La Storia di Glauco: Capitolo 23

 

Capitolo 23 - L’insula

Glauco stava per bussare alla porta una terza volta quando essa venne spalancata bruscamente. Non c’era nessuno.

- Sì? - abbaiò una voce femminile.

Egli regolò lo sguardo abbassandolo verso la donna molto bassa che stava in piedi nell’atrio ombroso, ma tutto ciò che riuscì a vedere di lei con chiarezza fu un’enorme massa di riccioli castano chiaro acconciati in modo intricato.

- Avete un appartamento da dare in affitto? - chiese ai capelli.

- Chi te l’ha detto?

- Uh... il proprietario del ristorante a pianterreno. Ho cenato lì e chiesto...

- Orbene, io sono molto esigente riguardo a chi affitto i miei appartamenti. - Cominciò a chiudere la porta, ma egli la bloccò con la punta del piede. Irritata, fece un passo indietro e lentamente, con fare insultante, lo esaminò da capo a piedi. - Perché sei vestito in quel modo?

- Sono in lutto. - Anche Glauco le diede una buona occhiata. ‘Vecchia’ fu la sua prima impressione.

- Per chi?

- Mia madre e mio fratello.

- Da dove vieni?

- Ispania.

Ella ricominciò a chiudere la porta e Glauco di nuovo la bloccò col piede.
- Non affitto a quelli come te, - dichiarò la donna con convinzione.

- Quelli come me? Che cosa vorresti dire?

- Quello che voglio dire è che affitto solo alla classe senatoriale. Tu... ovviamente... non ne hai la qualifica.

- E invece ce l’ho.

Ella continuò a lanciargli occhiatacce sospettose e alzò la testa, emanando aria di superiorità da ogni poro. In quello stesso istante, un magro giovane con una toga bianca si aprì a fatica la strada attraverso la porta dietro Glauco e a voce alta disse in tono affabile:
- Buona sera, signora Onoria. - Lei lo ignorò. L’uomo rallentò il passo mentre attraversava l’atrio e lanciava indietro un’occhiata a Glauco con curiosità.

- Provalo, - ella ordinò, dubitando ancora del lignaggio di Glauco.

Glauco abbassò lo zaino sulla soglia e rovistò all’interno in cerca dei documenti di suo padre. Porse alla donna quello appropriato e la osservò avvicinarsi alla luce e tenere il documento a distanza di braccio, socchiudendo gli occhi mentre leggeva le parole. Glauco lanciò un’occhiata all’uomo nell’atrio che stava appoggiato ad una porta osservando con evidente divertimento come procedevano le cose.

- Tuo padre è un generale? - chiese la donna.

- Sì, signora.

Ella gli gettò indietro il documento, poi alzò la testa ed esaminò la fibula scintillante che si trovava allo stesso livello della sommità dei suoi capelli.
- L’appartamento è costoso. Hai denaro?

- Quanto costoso?

Lei glielo disse ed egli inghiottì.

- E l’affitto è da pagarsi all’inizio di ogni mese. Mi aspetto tre mesi d’affitto in anticipo.

- Posso vedere il posto?

- Ti puoi permettere di vedere il posto?

- Sì... Vorrei vederlo.

- Non ci puoi portare donne.

- Sì, capisco.

- Niente feste.

- Sì...

- La maggior parte dei miei inquilini è gente tranquilla e non vuole avere fastidi.

- Naturalmente, no, domina. Non ti accorgerai nemmeno che ci sono, te l’assicuro.

- Bene, allora vieni. Seguimi. - La piccola donna si voltò e scomparve nelle ombre.

- Psst!

Glauco si fermò di colpo e guardò il giovane dall’altro lato dell’atrio.

- Sai leggere il greco? - sibilò quello.

- Il greco?

- Sì… lo sai leggere?

- Sì.

- Bene. Il contratto d’affitto è in greco così lei può scartare quelli poco istruiti e indegni. L’uomo strizzò l’occhio a Glauco e infilò una chiave nella serratura della sua porta. - Buona fortuna.

- Arrivi o no? - gridò la proprietaria dall’altra parte della stanza e Glauco si affannò a raggiungerla. Mentre lei camminava egli cercò di indovinare la sua età. Piuttosto vecchia, fu tutto quello che riuscì a concludere. I capelli erano una parrucca… ne era certo. I folti riccioli castano chiaro semplicemente non c’entravano nulla con la faccia profondamente rugosa. Le guance erano imbellettate e le labbra impiastricciate di rosso scuro, e il colore le colava nelle rughe verticali attorno alla bocca. Indossava un indumento di tessuto costoso, ma che si adattava poveramente alla sua figura avvizzita... troppo stretto in certi punti, troppo largo in altri. Parlava all’aria di fronte a lei mentre camminava e Glauco si sforzò di udire cosa stava dicendo.

- ...solida pietra così nessun pericolo d’incendio, - decantò. - Poche altre insulae in Roma possono vantarsene. Anche soffitto alto. - Fece fluttuare la mano sopra la testa e Glauco notò i pesanti anelli su ogni dito. - Limitati a guardarli. - Raggiunse una rampa di gradini e cominciò a salire, mettendoci tutto il tempo necessario e arrivando ansimante al terzo piano. - Il primo piano è per negozi e ristoranti, come hai notato… negozi molto esclusivi nel caso non lo avessi notato.

- Erano molto belli. - In verità, egli non li aveva degnati nemmeno di un’occhiata.

- Soltanto il meglio in questa zona della città. Siamo solo a pochi isolati dal palazzo, sai, e i più raffinati cittadini di Roma vivono nelle case del vicinato. Ci sono pochissime insulae nei dintorni e io posso permettermi di essere molto pignola su chi accettare come affittuario.

- Sì, signora. Capisco.

Ella annuì.
- Il secondo piano è dove abito io.

Glauco si chiese chi fosse l’uomo dai capelli neri che aveva aperto con una chiave una porta su quel piano. Anche lui chiaramente abitava lì.

- Ci sono quattro appartamenti su questo piano, uno ad ogni angolo. - Ella si fermò davanti a una porta di quercia massiccia intagliata ed estrasse una chiave dalla scollatura del vestito. Spinse la porta e scomparve nella stanza, parlando di nuovo. - Questo è l’ingresso, come puoi vedere. Bel marmo verde… mica rozza pietra, in questo posto. Pavimento a mosaico. La sala da pranzo è là, - indicò. La sua voce si affievolì mentre si eclissava in un’altra stanza e Glauco a malapena ebbe il tempo di guardarsi in giro. - Questa è la camera da letto. Non grande, ma piuttosto confortevole per uno. Buona mobilia, come puoi vedere. Mi aspetto che resti tale. - Si voltò bruscamente e spinse Glauco di lato rientrando nell’ingresso, poi si diresse verso la cucina. - Cucina, - gesticolò con la mano. - Il bagno è di là, con acqua corrente e scarico fognario... davvero molto rari a Roma. - Gli lanciò un’occhiata per essere sicura che avesse udito ed egli annuì in segno di riconoscimento. In verità, era impressionato da quel posto. - Guarda fuori da quella finestra laggiù, - ordinò la donna.

Glauco guardò oltre il tetto di tegole rosse in un bel cortile con cespugli fioriti, una fontana di marmo e statue. Un grande albero di limoni faceva ombra a due panchine e una donna sonnecchiava in una di esse, russando rumorosamente, il mento posato sul petto e il corpo abbandonato in una massa informe.
- Molto bello, - disse.

- Puoi raggiungerlo dal primo piano. - Posò le mani sui fianchi larghi. - Ebbene?

- E’ meraviglioso. Mi piacerebbe essere inquilino qui, signora.

Ella lo valutò per un lungo momento, come cercando di decidere se rispondeva ai requisiti da lei imposti, poi disse:
- Aspetta qui mentre vado a prendere il contratto. Non toccare nulla.

Glauco approfittò della sua assenza per guardare meglio l’appartamento. Era luminoso, pittoresco e pulito. Murali di scene di giardini facevano arrivare l’esterno all’interno. Era fortunato ad averlo trovato.

- Ebbene? - chiese una voce maschile.

Glauco si voltò e scoprì l’uomo del primo piano in piedi sulla soglia. Non sapeva se essere seccato o divertito.
- Ho intenzione di prenderlo.

- Eccellente! - L’uomo tese la mano. - Mi chiamo Mario Vipsanio Agrippa e abito al primo piano.

Glauco gli strinse la mano.
- Glauco. Massimo Decimo Glauco.

- Un nome appropriato, - sorrise Mario mentre valutava il nuovo venuto. - Sei riuscito a passare ogni prova, fino ad ora… sei pronto per la prossima?

- Leggere il greco?

- Sì.

- Non dovrebbe essere un problema, ma grazie per avermi avvisato.

- L’ho fatto per ragioni puramente egoistiche, credimi. Sono talmente stanco di essere l’unico maschio in questo posto e la sola persona senza un piede nella tomba. E’ popolato da vecchie vedove ricche che hanno abbandonato le loro case sulla collina per trasferirsi qui. Non sai quanto privilegiato tu sia ad incontrare l’approvazione di lei.

Glauco provò immediatamente simpatia per quel giovane di buon cuore che aveva pressappoco la sua stessa età. I suoi capelli erano una massa di riccioli neri indisciplinati e i suoi occhi erano d’un castano scurissimo. Non era particolarmente bello… il naso era troppo largo e la bocca troppo sottile… ma il suo buon carattere lo rendeva molto attraente.
- E’ evidente che anche tu hai passato i suoi esami.

Mario ridacchiò.
- Non ho nemmeno dovuto farlo l’esame. Mio padre è un senatore, attualmente governatore di Cappadocia, e vive qui quando si trova a Roma. Mia madre e le mie sorelle abitano alla nostra villa estiva ad ovest della città, così io resto qui per studiare.

- Che cosa studi?

- Politica, che altro? Mio padre mi sta educando alla grandezza. Passo il tempo con i precettori, nelle biblioteche e al senato. Le mie notti, ahimé, sono state molto opache. - Abbassò la voce ad un sussurro cospiratorio. - Le cose potrebbero cambiare adesso che tu sei qui.

- Dovrò adempiere molti compiti mentre sono a Roma, Mario.

L’uomo scosse le spalle sottili.
- Non puoi lavorare per tutto il tempo. Da quanto sei qui?

- Sono arrivato proprio oggi.

- Sei mai stato a Roma prima?

- No.

- Bene, allora, permettimi di farti da guida.

- Grazie, lo apprezzo molto.

- Che cosa ti piacerebbe vedere per prima cosa?

- Le prigioni, poi i lupanari.

Mario fu momentaneamente colto di sorpresa, ma si riprese in fretta.
- La maggior parte della gente vuole vedere palazzi e templi e arene. Posso capire i lupanari, e io conosco personalmente i migliori… ma perché le prigioni?

- Ragioni personali.

- Ah… molto criptico, - rifletté Mario. Si spostò di fianco a Glauco. - Scommetto che quella spada va bene per cominciare le conversazioni… o per concluderle.

Le dita di Glauco si strinsero di riflesso attorno all’elsa.
- E’ di mio padre.

- E’ il sigillo di Marco Aurelio quello sull’elsa?

Glauco abbassò lo sguardo sulla spada e apprezzò di nuovo Mario. Aveva lo sguardo acuto e si lasciava sfuggire pochissime cose.
- Sì, è quello.

- Bene… sarà magnifico averti qui, Glauco.

- Grazie…

- Ecco qui, - disse la proprietaria irrompendo nella stanza senza un’occhiata a Mario. - Leggi e firma.

Glauco prese il contratto e si spostò vicino alla finestra per vedere meglio. Il documento era davvero scritto in greco… greco molto formale. Glauco ricordò a se stesso di ringraziare il suo precettore che aveva insitito che la conoscenza di quella lingua era importante, se doveva diventare un grande uomo. Dal momento che egli non aveva alcun interesse, a quel tempo, nel fare qualcosa di diverso che far galoppare cavalli, aveva studiato con riluttanza. Adesso i suoi studi lo ripagavano. All’improvviso il suo volto si oscurò ed egli alzò lo sguardo sulla donna e su Mario che ancora rimaneva nascosto sulla soglia.
- Un anno? Devo firmare per un anno? Io non intendo rimanere a Roma per un anno, domina.

- E’ il termine su cui insisto. Non voglio gente che va e viene ogni momento. E’ un anno.

- Io… mi dispiace. Dovrò cercare altrove, allora. - Era davvero deluso.

- Quanto intendevi restare? - chiese lei.

- Pochi mesi al massimo.

- Allora non si può fare... Insisto per un minimo di otto mesi e non l’ho mai fatto per nessun altro.

- Mi dispiace. - Glauco con riluttanza restituì il contratto e raccolse lo zaino. - Mi puoi dire dove altro potrei andare?

- Non troverai nessun altro appartamento nei dintorni, giovanotto. Ci sono pochissime insulae in questa zona e non ci sono appartamenti sfitti.

- Puoi provare alla Suburra. Ci sono molte insulae laggiù, - disse Mario pronto ad aiutare.

La vecchia si limitò a tirar su col naso.

- Come ci arrivo?

- Torna verso il Foro, poi gira a destra sul Clivo Orbio. Prendi qualunque via sulla sinistra e gira a destra sulla Suburra Maggiore. Potresti non avere molta fortuna a quest’ora della notte, però.

- Dovrò provare lo stesso. Signora… mi dispiace averti fatto perdere tempo. Mario, è stato bello incontrarti.

- Ci rivedremo ancora, amico mio, - gridò Mario mentre Glauco scendeva le scale.