La Storia di Glauco: Capitolo 22

Capitolo 22 - Roma

La strada sembrava simboleggiare il potere e la potenza dell’Impero Romano… dritta e forte laddove tagliava tra le colline e le rupi e attraversava larghi fiumi nel suo viaggio risoluto verso la capitale dell’impero. Glauco spronò Ultor ad un piccolo galoppo, provando soddisfazione ogni volta che gli altri viaggiatori si scansavano dal percorso del possente stallone, cedendogli il passo nel modo in cui la campagna aveva ceduto il passo alla Via Flaminia, la strada principale che collegava l’Impero Settentrionale a Roma. La sua schiena era dritta come la strada, la sua volontà forte come la pietra sotto gli zoccoli del suo cavallo.

Glauco da qualche giorno aveva perso interesse nei pretoriani che lo stavano seguendo ed ora era totalmente concentrato sulla sua missione. Lo stomaco gli si strinse per l’eccitazione mentre si avvicinava agli aggraziati archi di pietra del Ponte Milvio che attraversava il Tevere appena a nord della città. Fece fermare Ultor sul ponte e abbassò lo sguardo per un istante sul riflesso della luce del sole del tardo pomeriggio che danzava sulla superficie increspata dell’acqua, poi alzò lo sguardo e osservò il fiume curvare pigramente dietro una collina lontana, dove sui suoi declivi spuntavano, tra ulivi e limoni, eleganti ville bianche, le cui terrazze offrivano viste mozzafiato della città racchiusa nelle mura. Erano lussuose case di campagna, dove i romani agiati potevano sfuggire al trambusto e alla calura della città.

 

Roma - Ponte Milvio[1]

Era quasi arrivato. Roma era vicinissima ormai.

Tuttavia Glauco rallentò l’andatura fino a doversi mettere al passo, proprio a sud del ponte. Il traffico proveniente da molte parti dell’Impero Settentrionale ed Orientale convergeva sulla Via Flaminia, che ora faticava a controllarlo tutto. Carretti ingombranti, pesanti carri e cocchi leggeri rivaleggiavano per rubare spazio ad impazienti cavalieri e cauti pedoni, e tutti avevano affari da svolgere nell’enorme capitale dell’impero. Polli ed oche starnazzavano e sbattevano le ali, le loro piume fluttuavano nell’aria immota, e maiali sbuffavano e strillavano dai loro angusti quartieri all’interno dei carri-gabbia. Contadini conducevano vacche lungo la strada verso i mercati della carne all’interno delle mura della città, assicurando carne fresca ai cittadini, ma lasciando un puzzolente sudiciume sulle strade, prodotto anche da cavalli e buoi che tiravano i veicoli. Carichi d’ogni genere erano legati, destinati ai grandi mercati di Roma, incluso il carico umano spedito ai mercati di schiavi e alle arene. Uomini, donne e bambini con occhi incavati lo fissavano senza speranza da dietro le sbarre, ed egli distolse gli occhi, incapace di incontrare il loro sguardo desolato.

Un carretto rovesciato bloccò il traffico per quasi un’ora, finché il veicolo fu raddrizzato e il suo carico di tegole rosse frantumate spalato via da schiavi, consentendo finalmente ai viaggiatori contrariati di passare, mentre il crepuscolo rapidamente si approssimava. Ora la strada era bordata da entrambi i lati da monumenti di marmo e mausolei di tutte le dimensioni, che formavano lunghe mura ininterrotte, con la strada ed i suoi occupanti intrappolati nel centro. Dapprima i monumenti decorativi inquietarono Glauco, poi lo interessarono, poiché la sua andatura lenta gli concedeva il tempo di esaminare molte delle iscrizioni. Uomini, donne e bambini vi erano immortalati… persone vissute e morte nella grande città ma che, per legge, venivano seppellite al di fuori delle sue spesse mura. Il suo cuore iniziò a correre. Avrebbe trovato il nome di suo padre tra i morti? Avrebbe trovato un monumento ad un generale romano deceduto, morto in circostanze misteriose lontano dalla sua famiglia?

Lentamente, Glauco zigzagò per la strada in groppa allo stallone nero cercando di leggere ogni nome, obbligando i viaggiatori stanchi a scansarsi in fretta dal percorso e facendoli imprecare ed agitare i pugni verso di lui. C’era Massimo lì? Quante migliaia di mausolei c’erano? Questa era solo una delle strade principali di Roma… per tutte sarebbe stato lo stesso. Agitato, trasse qualche lungo respiro per riprendersi e si sforzò di calmarsi. Doveva presumere che Massimo fosse tra i vivi e non tra i morti. Doveva entrare in città.

Finalmente, Roma emerse dalla foschia serale, come un magnifico miraggio. Anche da lontano la sua grandiosità era inimmaginabile. Edifici dalle alte colonne con tetti spioventi di tegole rosse e cupole maestose svettavano al di sopra delle mura della città, disposta a strati ovunque potesse arrivare lo sguardo. Era il crepuscolo, ciò nonostante, quando raggiunse Porta Flaminia… il grande portale di pietra che sorvegliava l’ingresso da settentrione in Roma. Il traffico finalmente si diradò, i pedoni si diressero verso le locande che abbracciavano le mura esterne della città, decidendo di aspettare fino al mattino, ma Glauco non rimase con i veicoli, perché era loro consentito entrare nelle mura solo di notte. Voleva che il suo cavallo fosse sistemato in una stalla sicura vicino a lui. Non aveva idea se qualche camera fosse disponibile a quell’ora, ma non poteva aspettare un’altra notte per entrare nella città che potenzialmente serbava la risposta alle sue domande. Glauco finalmente attraversò il portale ed entrò in Roma proprio quando il sole tramontava dietro un colle ad occidente.

La Via Flaminia continuava il suo percorso dritto e Glauco lo seguì, osservando i viali laterali ombreggiati e curvi che si dipartivano in entrambe le direzioni. Egli tenne Ultor sotto stretto controllo, ma l’animale non era abituato alle folle che aveva incontrato qualche ora prma e stava diventando piuttosto stizzoso. Quando un impaziente guidatore di carro gli sfiorò i fianchi, il cavallo s’impennò e scalciò l’aria con rabbia. Glauco riuscì a fatica a controllarlo poi smontò, tenendogli la testa abbassata e mormorando frasi rassicuranti mentre si spostava sul bordo della strada. La cosa funzionò finché un ubriaco sbucò dal buio e inciampò di fronte all’agitato animale, e Glauco comprese che era tempo di fermarsi per la notte. Dopo qualche altro minuto trovò una locanda con una stalla che aveva spazio per Ultor. Gli diede da mangiare e strigliò lo stallone, poi si avvolse nel mantello e si raggomitolò sulla paglia vicino agli zoccoli anteriori del cavallo, implorando lo stallone di stare attento a dove metteva le zampe. Glauco non aveva intenzione di lasciare da solo l’animale finché non avesse ispezionato la stalla alla luce del giorno, per assicurarsi che rispondeva ai suoi bisogni.

 

 

 

La mattina seguente Glauco decise di visitare a piedi la città. Un poco irrigidito per l’aver dormito sulla paglia e non abituato al rumore della città di notte, era stanco. Chi avrebbe supposto che la città non dormiva mai? Per tutta la notte aveva udito il rimbombo di carretti vicino alla locanda, accompagnato dal rumore degli zoccoli di cavallo e delle chiacchiere e grida dei conducenti. Era cresciuto con le serene notti estive di richiami di grilli e gentili brezze e aveva dormito pochissimo. Comunque, la stalla sembrava essere più che adeguata ed egli prese accordi per alloggiarvi Ultor finché non avesse avuto ancora bisogno di lui.

Alla luce del sole del primo mattino la città sembrava molto più ospitale, ma non meno affollata. I carri e carretti erano spariti, sostituiti da orde di persone a piedi che portavano ceste, predisponendosi a fare la spesa per la giornata. A differenza di Glauco, tutti sembravano avere una destinazione specifica ed egli era costantemente urtato e spinto mentre girovagava. Alla fine lasciò che la marea di umanità lo portasse verso la città, finché un alto edificio circolare attrasse il suo sguardo. La sua mano lasciò l’elsa della spada quel tanto che bastò a farsi strada verso i due enormi obelischi di granito rosa che segnavano l’ingresso ai sotterranei del mausoleo del grande imperatore Augusto e della sua famiglia.  Affascinato, Glauco alzò lo sguardo sulla struttura circondata da eleganti cipressi. In cima al tetto si ergeva una statua dell’imperatore in bronzo dorato, risplendente come fuoco nei raggi dorati del sole mattutino. Aggirò lentamente l’edificio e desiderò rimanere in quel luogo sereno. Invece tornò di nuovo nella calca, determinato a continuare la sua missione.

Adesso sulla via si allineavano dei negozi e i mercanti vantavano il valore delle loro merci e si infilavano tra i pedoni per invitarli a fermarsi e a comprare. Gli furono messi sotto il naso verdure, sapone, pane, sandali di cuoio e polli vivi, poiché i venditori venivano attratti da quel giovane con la spada possente e la fibula scintillante. Alla fine egli sollevò una mano per avvisare i mercanti che non aveva voglia di comprare alcunché.

Stancatosi presto della folla, Glauco ancora una volta si districò e arrivò in una piazza spaziosa e tranquilla circondata da edifici pubblici… il Campo Marzio. Al centro svettava alta nel cielo una singola aggraziata colonna, con sculture in bassorilievo che formavano una spirale attorno alla sua intera circonferenza. Egli inclinò la testa all’indietro per poter guardare direttamente la sommità della colonna poi si avvicinò alla base, che era molto più alta di lui, e rabbrividì quando vide il nome che vi era inciso. Marco Aurelio. La colonna era in onore di Marco Aurelio… il defunto, grande imperatore. Glauco allungò le dita incerte e tracciò ogni lettera incisa del nome dell’imperatore. L’imperatore di suo padre.

Roma - Colonna Aureliana

 

 

 

Colonna Aureliana - particolare

Facendo ancora un passo indietro, camminò lentamente attorno alla colonna, esaminando quello che riusciva a vedere dello straordinario rilievo. Era un monumento alle vittorie in guerra dell’imperatore ed ogni scena che riusciva a vedere mostrava battaglie. C’era anche suo padre? C’era l’immagine di suo padre lì rappresentata… un ricordo permanente del buon rapporto che Massimo aveva con questo grande uomo, immortalato per sempre? Ma, come l’avrebbe mai saputo? Glauco riusciva a vedere solo il basamento della scultura e anche quello non con gran chiarezza. Si allontanò un po’ e si schermò gli occhi per vedere meglio le statue dell’imperatore e di sua moglie, Faustina, proprio in cima. Promise silenziosamente all’imperatore di vendicare il suo generale da ogni torto, fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto in vita sua. Le sue dita si chiusero a pugno mentre abbassava la mano incrociandola sul petto come gesto di saluto al grande uomo. Sapeva che sarebbe tornato in quel luogo.

Il nome della via cambiò in Via Lata; essa curvò e si restrinse considerevolmente per diventare Clivio Argentario e Glauco capì di essere quasi dentro la città vecchia. Il sole era quasi allo zenit quando egli attraversò lo stretto portale delle Mura Serviane, che una volta erano state le mura esterne di Roma Antica. Glauco presto si trovò all’estremità occidentale del Foro Romano[2], il fulcro politico, religioso e commerciale di Roma. Quasi avesse messo radici, rimase immobile, stupefatto. Non avrebbe mai immaginato la grandiosità di quel luogo. Era un enorme piazzale aperto, con una serie di colonne monumentali dedicate a dei e dee, digradanti verso il centro. Qui c’era il Senato, e palazzi, templi, archi e statue. Ovunque la gente si radunava in gruppi per parlare di politica o pettegolare, mentre altri erano impegnati coi loro affari e i forestieri, come lo era lui, semplicemente ammiravano con reverenza la sua pura magnificenza. Rifulgeva e brillava… marmo bianco, verde e grigio, spesso lasciato nella sua naturale bellezza, talvolta scolpito e dipinto. Statue di bronzo e dorate, mosaici intricati, terrazze ricoperte di fiori, fontane gorgoglianti si aggiungevano alla sua gloria. Lentamente, Glauco percorse il foro per la sua lunghezza e tornò indietro, toccando, guardando amorosamente e meravigliandosi ad ogni cosa che vedeva. Si fermò al centro e guardò verso il Tempio di Giulio Cesare, con le sue colonne svettanti e le colossali porte di bronzo. Alla sua destra si ergeva il circolare Tempio di Vesta e oltre quello, sul colle posteriore, si allungava quello che poteva essere soltanto il palazzo reale. All’estremità opposta, oltre gli edifici del Foro, il muro incurvato del Colosseo dominava l’orizzonte e le strilla degli spettatori furono portate alle sue orecchie dalla brezza.

Alla fine, Glauco salì la scalinata del Tempio dei Dioscuri e si sedette sul gradino più alto, nell’ombra fresca delle sue colonne massicce. Chiuse gli occhi e inalò gli odori e i suoni della grande città. Li riaprì e osservò la gente di Roma seguire i propri affari… persone di molte origini etniche provenienti da tutte le parti dell’impero. Erano migliaia.

Migliaia e migliaia.

All’improvviso Glauco fu sopraffatto dalla futilità del suo compito e le spalle gli si accasciarono. Come avrebbe mai potuto trovare qualcosa o qualcuno in un luogo di quelle dimensioni? Una prostituta dai capelli rossi? Un ex comandante pretoriano?

Suo padre? Come avrebbe mai potuto trovarlo?



[1] Dal sito http://www.citrag.it/archi/pagine/ponti/pn_ro05.htm (N.d.T.).

[2] Splendide foto e maggiori informazioni riguardanti il Foro Romano e altri monumenti di Roma antica si possono trovare su molti siti, tra i quali segnalo http://www.activitaly.it/ , http://www.abcroma.com/ e http://www.archeoroma.com/  (N.d.T.).