La Storia di Glauco: Capitolo 18
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Capitolo 18 -
L’interrogatorio
Lo spioncino nella porta si aprì e Glauco affondò le nocche nella branda di
cuoio, si sollevò e si fece avanti per prendere le razioni della giornata. La
sua mano si allungò in cerca del vassoio, ma questo fu subito tirato indietro,
fuori portata.
- Molto divertente, - commentò il prigioniero. - Non basta che io stia qui…
dovete anche tormentarmi? - Il vassoio di cibo non fece ritorno sebbene lo
spioncino rimanesse aperto. Egli si accosciò e sbirciò attraverso la stretta
apertura. Quel che vide fu un altro paio
d’occhi. Sobbalzando, cominciò ad indietreggiare, poi si fermò. - Salve? -
disse cauto.
Non vi fu risposta. Egli fissò gli occhi… strani occhi… senza batter ciglio. - Salve? - provò ancora.
Nessuna risposta.
- Mi chiamo Glauco. Chi sei?
Gli occhi continuarono a fissarlo balenando.
- Senti, divideremo quel cibo, se davvero ne vuoi un po’, ma gradirei averne abbastanza da riempire almeno in parte il vuoto nel mio stomaco.
Non vi fu alcuna risposta dagli occhi.
Innervosito, Glauco indietreggiò finché la parte posteriore delle sue gambe trovò la branda ed egli si sedette. Desiderò di avere un modo per chiudere quello spioncino. Non poteva andare da nessuna parte in quella piccola cella per sfuggire a quello sguardo invadente.
Finalmente, lo spioncino si chiuse di scatto. Un attimo dopo la porta si
aprì e una guardia fece il suo ingresso. Glauco studiò i suoi occhi… non erano
gli stessi che lo avevano appena fissato.
- Alzati, - ordinò la guardia.
Glauco esitò. Stava per essere giustiziato?
- In piedi! - incalzò la guardia, e la sua mano si spostò sulla spada.
Egli si alzò, la mente in subbuglio. Stava per scomparire nello stesso modo
in cui era scomparso suo padre? I suoi familiari sarebbero venuti in Germania,
come avevano fatto per Massimo, solo per non trovare alcuna traccia di lui?
Come poteva lasciare un segno… un indizio che era stato lì? C’era sempre
Giovino, ma il vecchio non era venuto. I suoi pensieri furono interrotti da una
mano sulla schiena e una spinta che lo spedì fuori della porta della cella, per
ritrovarsi faccia a faccia con altre tre guardie.
- Ho bisogno del mio zaino, - disse Glauco.
Le guardie si limitarono a fissarlo come se stesse parlando una lingua straniera.
- Il mio zaino. E’ nella cella. Se sto per essere rilasciato, ho bisogno del mio zaino.
- Che cosa ti fa pensare che stai per essere rilasciato? - lo schernì una guardia.
- Ecco, perché non avete ragione di trattenermi.
- Non è una decisione nostra, - replicò la guardia, ma fece cenno al suo compagno di prendere lo zaino.
Un buon segno, pensò Glauco. Fu accompagnato fuori della prigione e dopo settimane respirò la sua prima boccata d’aria veramente fresca. Diversamente dalla prima volta in cui l’aveva visto, l’accampamento ferveva di attività… soldati che svolgevano ogni sorta di compito immaginabile legato alla vita militare… e Glauco fu così affascinato dalla normalità di tutto ciò che dimenticò momentaneamente le proprie preoccupazioni. Camminarono finché raggiunsero un’altra costruzione di pietra e gli fu concesso solo un attimo di esitazione prima di essere scortato all’interno. Era l’edificio dei bagni.
Poco dopo, con i capelli umidi e indossando una tunica da soldato invece delle sue vesti incrostate di sporcizia, il giovane riattraversò la soglia della casa di suo padre nel pretorio, due guardie di fronte e due dietro. Come sospettava, Vesnio lo stava aspettando, ma il generale si limitò a lanciargli un’occhiata prima di bussare ad una porta che Glauco non aveva mai visto. Quando si aprì, Vesnio annuì alle guardie per introdurlo all’interno.
La stanza era oscura, quasi buia come era stata la sua cella, e per un attimo Glauco fu disorientato. Forme indistinte sembravano sbucare dall’oscurità mentre avanzava lentamente … un busto di marmo di un qualche imperatore sul lato sinistro, un’aquila d’oro massiccio dall’altro lato, vari scudi e armi e stendardi dappertutto. La stanza sembrava angusta e soffocante, talmente era stipata di cose, e l’odore dell’incenso era nauseante. Non fu una sorpresa, quindi, che a Glauco ci volle un po’ di tempo per distinguere la forma dell’ometto seduto in una sedia dai decori d’oro talmente grande da esserne quasi inghiottito. L’imperatore? Era forse costui l’imperatore di Roma? Glauco fissò quell’uomo accigliato, in preda alla confusione.
Sobbalzò quando una voce vicino al suo orecchio ruggì.
- Razza di marmocchio impertinente. Inginocchiati davanti all’imperatore.
Egli si abbassò a terra, la testa china, e si avvantaggiò della sua posizione per cercare di raccogliere le idee. Era stato convocato davanti all’imperatore di Roma. Perché?
- In piedi, giovanotto, ch’io possa vederti, - disse un’altra voce e Glauco presunse, correttamente, che l’ordine era venuto dallo stesso imperatore. Si alzò subito e guardò il trono, il respiro affrettato e le gambe malferme. Un pretoriano vestito di nero si spostò al suo fianco sinistro e Glauco suppose dalla sua elaborata uniforme che deteneva un’altissima carica. Glauco non sapeva dove guardare. Nessuno disse nulla mentre essi lo valutavano ed egli immaginò che non dovesse parlare se non interrogato. Non sapeva che cosa fare, così tenne gli occhi sui propri piedi e rimase zitto, le braccia rigidamente lungo i fianchi.
- Ti chiami Glauco? - chiese l’imperatore dopo quella che sembrò un’eternità.
- Sì, Cesare. - Glauco sperò che quelle fossero le parole appropriate.
- Massimo Decimo Glauco?
- Sì, Cesare, - ripeté.
- Tuo padre era il generale Massimo Decimo Meridio, generale delle legioni Felix?
- Sì, Cesare. - disse ancora.
- Credevo che il generale Massimo avesse soltanto un figlio. Com’è che ne ha due?
- Conoscevate mio padre, Cesare?
- Rispondimi.
- Non sapeva di me, Cesare.
- Perché?
- Mia madre decise di tenere privata la notizia della sua gravidanza e della mia nascita. Pensava che sarebbe stato più facile per mio padre, dal momento che era qui in Germania, impossibilitato a tornare a casa per vedermi.
- E dopo che ti vide sono sorpreso che non abbia detto a nessuno del suo secondo figlio.
- Non mi vide mai. Scomparve prima.
Severo rimase in silenzio per un po’ poi disse:
- Ho udito che stai cercando informazioni su tuo padre.
- Sì, Cesare, - disse Glauco, questa volta con un tono di speranza e finalmente alzò lo sguardo sull’imperatore, che lo guardava dritto negli occhi, il viso una maschera severa.
- Quali informazioni ti aspetti di trovare qui?
Poiché non gli era stato ordinato il contrario, Glauco continuò a guardare
Settimio Severo. Pur essendo un imperatore, quell’uomo era piuttosto deludente,
anche se vestito di porpora e insegne regali e militari d’oro e con una corona d’oro a forma di serto di lauro sul
capo. Glauco si aspettava che fosse più grosso e molto più… regale.
- Spero di trovare risposte sulla scomparsa di mio padre diciotto anni fa,
Cesare.
- E che cosa hai scoperto?
- Molto poco, Cesare. Sembra esserci un conflitto di opinioni quando si tratta di mio padre e nessuna risposta chiara se egli sia vivo o morto. Ne… sai qualcosa, Cesare? - Era lecito porgere ad un imperatore una domanda diretta?
Severo non sembrò farci caso, poiché rispose senza difficoltà.
- Commodo era un imperatore irresponsabile e squilibrato. Era capace di
qualunque cosa.
- Che cosa intendi con “qualunque cosa”, Cesare? - L’attenzione di Glauco fu attratta dal pretoriano armato i cui occhi lo stavano esaminando mentre conversava con l’imperatore, e che ora si era spostato dietro di lui. Per qualche ragione Glauco si sentì decisamente a disagio nell’avere quell’uomo fuori della propria visuale.
Se Severo percepì il disagio del giovane, lo ignorò.
- Massimo potrebbe essere in esilio… potrebbe essere in prigione. Potrebbe
perfino aver lasciato l’impero e vivere con i barbari. E ancora… potrebbe
essere morto.
- Il suo corpo non fu mai trovato…
- Questo non significa proprio nulla. - Severo strinse gli occhi e drizzò la testa. - Perché è così importante per te trovare un padre che non hai mai visto? Forse lui non ti vuole vedere. Forse ha una nuova famiglia e la tua esistenza lo metterebbe soltanto a disagio. Saresti il ricordo di un passato spiacevole.
- Mio padre non era quel genere d’uomo… - Glauco lanciò un’occhiata tagliente alla sua destra, scoprendo che il pretoriano lo stava di nuovo valutando. Quegli occhi… ora sapeva chi lo aveva fissato attraverso lo spioncino della porta della cella. Glauco rabbrividì leggermente.
- Come fai a sapere che genere d’uomo fosse tuo padre, giovanotto? - interrogò l’imperatore. - Egli non aveva la stoffa adatta per il potere anche se era tenuto in alta considerazione dall’imperatore e dall’esercito.
Glauco era confuso dal commento dell’imperatore.
- Potere? Mio padre era un contadino, Cesare, e non desiderava altro che tornare
a casa in Ispania e stare con la sua famiglia. Il mio desiderio è di scoprire
perché gli fu impedito di farlo… e di chiarire qualunque malinteso sulla sua
lealtà nei confronti di Roma.
Severo si chinò verso di lui, il collo teso e gli occhi socchiusi.
- Sto parlando del vero potere, non del solo potere militare, - sibilò.
- Il vero potere.
Glauco andò in collera.
- Mio padre era del tutto competente per il comando completo. Avrebbe
potuto gestire tutto il potere che l’imperatore era pronto a dargli.
Severo calò un pugno sul bracciolo del trono.
- Così… lo ammetti, allora… ammetti perché sei qui in realtà!
Nuovamente sconcertato dalle parole dell’imperatore, Glauco si limitò a scuotere la testa e non disse nulla.
- Gli dei decisero diversamente, non è vero giovanotto? Gli dei scelsero il loro imperatore.
- Io… io non capisco, Cesare.
- Oh, davvero? - La voce dell’imperatore grondava sarcasmo. Egli sedette di nuovo dritto, ergendosi alla sua maggior altezza da seduto. - Così tu stai andando alla sua ricerca. Che cosa esattamente speri di trovare?
- La verità, Cesare.
Il pretoriano passeggiò di fianco al trono, si girò e incrociò le braccia, gli occhi ancora su Glauco.
Anche l’imperatore incrociò le braccia, i due uomini rappresentando una
formidabile opposizione.
- E dove speri che ti conduca la verità?
Gli occhi verdi di Glauco sfrecciarono dall’uno all’altro.
- Io… io cerco solo la pace interiore, Cesare. Ho soltanto bisogno di sapere
che cosa gli accadde. Non cerco altro.
- Non m’inganni. Io so che cosa vuoi in realtà. - Severo afferrò entrambi i braccioli del suo trono e si sollevò in piedi, una leggera smorfia gli distorse il viso per un attimo, ma quando si dissolse il suo atteggiamento improvvisamente cambiò… si ammorbidì. - Bene… io potrei essere in grado di aiutarti nella tua ricerca per la pace interiore.
Glauco trattenne il respiro.
- Cesare?
Severo impiegò una gran quantità di tempo, considerando le sue successive
parole attentamente.
- Potresti cominciare a cercare indizi di tuo padre in… Tracia.
Gli occhi gelidi guizzarono con curiosità verso l’imperatore poi tornarono a volgere il loro sguardo calcolatore su Glauco.
- Tracia? Perché la Tracia, Cesare?
- Tuo padre ci andò una volta, mi pare. Potrebbe essere tornato laggiù.
Qualunque ulteriore domanda di Glauco gli morì sulla lingua mentre Severo andava verso di lui. Per la prima volta Glauco notò quanto lenti e deliberati fossero i movimenti dell’uomo. Severo alzò lo sguardo sul viso del giovane poi indietreggiò di due passi così da non essere più basso di Glauco, trasalendo mentre lo faceva. Glauco rimase dov’era, adesso più perplesso che nervoso.
Severo sorrise e il suo sguardo percorse il figlio di Massimo e brevemente
strinse le spalle del giovane.
- Ti sta bene questa tunica da soldato, - disse a Glauco, - vero Plautiano?
Il pretoriano annuì lentamente, lo sguardo celato.
- Certamente.
Glauco abbassò gli occhi sulla semplicissima tunica di lana bianca che
indossava al posto di quella consueta nera e guardò di nuovo Severo.
- I miei vestiti erano sporchi, Cesare, dopo tanto tempo trascorso in prigione.
Perché sono stato arres…
- Hai mai preso in considerazione l’idea di diventare un soldato come tuo padre? - lo interruppe Severo anticipando la successiva domanda di Glauco… una di cui preferiva non occuparsi.
- Io sono un contadino… come mio padre.
Severo agitò la mano congedando quella risposta.
- La chiamata di un soldato è molto più importante di quella di un contadino.
Un soldato serve il popolo dell’impero. Tuo padre servì il popolo dell’impero.
- E fu privato del suo comando e poi gli fu comminata la pena capitale per i suoi sforzi.
Il cipiglio ritornò.
- Non essere impertinente. Come ho già detto, Commodo era squilibrato. Ora, se
Massimo avesse servito me, la situazione sarebbe stata molto differente. Avrei
gradito molto avere un soldato delle qualità di tuo padre sotto il mio comando.
- Hai appena detto che non era adatto…
Plautiano balzò verso Glauco, il braccio pronto a colpirlo. Senza batter
ciglio, Glauco rimase fermo e il pretoriano lentamente abbassò il braccio.
- Come osi contraddire l’imperatore?
Severo rivolse uno sguardo di fuoco al comandante dei pretoriani, mentre si girava e tornava lentamente verso il trono. Egli furtivamente sistemò lo schienale imbottito prima di sedersi di nuovo con cautela.
Cosa c’era che non andava in lui, si chiese Glauco?
Dopo alcuni profondi respiri, Severo si rivolse di nuovo al giovane.
- Hai il coraggio di tuo padre. Mi piace. Ho bisogno di uomini così. - Severo
cercò di incollarsi sulla faccia un sorriso invitante ma gli riuscì solo di
stringere ancor di più le labbra. - Di fatto, vorrei che ti unissi ai miei
pretoriani. - Egli rapido sollevò la mano quando Glauco rimase a bocca aperta.
- Qualunque cittadino romano sarebbe orgoglioso di accettare la mia offerta.
- Io… io sono molto lusingato, Cesare, che tu pensi ch’io sia degno di essere tuo pretoriano. Ma non sarei mai in grado di servire bene Roma o il suo imperatore se prima non mi schiarisssi la mente delle questioni che riguardano mio padre.
Plautiano fece un minaccioso passo avanti, la mano sull’elsa della spada.
- Ti ho appena udito rifiutarti all’imperatore?
Glauco guardò il comandante pretoriano vestito di nero.
- Non era un rifiuto, signore. Ho solo bisogno di un po’ di tempo.
Plautiano si mosse per mettersi viso a viso con il figlio di Massimo.
- Non ti rendi conto dell’importanza di quest’offerta? Tu… un uomo non
addestrato, neanche soldato… osi rifiutare un’offerta di diventare
soldato nel corpo migliore dell’impero?
Glauco sostenne il suo sguardo duro.
- Non è il momento giusto, - disse, la voce bassa, calma e ferma.
- Per chi? - Inquisì il pretoriano, alzando la voce per l’ira. - Per te? La sola cosa che importa è ciò che vuole l’imperatore. I tuoi bisogni non significano niente! Tu servi lui!
- Su, su, Plautiano, - disse Severo da dietro le spalle del pretoriano. - Non era un ordine, dopo tutto. Non credo che la tua tecnica sia molto persuasiva. - Così ammonito, Plautiano si fece di lato di malanimo, sputando ancora con gli occhi veleno contro Glauco. Severo continuò. - Sarei davvero molto lieto che il figlio di Massimo Decimo Meridio cavalcasse al mio fianco. E’ il minimo che posso fare per le mancanze del mio giovane predecessore verso la tua famiglia.
Glauco cercò di pensare ad un altro modo per dire “no” senza davvero dire
“no”.
- Perdonami, Cesare, ma ho atteso molti anni per iniziare il viaggio che mi
avrebbe portato le risposte che cerco e devo procedere. Non sarei mai in grado
di servirti bene, avendo questa cosa sempre in mente. - Glauco si chiese se
sarebbe vissuto abbastanza da vedere il mattino.
- Va bene, va bene, Glauco, - rise Settimio e sollevò una mano come sconfitto. - Fai quello che devi fare.
Plautiano rivolse un nero sguardo truce all’imperatore che lo ignorò completamente.
- Significa che sono libero, Cesare? - chiese Glauco.
- Sì, sì, puoi andare.
Ma Glauco esitava.
- Potrei avere le armi che mi sono state tolte? - Subito si rese conto di essersi
spinto troppo oltre.
- No, non puoi! Hai ferito tre dei miei soldati. Quando avrai un addestramento adeguato da soldato potrai riavere le tue armi.
Glauco esitava ancora.
- Se non te ne vai potrei cambiare idea e rimandarti in quella prigione.
- Il ritratto di mio padre, Cesare. Mi fu detto che tu ordinasti di sovradipingerlo. Se ammiravi mio padre quanto dichiari, perché lo facesti?
Chiaramente irritato, Severo rispose.
- Perché mi fu ordinato da Roma. Adesso, va’ fuori della mia vista.
Questa volta Glauco fece come ordinatogli senza domande.
- Gli hai permesso di sconfiggerti! - gridò Plautiano appena Glauco se ne fu andato.
- Non è facile intimidire quell’uomo.
- Forse non per te.
- I tuoi modi non avrebbero funzionato con un uomo come quello non più di quanto fecero con suo padre.
- Ebbene… adesso che cosa facciamo? - domandò Plautiano, chiaramente seccato che Settimio avesse permesso a Glauco di lasciare il pretorio.
- Dobbiamo farlo seguire. Ogni minuto di ogni giorno, non importa dove va. E voglio un rapporto giornaliero delle sue attività, e notizia immediata di qualunque comportamento sospetto. Prepara quattro dei tuoi uomini per seguire le sue tracce e assicurati che lui non li veda.
- Pensi che tutto questo sia necessario? Chiaramente non capiva di che cosa tu stessi parlando.
- Stava fingendo! - gridò Severo. - Naturale che capiva. Stava solo cercando di eludermi per poter agire alle mie spalle per detronizzarmi.
- Perché hai suggerito la Tracia?
- La Tracia è sicura. Quel documento copiato che mi fu inviato veniva da qualche luogo ad oriente e la Tracia non è né Roma né l’Oriente. E’ abbastanza vicino all’Oriente, tuttavia, perché Glauco trovi chiunque abbia l’originale … e allora entreremo in azione noi. Inoltre, troppe persone in Roma conobbero Massimo da generale e da gladiatore, perciò non voglio suo figlio laggiù. Egli sarà innocuo in Tracia e ben lontano da qualunque cosa. Fai preparare i tuoi uomini prima che possa lasciare l’accampamento. E ricordati… dobbiamo avere quel documento.
E poi, pensò Plautiano, ci potremo liberare di lui, e la Tracia era il luogo perfetto dove far scomparire un uomo.