La Storia
di Glauco: Capitolo 25
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Capitolo 25 - La lettera a
casa
Glauco estrasse un foglio pulito di papiro, intinse il calamo nell’inchiostro nero e ricominciò.
Carissimi
mamma e papà,
Smise di scrivere e picchiettò l’impugnatura del calamo contro il labbro inferiore mentre meditava su quelle parole. Era inusuale cominciare una lettera con una annotazione così familiare, ma esitò ad usare il più accettato “madre e padre” preferendo al momento riservare quelle affettuose espressioni per i suoi veri genitori, Olivia e Massimo. Egli sentiva il bisogno, in qualche modo, di dissociare le persone che lo avevano allevato, la zia e lo zio, dalla carne della propria carne; di separare i genitori che non erano i suoi veri genitori dall’uomo e dalla donna che gli avevano dato la vita. Così, per il futuro, Augusta e Tito sarebbero stati “mamma e papà”, il che si armonizzava con la parentela affettuosa e familiare che condivideva con loro. Non aveva ancora un’immagine chiara del suo vero padre. Massimo era tuttora una figura nebulosa e indistinta nella sua mente e alquanto distante nel suo cuore. Questa situazione stava lentamente cambiando, comunque, man mano che scopriva di più su di lui, e si stava gradualmente appassionando a Massimo l’uomo piuttosto che a Massimo il generale. Ma i due non si erano nemmeno mai visti, non avevano mai riso insieme o condiviso un pasto… o una semplice carezza.
Intinse il calamo adesso asciutto e continuò:
Sono a Roma da due
giorni ormai, e mi sono sistemato in un appartamento sicuro vicino al palazzo
reale in un buon quartiere della città. Accluderò l’indirizzo alla fine della
lettera, così che possiate rispondere a questa mia. Sappiate che sto bene e che ho già un amico che mi ha promesso di
aiutarmi nella ricerca di mio padre. Suo padre è governatore di una provincia
romana e sono certo di potermi fidare di lui.
Glauco meditò su quell’ultima frase. Non voleva scrivere nulla che potesse allarmare gli zii e sottintedere che c’erano persone di cui non poteva fidarsi. Ma era ormai al terzo tentativo di lettera e non aveva voglia di ricominciare. Avrebbe dovuto scegliere le parole con cura.
Roma è una città straordinaria, molto grande, con cittadini provenienti da tutto l’impero. Per la maggior parte i quartieri sono piuttosto eleganti con qualche zona un po’ meno bella ma, ribadisco, siate certi che mi sono sistemato in una zona signorile della città.
Stava cercando di rassicurare se stesso?
Ho fatto il viaggio
dalla Germania solo con Ultor, avendo lasciato Zeus con
Giovino, l’ex ingegnere di mio padre, a Vindobona. Lo riprenderò là quando avrò raggiunto il mio scopo. Anche Ultor è
in buone mani anche se non posso tenerlo vicino a me,
perché i cavalli non sono ammessi all’interno della città durante il giorno, a
meno che non si sia un pretoriano.
Glauco giurò di non menzionare più la parola “pretoriano” e non aveva alcuna intenzione di dire agli zii che dalla Germania era stato seguito da agenti dell’imperatore. Non voleva che si preoccupassero o, ancor peggio, insistessero che tornasse a casa.
Giovino è stato una
gran fonte di informazioni, ma anche lui ha posto altre
domande cui spero di dare risposta qui. Sono alla
ricerca di una donna che mio padre una volta conobbe quando sventò il complotto
di Cassio di rovesciare l’imperatore. Spero inoltre di trovare l’ex comandante
in seconda di mio padre, Quinto, che credo fu nominato comandante dei
pretoriani sotto Commodo.
Come sapete, spero di
trovare mio padre vivo e Giovino mi ha dato
informazioni sufficienti per suffragare la vostra convinzione che Massimo non è
morto in Germania, ma potrebbe essere davvero tornato in Ispania. Dopo di che,
le tracce si perdono, ma io spero di trovare persone qui che possano far luce
sulla sua successiva scomparsa. Domani, visiterò la prigione Tulliana per
vedere se c’è qualche registrazione riguardante una sua carcerazione laggiù.
Dopo farò un giro escursionistico
completo e Mario, il mio nuovo amico, insiste
che mi diverta anche un po’. Io esito a sprecare il tempo…
- Glauco? - la voce di Mario giunse attutita attraverso la porta.
- Sì, sono qui. Entra, - gridò Glauco.
…ma
Mario insiste nel farmi da
guida e nel mostrarmi i luoghi caratteristici della città.
Una fresca brezza agitò il bordo del papiro quando Mario
aprì e richiuse la porta.
- Che cosa stai facendo?
- Scrivo una lettera.
Mario roteò gli occhi.
- Lo vedo da me.
- Ai miei zii, se credi che sia affar tuo. Non mi sono messo in contatto con loro da quando ho lasciato casa e voglio rassicurarli che sto bene. - Glauco sospirò. - Non sono molto bravo a scrivere lettere, temo. Non ho mai avuto qualcuno a cui scrivere, prima.
Mario con un volteggio accomodò il corpo sottile in una
sedia di cuoio e gettò il ginocchio sopra un bracciolo di legno lucido,
dondolando la gamba casualmente mentre si allungava scomposto e osservava
Glauco con interesse. Il cuoio scricchiolava leggermente ad ogni movimento.
- Lo sapevo che era il tuo primo viaggio
lontano da casa, - lo stuzzicò.
Glauco lo ignorò e cercò di continuare, chiedendosi che altro avrebbe dovuto includere nella lettera.
Mi mancano la mia
casa e le verdi colline d’Ispania, e tutta la mia famiglia, e i cavalli. Ma sento che sto realizzando molto.
Lanciò un’occhiata a Mario che si stava osservando le unghie curate. Un gonfio livido violaceo gli deturpava la mascella sinistra, ma Glauco non provò alcun rimorso di sorta. Ritornò alla lettera:
Non so per quanto
tempo la mia ricerca mi terrà lontano da casa, ma
siate certi che ritornerò quando avrò trovato le risposte a tutte le mie
domande…
- Dovrebbe esserci qualche ragione perché qualcuno ti segua?
Glauco alzò lo sguardo, allarmato, e il calamo produsse una pozzetta d’inchiostro nero laddove bucò il papiro. Il giovane imprecò e asciugò la macchia meglio che poté. Cercò di avere un tono casuale.
- Perché me lo chiedi?
- Perché ho notato un paio di uomini appostati nell’ombra la notte che arrivasti qui. - Mario alzò gli occhi per incontrare quelli di Glauco. - Quegli uomini ti hanno seguito nella Suburra.
- Davvero?
- Allora … lo ammetti?
Glauco guardò la lettera e intinse di nuovo il calamo, ma la sua concentrazione era svanita. Lo stilo rimase sospeso sul papiro finché una goccia scintillante stillò dalla punta aggiungendo un’altra macchia nera alla lettera. Lo depose e si appoggiò all’indietro, incrociando le braccia sull’addome. Non disse nulla.
- Sono di nuovo fuori adesso. Sono sicuro che pensano di essere nascosti, ma io sono un attento osservatore… e non credo che stiano seguendo me o le vecchiette che vivono qui. - Sollevò un sopracciglio in direzione di Glauco. - Allora… di che cosa si tratta? Sto per mettermi in una situazione compromettente aiutandoti?
- Probabilmente.
- Apprezzo la tua onestà. - Mario continuava a fissare intensamente il suo nuovo amico. - Chi sono?
- Pretoriani.
Adesso entrambe le sopracciglia scattarono all’insù.
- Perbacco… sono impressionato, amico mio. Non è da
tutti assicurarsi l’attenzione dell’imperatore in persona.
Glauco si accarezzò la barba.
- Sono molto lusingato, - disse in tono sarcastico.
- Che cosa hai fatto?
- Apparentemente ho fatto troppe domande. Al di là di ciò… non ne ho idea.
- Domande riguardanti…?
- Mio padre.
- Oh. - Mario annuì pensieroso. - Così, l’imperatore ha sentito parlare della tua curiosità e ha ordinato ai suoi uomini di scoprire perché?
- L’imperatore non ne ha sentito parlare. Io gliene ho parlato direttamente…
Mario si raddrizzò a sedere.
- Tu gli hai parlato? Io non ho mai nemmeno incontrato
l’imperatore… - accennò con la testa in direzione del palazzo, - …e vivo praticamente sotto il suo naso. - Si accigliò con aria
pensierosa. - Dove lo hai conosciuto?
- In Germania, qualche settimana fa.
- Germania. Credevo che fosse nell’Est.
- Non lo era quando l’ho incontrato. Era nella fortezza di mio padre a Vindobona… e abitava in una casa che era stata costruita per mio padre.
Mario percepì l’amarezza in quelle parole.
- L’imperatore possiede tutto nell’impero, lo sai,
Glauco, - disse Mario con gentilezza. - Se volesse marciare qui e prendere
quest’insula per sé, potrebbe farlo.
Glauco lanciò un’occhiata alla lettera e si chiese se poteva menzionare alla sua famiglia il suo incontro con Settimio Severo. Forse un’altra volta, decise. Sarebbe stato molto difficile da spiegare. Mario richiese di nuovo la sua attenzione.
- Sei in pericolo? - Il tono di Mario era più curioso che allarmato.
- Onestamente non lo so.
Mario si alzò e andò verso la finestra con la grazia fluida di un giovane allampanato, posando le mani sul davanzale per guardare nel cortile. Alla fine si volse con le spalle alla finestra, la sua forma oscurata e la faccia adombrata dalla luce del sole che filtrava attorno a lui.
- Non ti fidi di me, vero?
Glauco rispose senza esitazione.
- Non ti conosco. E dal momento che non capisco perché
sono seguito, non so di chi posso fidarmi. Probabilmente ti ho già detto anche
troppo.
- Be’, non ti biasimo. Neanch’io lo farei se fossi al posto tuo.
- Grazie per la comprensione.
- Devo ammettere, comunque, che sono curioso riguardo te e tuo padre. Quel poco che mi hai raccontato ha destato il mio interesse. Ne so qualcosa di storia, Glauco, dato che studio politica. Sono un grande ammiratore di Marco Aurelio. Roma non è più stata la stessa dalla sua morte e dall’avvento di Commodo. Poi, naturalmente, tutto si disintegrò dopo che fu ucciso nell’arena e il comando andò al miglior offerente sotto il controllo dei pretoriani.
Glauco decise di trarre beneficio dalla direzione che la
conversazione aveva preso.
- Hai mai sentito parlare di un comandante pretoriano di nome Quinto? Non
conosco il suo cognome.
- Sì. Era comandante dei pretoriani sotto Commodo. - La testa di Mario si abbassò ed egli chiuse gli occhi, come se l’escludere il mondo lo avrebbe aiutato a convogliare le informazioni desiderate alla sua mente. - Claro. Il suo nome era Quinto Claro, credo.
- Hai buona memoria.
- Sono tagliato per le banalità.
- Non è una banalità per me. Prima di diventare comandante dei pretoriani, Quinto Claro era il legato di mio padre. Fu promosso a comandante dei pretoriani la stessa notte in cui Marco Aurelio morì e mio padre scomparve.
- Bene… questo è molto interessante. Davvero molto interessante.
- Che ne è stato di lui?
- Afferrò il controllo di Roma come comandante pretoriano dopo che Commodo fu ucciso. C’era un senatore a quel tempo… Gracco, credo… che fu incaricato di restituire l’impero ad una repubblica. Non sono certo di chi gli diede l’autorità per farlo. E il giovane Lucio Vero avrebbe dovuto succedere a Commodo. Ma Lucio era solo un bambino e Gracco solo un senatore. Nessuno dei due aveva alcun potere. Quinto e i pretoriani si impadronirono del controllo di Roma e procedettero a mettere all’asta il trono al miglior offerente… con tutti i profitti che andavano ai pretoriani, naturalmente. Fu uno dei periodi più bui della storia romana e l’impero fu molto instabile per un po’.
- Per quanto?
- Ecco, finché Settimio Severo prese il controllo, in realtà. Piuttosto a lungo.
- Che ne fu di Quinto, allora?
- Severo non si fidava di nessuno che non conoscesse personalmente. Quando marciò a Roma con i suoi eserciti settentrionali, egli sostituì tutti i pretoriani con i propri uomini. Non riesco a ricordare tutti i dettagli, ma fu una storia interessante. Severo riunì tutti i precedenti pretoriani e li privò di ogni potere, ordinando loro di uscire da Roma, per l’esilio.
- Esilio?
- Sì. Non fu permesso loro di vivere entro un centinaio di miglia da Roma. Furono spogliati delle loro terre e ricchezze, perfino dei cavalli. Ora ricordo… una storia circa un pretoriano il cui cavallo cercò di seguirlo. Egli uccise il cavallo e poi si uccise. Furono completamente disonorati.
- Quindi Quinto non sarà a Roma.
- Non è probabile… se anche sia ancora vivo.
La bocca di Glauco si strinse in
una linea sottile.
- Speravo di trovarlo qui. Egli ha le risposte a molte delle mie domande.
- Io potrei aiutarti, Glauco. Ho amici… contatti… che sono stati a Roma per molto tempo. Amici di mio padre. Potrebbero essere in grado di aiutarti a trovarlo.
Glauco si alzò e attraversò il pavimento a mosaico, appoggiandosi
contro il muro, così che la luce illuminasse Mario piuttosto che nasconderlo.
- Lo apprezzo molto, ma se mi aiuti potresti mettere a repentaglio la tua
posizione qui. Per qualche ragione Severo non vuole che io scopra alcunché. Cercò
di mandarmi ad Oriente dalla Germania. Sono certo che non ha gradito
che non lo prendessi in considerazione.
- Non è un uomo a cui piace che i suoi desideri vengano ignorati, - convenne Mario. - Ma, io sono un uomo a cui piace dare un pizzicotto al naso delle persone, anche se brandiscono molto potere. Tieni a mente una cosa, Glauco. Un uomo è un imperatore solo fino a che non ne arriva un altro. Le sue possibilità di regnare a lungo, in questi giorni sono sottili… è veramente una posizione molto insicura. Ancor più sottili sono le sue possibilità di stabilire una dinastia, che è quello che Severo spera di fare. Guarda quanti imperatori sono stati assassinati…
- Come Marco Aurelio.
- Be’… ci furono certamente delle voci al riguardo, ma niente è mai stato provato. Tu pensi che sia stato assassinato?
- Sì.
- E… ha qualcosa a che fare con tuo padre?
- Lui non ha nulla a che fare con la morte dell’imperatore, - disse Glauco in tono reciso, ma poi abbassò la voce, - ma potrebbe aver saputo la verità su quel che accadde. Come ho detto, Commodo ordinò che fosse giustiziato proprio la notte della morte di Marco Aurelio, ma ogni evidenza punta al fatto che egli fuggì.
- Per dove?
- Non lo so. Potrebbe essere ritornato in Ispania per breve tempo, ma poi scomparve.
- Ed è per questo che pensi che possa esser stato imprigionato qui?
- E’ possibile.
- Bene, se mai è stato a Roma c’è buona possibilità che sia stato gettato nella prigione Tulliana, ma nessuno potrebbe sopravvivere a lungo in quel buco degli inferi brulicante di malattie, perciò non sperare troppo. I romani sono contabili tristemente famosi, così se mai è stato in prigione la cosa sarà stata annotata. - Mario si spostò lentamente mettendosi di fronte a Glauco. - Vuoi che vada laggiù per te? Potrebbe essere più sicuro se non ti fai vedere.
- No, devo vedere con i miei occhi. - Egli sorrise per ammorbidire il suo tono. - Grazie, Mario, ma ho bisogno di fare questo da solo.
- Allora, verrò con te. - Sollevò una mano per zittire le proteste di Glauco. - Non hai idea di quanto fosse noiosa la mia vita, amico mio, finché non sei arrivato tu, portando con te l’intrigo. - Afferrò le spalle di Glauco. - Non mi aspetto che ti fidi di me completamente finché ti avrò provato che dovresti. Nel frattempo, lascia soltanto che mi aggreghi e che ti aiuti in qualsiasi modo mi sia possibile.
Glauco esitò solo per un istante prima di annuire.
- Bene. Adesso andiamo a divertirci un po’, facendo perdere la tua scorta pretoriana.
- Che cosa suggerisci di fare?
Mario sogghignò e annuì verso la finestra.
- Ho già usato quel trucco.
Mario fece la faccia lunga per la delusione. Pensò per un
istante.
- Oh. Ecco… non presteranno attenzione ad un gruppo di vecchiette che lasciano
l’insula, vero?
Fu il turno di Glauco di alzare le sopracciglia.
- Ogni pomeriggio, tre signore escono per andare a far compere con le loro serve. Potrebbero diventare un gruppetto di cinque.
- Io ho la barba, nel caso tu non l’abbia notato, e tu sei troppo alto per essere una vecchietta.
- Radila… e io mi curverò. Le signore ci presteranno indumenti e parrucche. Anche loro si annoiano.
Glauco si accigliò.
- Guardati, giovanotto. La tua barba ricrescerà in pochi giorni.
Glauco resistette all’impulso di portare la mano al mento. Infine sospirò e annuì, poi il cipiglio gradualmente divenne un sogghigno, mentre seguiva Mario fuori dell’appartamento.
Due ore dopo, cinque signore ciarliere uscirono con le loro serve dalla porta principale dell’insula. Dalle ombre all’altro capo della via, due uomini esaminarono con aria casuale il gruppo, prima di riprendere a rivolgere gli sguardi alla porta e appoggiarsi di nuovo contro il muro, sperando di essere presto sollevati dal tedioso incarico di seguire Massimo Decimo Glauco.