
Flessuoso come un gatto, pensò Giulia dalla sua posizione reclinata sulla spiaggia sotto l’ombra di un tendone a strisce blu e bianche. Non aveva mai imparato a nuotare, quindi evitava l’acqua, specialmente quando le onde erano alte come quel giorno, ma la sua postazione le offriva comunque una gran bella vista… di Massimo.
Egli si girò e le sorrise, il primo sorriso di pura gioia che mai gli avesse visto, e ne fu abbagliata. Aveva un’aria da ragazzino, con i capelli non cosparsi d’olio che si arricciavano morbidamente, scompigliati dalla brezza. Rispose con un sorriso identico e cercò di dipingersi un’immmagine mentale di lui, da poter richiamare alla mente e custodire gelosamente anche molto tempo dopo che se ne fosse andato.
Egli uscì a guado dalle onde e risalì la spiaggia, grondando acqua dalla parte inferiore del corpo, la bianca tunica bagnata rivelando molto più di quanto si rendesse conto. Giulia fece un’altra immagine mentale.
Egli riassunse la posizione che aveva avuto in acqua, ma
stavolta ai piedi di Giulia, gocciolandole acqua
fredda sulle dita dei piedi. Anche lei indossava una
tunica corta adatta alla spiaggia e lo vide divorarle con gli occhi le gambe
lunghe e ben fatte, prima di alzare in fretta
lo sguardo su di lei.
- Perché non vieni a fare il bagno?
Ella sollevò la testa e lo guardò con occhi socchiusi.
- Perché tu non mi hai mai insegnato a nuotare.
Massimo rimase perplesso per qualche istante, poi sorrise.
- No, credo di no, vero? Va bene… entra soltanto fino alle ginocchia.
Giulia guardò al di là di Massimo
le onde che si abbattevano sulla riva e contorse il viso.
- Penso che sarebbe meglio di no.
- D’accordo, allora, - disse Massimo voltandosi e corse di nuovo verso l’acqua, poi si scagliò nell’aria e si tuffò dentro un’onda crescente, subito inghiottito dalla schiuma bianca.
Giulia ansimò e balzò in piedi. L’onda rotolò avanti verso
la spiaggia, ma lui non era in vista. Stava bene? Ella corse verso l’acqua,
sollevando sabbia dietro di sé, fermandosi dove la sabbia
diventava scura. Non c’era traccia di lui. Allarmata, scrutò l’acqua in cerca
di un segno qualunque d’una tunica bianca, poi fece frettolosamente marcia
indietro quando l’acqua gelida le bagnò i piedi.
- Massimo? - chiese esitante anche se la risacca coprì
le sue parole. Freneticamente, lei si spostò di nuovo avanti, schermandosi gli
occhi con la mano.
All’improvviso egli emerse al largo, dove l’acqua era più
calma, e cominciò a nuotare con forti bracciate verso riva, lasciando che la
velocità delle onde lo trasportasse mentre si avvicinava alla spiaggia. Si alzò
in piedi e con le dita si pettinò all’indietro i capelli gocciolanti, poi si
strofinò via dagli occhi l’acqua salata. Vedendo Giulia nell’acqua fino alle
caviglie sorrise di nuovo.
- Sono contento che tu abbia cambiato idea, - disse sollevandola e prendendola tra le braccia, e tornò nell’acqua.
Allarmata, Giulia ansimò e gli afferrò il collo con entrambe le braccia.
- Non c’è bisogno che mi strangoli. Non ho intenzione di lasciarti andare.
- Non voglio bagnarmi il viso, - disse lei senza fiato.
- D’accordo, non andrò molto lontano. - Massimo entrò tra le onde fino alla vita mandando l’acqua a spruzzargli il petto.
Giulia appoggiò la testa sulla spalla di Massimo e voltò il viso nel collo di lui. Rabbrividì.
- Freddo?
- No. - Era la verità. Non era l’acqua che la faceva rabbrividire.
In silenzio, Massimo camminò con lei per un po’ prendendo su di sé la forza delle onde così che lei sentisse soltanto il leggero ondeggiare del suo corpo.
Giulia fece scorrere le unghie sulla nuca di lui e tra i suoi capelli. Adesso fu lui a rabbrividire. Lei lo rifece. Lui si diresse verso la spiaggia.
La rimise a terra sulla sabbia, ma lei rifiutò di lasciargli
andare il collo, premendo il corpo bagnato contro quello
di lui.
- Giulia… - avvertì lui.
- Cosa? - mormorò contro il collo di lui. Gli baciò la pelle morbida appena sotto l’orecchio poi leccò quel punto salato.
All’improvviso, egli le afferrò i polsi e con energia li
allontanò dal proprio collo, poi andò in fretta di nuovo nell’acqua, dove
affondò fino alla vita prima di immergersi. Passò un po’ di
tempo prima che uscisse, e la trovò distesa sulla sabbia all’ombra… gli
occhi scintillanti maliziosamente e chiazze
di sale ancora sulle gambe.
- Più rinfrescato, adesso? - chiese con aria innocente, ma i suoi occhi
deliberatamente andarono al suo inguine.
- Considerevolmente, grazie. - Massimo le porse la mano. - Vieni… torniamo alla casa.
Giulia non si mosse.
- Perché?
Massimo percorse la spiaggia con lo sguardo.
- Perché qui non c’è nessuno.
- Naturale che non c’è nessuno. Questa spiaggia mi appartiene. Ecco perché la amo. Non c’è mai nessuno qui. - Batté la mano sulla sabbia accanto a sé. - Perché non ti siedi e ti rilassi? Inoltre, dobbiamo ancora mangiare questo pranzo al sacco.
Egli diede di nuovo un’occhiata alla spiaggia prima di sedersi con riluttanza, tenendosi ad almeno un braccio di distanza da lei.
Lei lo guardò in modo civettuolo da sotto le ciglia.
- Massimo… sei timido?
- No, solo… sensibile.
- Un soldato sensibile, - lo prese in giro lei. - Ai soldati viene insegnato come essere sensibili?
Egli sapeva che lo stava prendendo in giro ma non sapeva come rispondere, così fissò l’acqua, le ginocchia piegate e le braccia attorno ad esse.
- Oh, Massimo, - disse Giulia scivolando in ginocchio dietro
di lui e posandogli il mento sulla spalla bagnata. - Non preoccuparti, non ho
intenzione di violentarti. - Ella moriva dalla voglia di baciargli ancora il
collo ma si trattenne. Era chiaramente ancora troppo presto per una maggiore
intimità e Giulia si chiese se egli se ne sarebbe mai
concesso alcuna. Lei percorse con la mano il suo braccio sinistro e si fermò
dove le dita percepirono la pelle cicatrizzata sulla spalla di lui. Si chinò
per poterla esaminare. Massimo non si mosse.
- Che cos’è questa? - chiese mentre le sue dita sfioravano
le due lunghe piaghe.
- Cicatrici.
- Sì, lo vedo, - disse lei gentilmente intuendo che lui stava tornando taciturno. - Come te le sei fatte? Ferite di battaglia?
- Una specie.
- Massimo... ti prego, non ignorarmi.
Egli sospirò, poi voltò la testa così che la sua guancia
barbuta quasi toccò le labbra di lei.
- Quella più in basso è ciò che rimane del mio tatuaggio SPQR che mi identificava come soldato di Roma. Lo eliminai con una
pietra acuminata subito dopo essere rinvenuto e aver scoperto che ero diventato
schiavo.
Giulia rabbrividì e lo osservò perplessa, la fronte aggrottata.
- Quella più in alto è ciò che rimane di una ferita di spada che ricevetti scappando dai miei carnefici pretoriani. Si infettò in malo modo durante il mio viaggio verso l’Ispania e la febbre quasi mi uccise. I vermi la ripulirono, - Giulia rabbrividì di nuovo, - poi Juba mi aiutò a sopravvivere. A quel tempo non gli fui molto grato, ma adesso lo sono.
- Massimo, - incitò Giulia gentilmente, - per favore, dimmi che cosa accadde.
Egli voltò di nuovo il viso verso il mare e cominciò a
parlare in tono monocorde e privo di emozione.
- Una notte, in Germania, fui prelevato dal mio letto subito dopo l’ultima
battaglia. Quinto mi disse che l’imperatore voleva
vedermi. Mi preoccupò il fatto che Marco avesse
bisogno di me nel mezzo della notte così mi affrettai verso la sua tenda, e mi trovai
di fronte un Commodo in lacrime. Marco era morto. Strangolato.
Giulia trattenne il fiato.
- Commodo allora mi offrì la sua mano e mi chiese di giurargli fedeltà come nuovo imperatore. Io rifiutai e tornai alla mia tenda per vestirmi e radunare i senatori che erano in visita… un errore fatale, come poi si rivelò. Arrivarono Quinto ed un certo numero di guardie e mi arrestarono, e mi dissero che Commodo aveva ordinato che io fossi giustiziato e che la mia famiglia venisse uccisa.
- Perché, Massimo? Pensava che avessi assassinato tu suo padre?
Massimo rise aspramente.
- Niente affatto. L’imperatore era stato ucciso, d’accordo, ma era stato
Commodo. Pensai che anche Lucilla potesse essere coinvolta, ma non ne sono più
così sicuro ora.
Giulia digerì quell’informazione.
- Quindi… egli ordinò la tua esecuzione perché tu avevi capito che lui aveva assassinato suo padre? Ci sono
molte persone che credono che egli
possa aver assassinato l’imperatore, Massimo… non solo tu.
- Io ero una minaccia per lui perché gli avevo rifiutato
obbedienza e avevo dalla mia l’appoggio totale dell’esercito. Avrei potuto
essere molto pericoloso per il suo rozzo tentativo
di restare aggrappato alla corona. - Massimo si levò dalle spalle le braccia di
Giulia e ruotò su se stesso per guardarla in viso. Le afferrò i polsi e le attirò
il viso vicinissimo al proprio, poi abbassò la voce ad un sussurro possente.
- Non l’ho mai raccontato a nessuno e
tu non devi ripeterlo a nessuno per nessuna ragione. Hai capito? Per nessuna ragione. Promettimelo.
Giulia annuì.
- Sì. - sussurrò, il viso pallido e le gambe tremanti.
- Sospetto che Commodo abbia ucciso suo padre dopo che Marco gli disse che non sarebbe stato lui il prossimo imperatore.
Giulia era perplessa.
- Massimo, non è certo sorprendente che Marco Aurelio non avrebbe scelto
Commodo come suo erede.
- No, ma ciò che è sorprendente è colui che egli aveva scelto in realtà.
- Chi?
Le dita di lui gentilmente sfiorarono i polsi di lei ed egli trasse un profondo respiro, poi espirò lentamente.
- Me.
Giulia restò a bocca aperta e farfugliò qualcosa.
Massimo aggiunse precipitosamente:
- Non lo volevo fare, Giulia, ma Marco fu così insistente che non potei
deluderlo. Voleva assicurarsi che Roma ridiventasse una Repubblica e pensava
che io fossi l’uomo che poteva realizzare l’impresa. Inizialmente rifiutai,
chiesi un po’ di tempo per rifletterci sopra… poi ritornai alla sua tenda prima
del tramonto con il mio consenso. Come avrei potuto
rifiutarglielo? Firmammo i documenti. Dopo che me ne andai,
o Marco comunicò a Commodo la notizia oppure questi trovò i documenti.
Probabilmente indovinò che verosimilmente nessun altro ancora sapeva e capì che
se avesse ucciso il padre e poi anche me, nessun altro avrebbe
mai saputo. - Lasciò andare i polsi
di Giulia e fece scorrere le sue grandi mani sulle
braccia di lei. - Ma io non morii.
Giulia afferrò le spalle di Massimo in cerca d’appoggio, la
mente intorpidita dalle implicazioni di quello che aveva appena udito.
- Ma perché ordinò l’uccisione della tua famiglia?
- Quale esempio per ogni altro capo militare che avesse osato sfidarlo. E… per essere certo che nessun figlio mio potesse mai diventare adulto e vendicare la mia morte. - Massimo guardò negli occhi di Giulia d’un blu profondo. - Vedi che cosa voglio dire quando dico che la mia vita è tuttora molto complicata?
Ella annuì.
- E ora non ti può uccidere perché il popolo di Roma ti ama così
tanto. - Giulia fece scorrere le dita sul lato del viso di lui. - Amano Massimo
il gladiatore e non si rendono nemmeno conto che egli potrebbe essere il loro
legittimo imperatore. - Gli accarezzò la corta
barba. - Un’altra ragione per uccidere Commodo… per vendicare la morte
dell’imperatore. Hai molte ragioni.
Egli annuì.
- Massimo… come fece uccidere Olivia e Marco?
Lo sguardo di lui si oscurò, poi si abbassò.
- Ordinò di bruciarli vivi e di crocifiggerli.
La nausea le rivoltò lo stomaco e lei si serrò la bocca con la mano, strizzando gli occhi.
- Un altro esempio della crudeltà di quell’uomo. Mio figlio era completamente innocente, ma morì perché io fui talmente sciocco da non prendere la mano di Commodo e giurargli il mio appoggio.
Le sue parole di autobiasimo dispersero in
fretta la nausea ed ella gli afferrò i lati del viso per obbligarlo a
guardarla.
- Non avresti potuto farlo, sapendo ciò che sapevi.
- Sì, avrei potuto e avrei dovuto. Avrei potuto giurargli fedeltà e poi tramare contro di lui. Invece, reagii con il cuore e non con la mente e mia moglie e mio figlio pagarono per il mio errore. Io sono responsabile della loro morte quanto Commodo.
- No…
- Sì, lo sono.
Giulia balzò in piedi.
- D’accordo, Massimo, non sei perfetto. Il grande generale non è senza macchia. Ti meriti di morire
solo perché sei umano come tutti noi? Ti meriti di morire perché hai un cuore? Perché hai reagito in modo emotivo?
Massimo la guardò torvo.
- Un generale non può reagire in modo emotivo.
- Un generale che è anche un uomo sì. E gli uomini possono commettere errori. Anche costosi. Ma non ti meriti di morire perché sei umano. Mi capisci? - Giulia si inginocchiò di nuovo e stavolta gli prese il mento. - Tua moglie amava il generale o l’uomo? Io amo il generale o l’uomo?
Le sue parole lo fecero trasalire.
- Non lo so, - disse con voce stridula. Gli occhi gli si riempirono di lacrime ed
egli cercò di spingerla via ma ella lo tenne fermo, sedendoglisi sulle
ginocchia per tenerlo giù. Sapeva che avrebbe potuto allontanarla facilmente, ma
non lo fece. Giulia gli fece abbassare le mani quando sembrò che egli potesse
tentare di coprirsi il viso e lo obbligò a guardarla.
- Allora lascia che te lo dica molto chiaramente, - disse. - Io amo l’uomo e sono sicura che anche Olivia lo amava. Il contadino. Il marito. Il padre. - Si chinò in avanti e gli sfiorò le labbra con le proprie. - Lo schiavo. - Si spostò all’indietro e guardò il viso di lui arrossato. - Hai capito?
Egli annuì, non fidandosi della propria voce. Infine chinò
la testa e Giulia affondò le dita nei morbidi capelli della nuca di lui.
- Preferisco i tuoi capelli quando non sono cosparsi d’olio. Perché
non li lasci sempre così?
Massimo sospirò e parlò rivolto alla sabbia.
- Non mi fanno sembrare abbastanza cattivo.
Giulia gentilmente gli tirò indietro i capelli e di nuovo gli
fece sollevare la testa, fingendo di studiarlo con aria critica.
- Hai ragione. E’ vero. - Poi rise, e la sua improvvisa allegria gli suscitò un
sorriso. Ella si rese conto che gli stava accarezzando il collo e che lui non
l’aveva fermata. Gli sfiorò di nuovo le labbra. Lui non si ritrasse. Stava finalmente
riuscendo a far breccia nelle sue difese? Si era finalmente reso conto di
quanto gli fosse mancata un po’ di tenerezza e di quanto ne avesse
bisogno? Ella si sollevò in ginocchio e
lo attirò a sé così che la testa di lui appoggiasse contro il suo seno, poi lo avvolse
strettamente con le braccia. Dopo un momento le braccia di lui le cinsero la
vita, Massimo l’abbracciò forte e sospirò di nuovo.
Giulia posò la testa sulla sommità del suo capo e sorrise. Oh, sì, finalmente
lui stava venendo da lei.
- Adesso capisco tutto… tutto tranne come tu sia
diventato schiavo e gladiatore. Come è successo?
- Arrivai in Ispania troppo tardi per salvare mia moglie e mio figlio, così li seppellii. Stavo molto male, avevo la febbre ed ero molto debole, perciò mi sdraiai sulle tombe sperando di morire con loro. - Giulia lo strinse di più. - Quando mi svegliai, molto più tardi, mi ritrovai in un carro circondato da strane persone… nomadi che catturavano animali e umani per venderli alle scuole di gladiatori. C’era anche Juba, che aveva già cominciato a curare la mia ferita, e senza di lui non mi sarei nemmeno risvegliato. Ero troppo debole per parlare o protestare e non tornai realmente cosciente finché non fummo caricati nella stiva di una nave diretta nel continente africano, a Zucchabar.
- Oh, Massimo… la stiva di una nave. - Ricordò la propria minaccia. - Mi dispiace molto di aver minacciato di gettarti nella stiva di una mia nave.
- Va tutto bene. Fummo incatenati in un mercato… io ero troppo debole persino per stare in piedi… e fummo tastati ed esaminati da potenziali acquirenti. Fu lì che Proximo comprò me e anche Juba, così come una mezza dozzina d’altri. Pagò di più per gli animali che per noi. Fummo caricati in un carretto per gli schiavi e portati alla scuola per essere addestrati. Lì conobbi Haken. E’ un uomo enorme e un gladiatore molto esperto, un germanico. Un prigioniero di guerra, probabilmente. Gli fu affidato il compito di metterci alla prova per valutare la nostra capacità di combattenti.
- Deve essere rimasto sorpreso da te, - sussurrò lei tra i suoi capelli.
- Ah, sicuramente. Io non volevo combattere. Mi fu dato un gladio di legno, ma io lo guardai negli occhi e glielo gettai ai piedi. Lui mi colpì forte sulla spalla ferita e il dolore mi fece quasi svenire. Caddi, ma riuscii ad alzarmi e lo affrontai di nuovo. Andai lentamente verso di lui, sfidandolo. Questa volta mi colpì allo stomaco e io caddi di nuovo, ma ancora riuscii ad alzarmi e a sfidarlo a colpirmi ancora una volta. Lo vidi alzare la spada e mirare alla mia gola e seppi che il colpo successivo mi avrebbe ucciso… così rimasi fermo e lo aspettai.
Giulia raggelò.
- Volevi morire.
Massimo annuì contro il suo petto.
- Tutto quello che contava per me mi era stato strappato e non potevo vivere da schiavo… un gladiatore che uccideva gli
uomini per divertimento. Ma, ancora una volta, non
morii.
Giulia si rilassò leggermente e gli baciò la fronte.
- Proximo ci portò ad un’arena locale… una struttura fatiscente. La maggior parte della gente stava seduta sulle colline che circondavano l’arena. Noi eravamo incatenati insieme a coppie… un probabile vincitore con un sicuro perdente. Io fui messo in ceppi assieme a Juba, che era considerato il probabile vincitore nella nostra coppia, perché io non volevo combattere. Ma io non potevo morire in quel modo… davanti ad una folla di persone che avrebbero acclamato la mia morte. Suppongo che il mio orgoglio di soldato non me l’abbia lasciato fare. Formavamo una coppia formidabile, Juba ed io, e fummo l’unica coppia che rimase in piedi alla fine. Ma, io mi ero smascherato. Proximo ora sapeva che sapevo combattere, e che sapevo combattere estremamente bene. Proximo è soltanto un proprietario di gladiatori e allenatore di poca importanza. Alcuni uomini possiedono letteralmente migliaia di gladiatori e li vestono di armature placcate in oro puro. Proximo al confronto ne aveva pochissimi e non ne aveva mai avuto uno come me. Immediatamente vide un modo per fare molto denaro.
Fece una pausa e Giulia aspettò mentre la sua voce profonda risuonava
di nuovo contro il suo seno.
- Poi cosa accadde? - incalzò. - Come arrivasti a Roma?
- Rimanemmo a Zucchabar per molto tempo e divenimmo l’attrazione principale dei giochi. Io fui chiamato l’Ispanico e perfino Proximo non conosceva il mio nome. Non gl’importava. Io ero semplicemente un uomo che gli avrebbe fatto fare denaro per il maggior tempo possibile prima di morire. Ma io imparai moltissimo da quei combattimenti… imparai che un vincitore è adorato come un dio e che più brutalmente uccidi, più la gente ti ama. E imparai che i gladiatori più amati ottenevano il cibo migliore, la migliore armatura… e il maggior potere. Ne approfittai… e mi odiai per questo. E odiai la gente che mi amava per quello. - Ma non c’era autorecriminazione nella sua voce. Gli occhi di Massimo erano chiusi mentre se ne stava rilassato contro Giulia e le raccontava la sua storia. - Poi un giorno Proximo mi disse che Commodo progettava di mettere in scena una serie di giochi al Colosseo in Roma in onore di suo padre e che saremmo andati laggiù. Mi disse che era un ex gladiatore egli stesso e mi diede la sua armatura da indossare... di cuoio, non d’oro. Sapeva che aveva davanti a sé l’opportunità di fare una fortuna con me, a Roma, e insinuò che alla fine avrei potuto guadagnarmi la mia libertà come aveva fatto lui. Sulla strada ci fermammo ad ogni città che aveva un’arena e io combattevo... qualche volta molte volte al giorno... e Proximo si assicurava che il mio nome diventasse ben noto. Così, quando arrivai a Roma, la gente aveva già sentito parlare di me... l’Ispanico.
- E tu sapevi che Commodo sarebbe stato al Colosseo.
- Sì.
- Dove avresti potuto ucciderlo, - sussurrò lei tra i riccioli scuri di lui.
- Sarebbe stata la mia unica possibilità. Sono bravo con la
lancia e progettavo di lanciargliene addosso una quando
era seduto al suo posto. Sapevo che avevo una sola opportunità di ucciderlo,
poi sarei stato ammazzato a mia volta. - Massimo rise con amarezza. - Ma ancora una volta i miei piani non funzionarono. Invece
fui obbligato a rivelare la mia identità a lui, a Lucilla, e all’uomo che diede l’ordine di farmi giustiziare... Quinto... che adesso
era il comandante dei pretoriani.
- Ho sentito dire che Commodo fu sconvolto nel vederti.
- Lo fu. Stava per ordinare a Quinto di uccidermi proprio nell’arena, ma i gladiatori si fecero avanti ad indicare che mi avrebbero difeso, e la folla cominciò ad intonare in coro che vivessi. Non poteva andare contro i desideri della folla.
Giulia gli prese il mento barbuto e gli fece piegare la
testa all’indietro.
- Credo di conoscere il resto.
Occhi azzurro cielo si intrecciarono
con occhi azzurro mare.
- Credo di sì.
Ella guardò a lungo nei suoi occhi poi sussurrò:
- Sei un uomo sorprendente, Massimo Decimo Meridio. - E lo baciò, un lungo
bacio lento che era più tenero che appassionato, più
gentile che eccitante, più indagatore che febbrile. E
lui rispose al bacio.
- Giulia, dove sei? - gridò una voce dall’altra parte dei cespugli. La coppia si separò con un sobbalzo e la mano di Giulia corse al cuore. Apollinario emerse dal boschetto. - Ti prego, perdonami, ma le guardie esigono di vederti, generale. Sembra che non siano convinte che tu sia ancora qui e stanno sollevando un vespaio. Mi spiace, ma dobbiamo rimetterti in ceppi per un po’. Ti prego di perdonarmi. - Prese il cestino da picnic rimasto intatto.
Senza una parola, Massimo si alzò e aiutò Giulia ad alzarsi, prima di chinarsi a spolverare via la sabbia che gli si era attaccata ai polpacci. Prese un asciugamano e lo scosse con forza, scagliando sabbia nell’aria. Con un’occhiata preoccupata a Massimo, Giulia gli cercò la mano, ma egli la ritrasse. Apollinario vide che gli occhi le si riempivano di lacrime mentre lo precedeva verso il sentiero che portava alla villa. Massimo li seguì, a capo chino, le braccia rigide lungo i fianchi... di nuovo completamente rinchiuso in se stesso.