La Storia
di Glauco: Capitolo 24
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Capitolo 24 - La Suburra
Le istruzioni di Mario erano state molto accurate e Glauco presto lasciò il centro di Roma per uno dei suoi sobborghi. Le vie si restrinsero e rabbuiarono, dal momento che la notte era calata completamente e solo poche torce illuminavano il cammino. Più di una volta Glauco si fermò e rifletté sulla prudenza di quell’escursione nottetempo in territorio sconosciuto, ma la Suburra non era distante e lui era quasi arrivato. Inoltre aveva bisogno di un luogo dove alloggiare.
Sentì l’odore della Suburra ancor prima di vederla. Il suo naso si arricciò per il disgusto mentre le fogne all’aperto rovesciavano nell’aria esalazioni pestilenziali… una pungente combinazione di feci, urine e vomito. Lo stentato luccichio delle stelle era eroso da decrepiti edifici che si contorcevano per nove piani nel cielo da entrambi i lati della stretta stradina. La sola luce a guidarlo proveniva da un’occasionale torcia e da pallidi sprazzi di luce che si riversavano attraverso le fessure nel legno rotto dei muri delle insulae, creando frastagliate forme gialle sulla strada di pietra.
Glauco lanciò un’occhiata al di sopra della spalla cercando i suoi inseguitori pretoriani… sperando, per la prima volta, di intravvederli nelle tenebre. Sia che fossero amici o nemici, la loro presenza familiare sarebbe stata confortante. Ma era solo. I suoi istinti gli dissero di correre, invece sembrava aver messo radici sul posto, inchiodato dall’orrore di quanto lo circondava. La tensione, come elettricità statica sul dorso di un gatto, gli montò attraversò il corpo e le membra frementi. Fletté le ginocchia e sguainò la spada, ruotando la testa a destra e a sinistra. Tetri vicoli si perdevano nell’oscurità, ma non prima che la fioca luce rivelasse pile di spazzatura brulicante di ratti e ringhiosi cani emaciati che si radunavano in cerca del loro pasto notturno. Si contendevano gli scarti con gli umani, curvi e inabili per le deformità, che prendevano a calci i cani bercianti per contendersi brandelli infestati dai vermi. Altri esseri giacevano ammucchiati contro muri sbrecciati, addormentati o privi di conoscenza, immersi negli incessanti rumori di bambini che piangevano, adulti che urlavano e lamenti malati di dolore e disperazione.
Glauco era inorridito e affascinato. Non aveva mai immaginato che Roma fosse così. Aveva pensato che l’intera città fosse come il glorioso foro… elegante e pristino. La Suburra era diversa da qualsiasi cosa avesse mai visto o immaginato. Come si poteva permettere che la gente vivesse in quel modo nella più illustre città dell’impero?
Glauco si acquattò e roteò quando qualcosa lo afferrò alla
manica, la spada pronta. La donna non sussultò minimamente quando si trovò faccia a faccia con l’arma mortale. I suoi occhi lo
setacciarono sfrontatamente.
- Cosa ti piace, bello? Lavoretto di mano? Di bocca?
Posso farteli tutti e due se sei all’altezza. - Il
tanfo proveniente dalla donna gli fece rivoltare lo stomaco ed egli
indietreggiò. - Cosa c’è che non va, tesoro? - disse
la donna avvicinandosi. Era penosamente magra e la tunica le pendeva a
brandelli dalle spalle ossute. Ferite ulcerate sulle sue gambe trasudavano pus
giallo. - Perché non mi dici cosa vuoi… mhh? -
All’improvviso ella si voltò e strillò ad una forma dietro di lei. - Va’ via! L’ho visto prima io! - La forma
schizzò via.
Quasi frenetico, Glauco frugò nella tunica ed estrasse
qualche moneta. - Qui… qui, prendi queste e comprati qualcosa da mangiare. - Le
gettò le monete ai piedi. Gli occhi di lei fiammeggiarono improvvisamente e
dita ossute raccolsero le monete. Ella si girò e fu inghiottita dal buio. Troppo tardi egli si rese
conto del proprio errore. Forme umane di tutte le forme
adesso strisciavano verso di lui ed egli brandì la spada in preda al panico.
- State indietro! State lontani da me! Non ne ho altre.
- Ti prego, signore, - implorò una forma. - Muoio di fame. - Il suo appello fu ripreso da dozzine di altre creature. Glauco indietreggiò lentamente finché i polpacci entrarono in contatto con qualcosa di peloso. Il cane guaì e Glauco cadde in ginocchio accanto ad una fogna aperta. La sua mano colpì la melma, salvandolo da una caduta, ma facendolo entrare in contatto con qualcosa di viscido e putrido. Il cane ringhiò, rizzando il pelo del collo per tuffarsi sull’oggetto, ghermendolo e portandoselo via. Glauco intravvide delle costole e una spina dorsale. Erano i resti di un neonato.
Con un unico, rapido movimento balzò in piedi e prese a correre. I suoi piedi a malapena toccavano il terreno mentre si lanciava in direzione del Foro… e della luce, della pulizia e della salvezza. Solo quando fu certo che gli spettri della Suburra erano lontani dietro di lui, si fermò a vomitare al lato della strada. Tremando, si tirò in piedi e si diresse verso il Palatino. Aveva un conto da regolare.
- Eccoti, Glauco, sono contento di… - Le parole di Mario si fermarono bruscamente quando il pugno di Glauco gli si abbatté sulla mascella, la testa gli scattò all’indietro, ed egli crollò sul pavimento a mosaico del suo appartamento, scivolando sulla schiena mentre la bocca si spalancava per lo stordimento. Giacque strofinandosi il mento, e la sua espressione allarmata cambiò in un sogghigno mentre osservava il giovaneispanico infuriato.
- Figlio di puttana. Avrei potuto essere ucciso!
Mario rise.
- E’ molto improbabile, a meno che quella spada al tuo fianco sia solo un
ornamento. Ho scelto di credere che tu sapessi come usarla. - In un battibaleno
si ritrovò quella spada sotto il mento, obbligandolo di nuovo a tirare indietro
la testa, e il suo sorriso si spense. Sollevò una mano implorante. - Avanti,
Glauco, sii ragionevole e mettila via. Non ti è successo nulla.
- Mi sono spaventato a morte. Quel luogo supera ogni descrizione e tu sapevi esattamente dove mi stavi mandando.
La mano di Glauco tremava per la furia e Mario allungò cauto
un dito e spinse da parte la punta della spada.
- E’ vero, e non riesco a pensare ad un altro uomo che
avrei osato mandare laggiù, perché probabilmente sarebbe stato fatto a
pezzettini da cani ed esseri così affamati da poter mangiare carne umana. Tuo
padre era un generale e tu porti la sua spada. Come ho detto, hai l’aria di uno che sa come usarla. Inoltre, non è
successo nulla e tu sei di nuovo qui dove avresti dovuto essere. Adesso, perché
non vai a prendere quel contratto e non lo firmi?
- Mi hai mandato alla Suburra solo perché tornassi qui? - Glauco era incredulo e lasciò che la punta della spada si abbassasse innocua. - Perché?
- Te l’ho detto. Sono egoista. Sono stufo di assecondare vecchiette ascoltandole blaterare dei loro malanni e dolori. - Tese le braccia. - Dài. Aiutami a tirarmi su. - Glauco lo ignorò e gli girò la schiena mentre Mario lottava per rimettersi in piedi e muoveva con prudenza la mascella, poi si lisciava la toga. - Hai proprio un bel pugno.
Il suo commento incontrò il silenzio.
- Sai una cosa? Perché non resti qui stanotte? Potrai firmare il contratto domani mattina. Ho una stanza da letto vuota… e un bagno. Credimi, Glauco, - rise Mario, - hai proprio bisogno di un bagno.
Glauco rinfoderò la spada,
ma era ancora agitato mentre si dirigeva verso la porta.
- Devo vederla stanotte se resto qui in affitto.
Potrebbe affittare l’appartamento a qualcun altro.
- Non lo farà. Ho già pagato i tre mesi di caparra per te. Tu potrai restituirli a me.
Glauco si voltò e fissò con stupore il giovane divertito.
- Sei proprio un bastardo arrrogante!
- Assolutamente!
- Non ho molta scelta, vero?
- In realtà, no, Glauco. Mi dispiace averti mandato laggiù stanotte. Vieni dalle province, vero? - Al cipiglio di Glauco, Mario aggiunse in fretta. - Non volevo insultarti… lungi da me. Volevo semplicemente dire che probabilmente non hai mai visto qualcosa di simile alla Suburra…
- Questo è un eufemismo.
- …e sei rimasto più scosso di quanto io pensassi.
- Perché Roma lascia che esista un posto come quello?
Mario sorrise tristemente mentre si spostava verso uno stipo
e prendeva due coppe e una brocca decorata. Mentre
versava il vino spiegò:
- I senatori non devono fare niente perché quel posto si prende cura di se
stesso. - Mentre Glauco sollevava le sopracciglia,
egli continuò. - Incendi. Tutto il tempo. Questi posti sono altamente
infiammabili e prendono fuoco ogni mese o giù di lì, decimando considerevolmente
la popolazione di Roma. - Tese la mano verso una sedia di cuoio. - Vieni.
Siediti. - Egli si accomodò in un’altra sedia di cuoio di fronte a Glauco. -
Inoltre, molti uomini della classe senatariole fanno buon uso del posto.
Glauco ricordò la prostituta e pensò di sapere dove stava andando la conversazione.
- Sesso a buon mercato.
- Ho visto i veicoli del “sesso a buon mercato”. Non posso credere che qualcuno rischierebbe di toccare quelle donne malate.
- Oh, non sono le donne quello che vogliono. Gli uomini che vanno laggiù vogliono il frutto proibito… altri uomini… ragazzi. Soddisfano desideri che non oserebbero rischiare di spegnere nella Roma rispettabile. Gli uomini e i bambini della Suburra sanno che sopravviveranno tanto quanto terranno chiuse le loro bocche sui loro protettori. Se si lasciassero sfuggire una parola, morirebbero e a nessuno importerebbe nulla.
Glauco rimase in silenzio per un momento fissando il
pavimento.
- Roma non è quella che pensavo, - disse sommessamente.
- Già disilluso? - scherzò Mario. - Ancora non hai nemmeno visto la parte peggiore.
- Che cosa vuoi dire?
- Le prigioni. Hai detto che volevi visitare le prigioni.
Glauco annuì.
- Qualche ragione particolare?
- Sto cercando qualcuno che potrebbe essere stato imprigionato a Roma.
- Chi?
Glauco guardò Mario dritto negli occhi e disse piattamente:
- Mio padre.
Mario si drizzò a sedere sorpreso, il liquido nel bicchiere gli
si rovesciò sulla mano, gocciolandogli dalle dita come sangue.
- Il generale?
Glauco era contento di essere riuscito a sconvolgere questo giovane
arrogante.
- Sì, il generale. Generale delle legioni Felix e comandante delle legioni settentrionali sotto Marco Aurelio. - Sospirò
profondamente e sussurrò. - Mio padre.
Mario crollò indietro sulla sedia.
- Glauco, c’è una sola prigione in Roma dove un uomo come tuo padre sarebbe
tenuto… la prigione Tulliana. Ma…
- Dov’è?
- Devi discendere il Clivo Argentario che, presumo, è la strada da cui sei entrato in Roma, poi girare a sinistra su Vico Pallacinae. C’è un accampamento d’esercito laggiù, dove vivono i pretoriani, e la prigione fa parte di quel grosso complesso. I pretoriani dirigono la prigione Tulliana che è parte della prigione Lautumiae.
Glauco si chiese se era lì che alloggiavano i “suoi”
pretoriani.
- Perché la dirigono i pretoriani?
- Perché è una prigione di stato dove sono tenuti i prigionieri politici. Gente importante… La sorella di Cleopatra, Arsinoe, vi fu imprigionata. Anche i capi tribù, dopo che vengono ostentati in parata per tutta Roma. Poi vengono giustiziati lì. Comuni criminali sono tenuti nella prigione Lautumiae prima di essere imbarcati per le arene e mandati a morire. Glauco, - disse Mario esitante, - le condizioni là sono spaventose… indescrivibili… e i prigionieri raramente sopravvivono. Per quanto tempo tuo padre è stato lì?
- Non so se è mai stato lì, ma se fosse… quasi diciotto anni.
Mario si limitò a scuotere la testa, poi lentamente si alzò
e si avvicinò a Glauco, prendendogli la spalla per confortarlo.
- Vieni, amico mio, e ti mostrerò dove sono il bagno e la tua camera. E’ molto tardi e ti aspettano momenti duri. - Glauco si alzò
e lo guardò. - Posso restare per un po’ di tempo lontano dai miei studi, -
continuò Mario. - Ti aiuterò nella tua ricerca di tuo
padre. Mi dispiace proprio molto che il tuo primo viaggio a Roma debba essere
in queste circostanze.
Glauco annuì e sospirò ancora.
Mario gli diede un colpetto sul mento in una giocosa
imitazione del colpo che lo aveva buttato a terra poco prima. Glauco finalmente
sorrise.
- E poi ti farò fare un giro dei bagni e lupanari più
eleganti di Roma, amico mio. Dobbiamo almeno fare in modo che la tua visita sia
divertente.