La Storia di Glauco: Capitolo 12

 

Capitolo 12 - Il Colosseo

I romani non avevano mai visto nulla di simile ai giochi in onore del defunto imperatore Marco Aurelio… centocinquanta giorni di fila di giochi… né avevano mai visto qualcosa di simile al gladiatore che era divenuto immediatamente l’attrazione principale. Persino i romani che prima non avevano mai frequentato i giochi si scoprivano a disputarsi i posti con coloro che li frequentavano regolarmente. Alcuni addirittura pagavano altri per mantenere occupati i loro posti durante il giorno fino a quando Massimo faceva la sua apparizione nel tardo pomeriggio. “Massimo! Massimo! Massimo!” urlavano gli spettatori, dal momento in cui entravano nell’arena al mattino, fino al momento in cui finalmente compariva il loro eroe.

 

Molte persone stavano ricavando denaro dalle apparizioni quotidiane - una cosa senza precedenti - di Massimo nell’arena, ma nessuno più del suo scaltro proprietario, Proximo, il cui apprezzato stallone lo stava rendendo un uomo molto ricco. Adesso si dilettava a frequentare gli ambienti più eleganti di Roma, dove veniva accolto a braccia aperte perché i patrocinatori volevano consultarlo a proposito del gladiatore ispanico. Massimo aveva fatto tutto questo, per lui. Massimo… che passava i suoi giorni in una piccola cella.

 

Proximo doveva essere molto cauto riguardo all’incominciare a voler bene a Massimo perché, così facendo, non sarebbe mai stato capace di mandare il suo schiavo ad affrontare la morte ogni giorno. Doveva dimenticare le stupefacenti origini di Massimo e pensare a lui solo come a una proprietà. La maggior parte dei gladiatori eccellenti aveva due o tre giorni di riposo tra un incontro e l’altro, ma la folla esigeva Massimo, perciò egli era schedulato quotidianamente malgrado le ferite o la stanchezza. Dopo tutto, Massimo poteva morire in qualunque momento, quindi Proximo doveva fare i soldi finché poteva. Massimo era solo una proprietà. Avrebbe avuto tempo di riposarsi e recuperare quando il Colosseo fosse stato chiuso per colpa del freddo o del tempo piovoso, o quando la peste fosse dilagata in città.

 

Eppure, quale scoperta era stata Massimo! Proximo non aveva avuto alcuna idea che l’ispanico mezzo morto che aveva acquistato insieme ad un gruppo di altri uomini malconci, avrebbe rivelato tanto talento, forza e audacia, alimentati da un tale furore a mala pena represso verso il nuovo imperatore. A Proximo non importava che cosa istigava l’uomo a combattere, e l’imperatore era un’ispirazione buona come un’altra, finché Commodo non avesse stupidamente cercato di andare contro l’opinione pubblica e di mettere a morte il gladiatore. Il nuovo imperatore poteva essere giovane e impetuoso, ma non era stupido. Avrebbe sicuramente atteso il suo momento e aspettato fino al giorno in cui Massimo avesse combattuto la sua ultima battaglia… un giorno che Proximo sperava non arrivasse per anni.

 

E ancora… Proximo poteva pensare a parecchi altri modi di fare soldi con il suo astro nascente. Uomini e donne lo incalzavano in continuazione per comprare i favori sessuali del gladiatore ed erano disposti a pagare una fortuna per una cosuccia come un’ora con lui. Ma Proximo sapeva che far combattere Massimo ogni giorno, e fargli allo stesso tempo servire clienti ricchi la notte, sarebbe stato troppo per qualsiasi uomo. Non poteva rischiare di mandarlo nell’arena con qualcosa di meno del pieno delle forze, perché stava per essere contrapposto ai migliori gladiatori dell’impero. Ma… se fosse arrivato il giorno in cui l’arena venisse chiusa, allora Proximo era assolutamente deciso a dare il via ad un’asta per i servigi sessuali di Massimo, non importa quanto il gladiatore si fosse ribellato. C’erano modi per controllarlo e Proximo era preparato ad essere piuttosto spietato. La gente si metteva in fila sulla strada che portava all’arena solo per vederlo di sfuggita. Immagina quanto avrebbero pagato per accarezzare la pelle nuda dell’uomo incatenato. Proximo rabbrividì al pensiero di tanta ricchezza.

 

 

 

 

 

 

Massimo sedeva in silenzio nella sua cella sottostante le tribune del Colosseo e ascoltava le strida degli animali selvatici mezzo morti di fame che aspettavano il loro turno nell’arena. In quelle condizioni un animale avrebbe attaccato e fatto a pezzi qualunque cosa in movimento. Una volta era stato quasi testimone di un tale spettacolo, quando alcune famiglie cristiane… compresi i bambini… erano state sacrificate ai leoni di fronte a una folla acclamante di cinquantamila persone che non volevano altro che sangue. Si era voltato nauseato e in preda a vertigini, incapace di guardare più dell’inizio del massacro. L’impossibilità di Massimo a fermare la cosa lo aveva lasciato violentemente scosso. Non era più il generale Massimo, la cui parola poteva scatenare o fermare le guerre. Era incapace di comandare il proprio fato come quelle famiglie condannate lo erano state di controllare il loro.

 

I miasmi erano anche peggio dei suoni. Fetori di morte e decomposizione e paura. Animali e umani puzzavano… vomito e feci e urina e sudore. Talvolta egli si sedeva con la mano sul naso e sulla bocca cercando di impedire che i miasmi nauseanti gli assalissero i sensi.

 

Con chi avrebbe combattuto oggi, si chiese. A volte Proximo glielo diceva e gli dava indicazioni sullo stile del combattente, ma la maggior parte delle volte non lo faceva e l’avversario di Massimo era una completa sorpresa. Era sopravvissuto fino a quel momento perché l’esercito lo aveva addestrato bene per situazioni del genere. Il suo cervello riusciva a valutare… e poi ad agire… in tempi brevissimi dopo tanti anni di combattimenti contro avversari spaventosi in Germania. Era capace di combattere un uomo guardando contemporaneamente le mosse di un altro e nello stesso tempo urlando ordini alle sue truppe. Le sue truppe. Che cosa ne era stato di loro, dopo la sua “esecuzione”? Dove erano adesso i suoi uomini?

 

Juba si avvicinò e  batté con fare incoraggiante sulla spalla dell’amico. Massimo alzò lo sguardo sul numida dalla pelle scura e sorrise brevemente, poi la sua mente ritornò a tetri pensieri. Aveva solo parzialmente ragione quando pensava di non avere più il potere di salvare vite. Aveva salvato da morte certa la maggior parte dei suoi compagni gladiatori, non troppo tempo prima, durante il primo combattimento in Roma. Si erano fidati di lui e lui li aveva condotti alla vittoria contro una sconfitta sicura, ed ora essi lo consideravano il loro capo. Avevano bisogno di lui e lui non li avrebbe abbandonati… nel modo in cui aveva abbandonato sua moglie e suo figlio. Gli era stata data l’opportunità di redimersi in parte, in attesa di uccidere l’uomo che aveva assassinato la sua famiglia, e avrebbe tratto sostegno da qualunque espiazione possibile. Ma non si sarebbe mai perdonato di aver fatto il madornale errore di voltare la schiena a Commodo. Tutto quello che avrebbe dovuto fare era fingere di appoggiare Commodo e poi tramare contro di lui in segreto. Ma egli era rimasto sconvolto nel trovare morto il suo adorato imperatore e aveva commesso un terribile errore. Olivia e Marco avevano pagato con le loro vite per il suo errore e presto anche lui avrebbe pagato. Non si meritava di meno.

 

La tromba suonò annunciando il penultimo scontro del giorno e il rumoreggiare della folla aumentò.  “Massimo! Massimo!” Toccava a lui.

 

Proximo comparve alle sbarre della cella.
- Ispanico, - abbaiò. - Il resto di voi rimanga dov’è.

 

Massimo si alzò e si preparò ad uscire. Annuì alle voci che dietro di lui dicevano in tono basso: “Forza e onore, Massimo.” La porta della cella  si aprì stridendo e due guardie gli si misero al passo a ciascun lato. Proximo gli porse il suo scudo e la sua spada.

 

- Niente elmo? - chiese Massimo prendendo le armi.

 

- No, la folla vuole vedere la tua faccia. Oggi combatterai contro due uomini.

 

- Nello stesso tempo?

 

- Naturalmente. Ne hai uccisi più del doppio di quelli a Zucchabar, ricordi?

 

- Erano dilettanti.

 

- Anche questi, paragonati a te. Ricordatelo. Ma, soprattutto, vacci piano e goditi l’uccisione. Lascia che gli spettatori la gustino con te. Intrattienili, Massimo. Tu ancora non capisci che sei un intrattenitore adesso, non un soldato. - Massimo lo guardò furioso e Proximo capì che le sue parole sarebbero state ignorate… e che non c’era nulla che potesse fare per impedirlo.

 

- Quali sono le loro armi?

 

- Uno ha scudo e spada come te, e l’altro rete e tridente.

 

- L’imperatore è qui oggi?

 

- Massimo, dimenticalo.

 

- E’ qui oggi?

 

Proximo sospirò.
- Sì, c’è, insieme a più di cinquantamila persone. Ricorda per chi stai combattendo, - ruggì Proximo mentre tra le buie caverne conduceva il suo gladiatore più celebre fino al cancello dell’arena.

 

- Non potrei mai dimenticarlo, - rispose Massimo.

 

- Combatti bene. Ci saranno un bagno caldo, un massaggio e un pasto sostanzioso ad attenderti dopo.

 

- Se speri di corrompermi dovrai fare di meglio.

 

- Ti sto già dando una ridicola parte delle tue vincite. Non voglio che tu sia in grado di comprarti la libertà troppo presto. - Proximo sorrise ma Massimo no. La sua mente era già sul combattimento imminente e spazzò tutti i pensieri tranne il compito imminente. Non poteva permettersi di essere distratto da qualcosa.

 

Il coro era assordante adesso. “Massimo, Massimo! Massimo!” Egli sentì il proprio sangue rispondere e la forza fluirgli nelle membra. Il suo battito accelerò e lo stesso fece il suo respiro. Inalò lunghi respiri lenti per calmarsi mentre aspettava che il suo nome fosse annunciato. Poi avrebbe salito di corsa i gradini dalle viscere del Colosseo e fatto il proprio ingresso sulla sabbia bollente davanti alle grida e acclamazioni di eccitamento della gente che lo voleva vedere uccidere.

 

Chiuse gli occhi… respira, respira… concentrati… poi lo udì… il suo nome. Il cancello si aprì con un gemito e Massimo entrò nella luce del sole mentre petali di rosa gli piovevano sulla testa insieme alle acclamazioni della folla. Un’occhiata rapida al pulvinare nel lato lontano dell’arena gli assicurò che Commodo c’era davvero, e anche Lucilla ed il suo giovane figlio. Andò dritto verso i suoi avversari, ognuno dei quali indossava un elmo che avrebbe presto nascosto le loro facce. Guardò negli occhi di un uomo, poi dell’altro. Quando i loro sguardi si abbassarono, seppe che li avrebbe sconfitti. Le trombe suonarono ancora, perciò essi si voltarono all’unisono per mettersi di fronte all’imperatore e due di loro recitarono: “Morituri te salutant.” Massimo si limitò a sogghignare e fece roteare la spada. La folla amava la sua sicurezza. Ignorando completamente Lucilla, egli si mise di fronte ai suoi avversari che abbassarono gli elmi per coprirsi in viso. Accosciandosi, egli sollevò un pugno di sabbia e la strofinò tra le mani prima di lasciarla scivolare lentamente di nuovo nel terreno.

 

 

 

 

Sin dal suo ritorno a Roma Giulia si era rifiutata di assistere ai giochi che sembravano affascinare gli abitanti della città, giovani o vecchi, ricchi o poveri. Il pensiero di vedere schiavi maltrattati e uccisi le faceva ribrezzo. Ma eccola qui, a perdere tempo fuori del Colosseo finché Massimo non fosse entrato nell’arena quel pomeriggio sul tardi. Sarebbe stato impossibile non sentir parlare del gladiatore ispanico, ma ella aveva ignorato i pettegolezzi finché la sua domestica aveva sussurrato che il nome dell’uomo era Massimo.

 

Doveva essere una coincidenza, pensò. Massimo era in Germania… un generale. Ma la descrizione gli calzava talmente a pennello che Giulia aveva indossato il suo mantello blu e sfidato le folli incalzanti attorno alla cella del Colosseo per vedere di sfuggita il gladiatore. Aveva mantenuto la propria compostezza finché la folla si era divisa leggermente ed ella lo aveva intravisto per la prima volta dopo sei anni… l’uomo che amava da quando ne aveva diciotto… il generale Massimo. Ella pronunciò il nome di lui. Egli non rispose. Ella freneticamente si fece strada a gomitate e afferrò le sbarre poi urlò il suo nome. Le sue grida si persero con le altre. Egli alzò lo sguardo solo una volta, lo sguardo lontano e offuscato.

 

Raggelata dalla disperazione, era rimasta a lungo a fissare dentro la cella dopo che egli era stato convocato per combattere, poi la nausea l’aveva assalita e a mala pena era riuscita a raggiungere un viale laterale prima di cadere in ginocchio e vomitare, continuando ad avere conati finché non vi era stato più nulla da rimettere. Aveva raggiunto casa a fatica e si era gettata sul letto, dove aveva pianto amaramente. Giacendo lì, cercava di immaginare quale crudele scherzo del destino aveva trasformato il più venerato generale di Roma in uno schiavo gladiatore. Aveva pregato perché egli tornasse da lei, ma non così. Che ironia che egli fosse finalmente a Roma, ma che adesso lei fosse una donna libera e lui uno schiavo. Prese a pugni il cuscino in un misto di dolore, disperazione, ira e colpa. Più di una volta, sin da quando gli aveva spedito la lettera che non aveva avuto risposta, aveva desiderato che lui stesse male… più di una volta. Aveva immaginato modi crudeli di punirlo per averla spinta ad amarlo e poi mandata via. Pensava a lui ogni ora di ogni giorno e sognava di lui ogni notte, ma lui l’aveva completamente dimenticata. Sì, lei aveva voluto punirlo, ferirlo, fargli pagare… ma mai così. Mai la schiavitù.

 

Preoccupata, la sua domestica aveva chiamato il più caro amico di Giulia, Apollinario, ed egli rimase sconvolto dal viso di lei pallido e striato dalle lacrime e dai suoi occhi gonfi. Egli la abbracciò mentre piangeva e gemeva e maledì Massimo per averla fatta sentire in quel modo. Perché Giulia non riusciva a strapparsi quell’uomo dal cuore e dalla propria vita?

 

- Shhh, Giulia, - disse Apollinario accarezzandole i capelli aggrovigliati, - non sei stata tu a fargli questo.

 

- Volevo che delle cose orrende accadessero a lui… a sua moglie…

 

- Volerlo non lo fa accadere. La schiavitù di Massimo non ha nulla a che fare con te.

 

- Lo odio, - singhiozzò Giulia contro la spalla dell’amico.

 

- No… temo che lo ami ancora. Sono entrambe emozioni molto forti e possono essere confuse.

 

- Oh, Apollinario, che cosa devo fare… che cosa devo fare? Non posso farlo morire da schiavo. Non posso proprio.

 

- La scelta non è tua, bambina.

 

Giulia si spinse via da Apollinario, ma egli continuò a tenerle le braccia mentre lei singhiozzava e gemeva e si lamentava.
- Avevo appena com… cominciato a dimenticarlo. Avevo appena cominciato a co… continuare a vivere sapendo che non lo avrei mai più rivisto, e adesso questo… - Singhiozzò poi si sforzò di riprendere a parlare. - Lui è qui, ma io non posso averlo nemmeno adesso. Oh, Apollinario, sta… sta per morire.

 

Apollinario le spinse di nuovo la testa contro la propria spalla e la cullò finché si fu calmata.
- Lo amo, - sussurrò lei. - Io lo amo.

 

- Sì, lo so.

 

- Che cosa devo fare?

 

- Giulia, tu sai che io trovo che questi giochi siano barbari e repellenti, ma se tu pensi che ti possa aiutare a riprenderti, ti accompagnerò a vederlo combattere.

 

- Come può farmelo dimenticare, l’andarlo a vedere?

 

- Lo vedrai in modo differente. Per te lui è un generale… un uomo di grande autorità e dignità. Se lo vedrai umiliarsi nell’arena come un animale allora i tuoi ricordi del generale saranno cancellati e tu lo dimenticherai prima. Vedrai che l’uomo che ami non esiste più… che c’è solo il suo corpo là fuori.

 

- E’ un’offerta generosa, Apollinario, ma non penso che riuscirei a guardare una cosa del genere. Dubito che nemmeno tu possa farlo.

 

- Sarà difficile, ma per te, farò questo sacrificio. Quando vorresti andare?

 

Giulia non ebbe esitazioni.
- Domani.

 

- Domani? Be’… suppongo che si possa fare. Dovremo andarci molto presto per avere dei posti decenti, però.

 

- Grazie, mio caro amico. Spero che serva.

 

 

 

 

Giulia ammazzava il tempo trascinandosi dentro e fuori dei corridoi colonnati dell’arena e vagando per il foro all’esterno dell’anfiteatro. Aveva preso il suo posto vicino ad Apollinario quella mattina presto, ma era fuggita quando il primo animale era stato ucciso. Apollinario, benedetto il suo cuore, era stato d’accordo nel rimanere tutto il giorno a tenere i posti finché fosse stato il turno di Massimo di combattere, nel tardo pomeriggio. Giulia cercò di allontanare la mente dal combattimento a venire ma scoprì che ovunque guardasse le tornava in mente Massimo. Il suo nome era sulla bocca di tutti. I mercanti vendevano pupazzi “Massimo”… grotteschi fantocci di gladiatori di metallo con barbe scure dipinte e tuniche blu, ed enormi peni eretti. La gente faceva la coda per comprare quei simboli di virilità da appendere fuori delle loro porte di casa. I gladiatori erano dappertutto e lei nemmeno li aveva mai notati. Erano dipinti in mosaici sugli edifici e scolpiti nel marmo. I loro nomi venivano incisi nelle arcate di travertino del Colosseo dalla folla che attendeva di entrare e lei trovò il nome di Massimo inciso più e più volte.

 

Soltanto quando il rumore della folla raggiunse uno stato febbrile, ed ella udì il nome di lui intonato da cinquantamila persone dentro e altre cinquemila fuori, riluttante tornò al suo posto, solo per scoprire che il suo compagno, Apollinario, era piuttosto accalorato dagli incontri della giornata. La sua faccia era infiammata e i suoi movimenti agitati.
- Giulia! Sei tornata appena in tempo! Sta per entrare nell’arena!

 

- Scusami per averti lasciato così tutto il giorno da solo. Devi aver visto delle cose orrende, - disse lei.

 

- Sì, sì… terribili. Sangue dappertutto. - Ma i suoi occhi erano incollati alla porta da dove Massimo avrebbe fatto il suo ingresso e il respiro affannoso di Apollinario era provocato da più che sola ripugnanza. - Siediti! Siediti! - batté sul posto accanto a sé senza spostare lo sguardo.

 

Le trombe suonarono, il cancello si aprì e una figura solitaria emerse. La folla eruppe in grida e applausi. Egli sembrava così piccolo laggiù, pensò Giulia. Così solo. Ella afferrò la mano del suo compagno e la strinse forte, ma la concentrazione di lui era completamente su Massimo.
- E’ lui? - chiese.

 

- Sì.

 

- Non indossa un’armatura molto pesante… guarda, soltanto una corazza di cuoio ed uno scudo. Nessun elmo. Ho visto morituri oggi vestiti meglio di così. - Apollinario stava quasi urlando per farsi sentire sopra il frastuono.

 

- Morituri?

 

- Sì… uomini che non hanno alcuna possibilità e che vengono soltanto mandati a morire. Si impara molto stando seduti qui tutto il giorno.

 

Giulia guardò Massimo più attentamente che poteva dal secondo anello di posti. Sembrava sicuro, e il suo familiare passo lungo e regolare inghiottì la sabbia. Era certamente illeso, almeno da quello che lei riusciva a capire da quella distanza. Erano segnali incoraggianti. Giulia riuscì a vedere chiaramente il ghigno di Massimo mentre stava di fronte a Commodo e si rifiutava di dire la frase rituale dei gladiatori.

 

 

 

 

Massimo fletté le ginocchia e si bilanciò sui piedi, respirando profondamente e con regolarità. Aspettava che i suoi avversari facessero la prima mossa e la fecero… all’unisono… e la folla gridò deliziata. Massimo sollevò il suo scudo per deviare un colpo, e allo stesso tempo saltò per evitare la rete spazzante che lo avrebbe sbilanciato intrappolandogli le gambe. Quello era l’uomo che voleva per primo. Massimo roteò agilmente e colpì con forza il reziario nella spalla non protetta mandando nell’aria un arco di sangue. Mentre l’uomo urlava e si toccava la ferita, Massimo lo finì con un feroce fendente violento all’addome. L’uomo cadde come un sasso e la folla strillò compiaciuta.

 

- Lo hai visto? Lo hai visto? Per gli dei, quell’uomo è magnifico, Giulia! - esclamò Apollinario. - Ha già fatto fuori un uomo e adesso ha la spada e il tridente. Non riesco a crederci! E’ così sicuro di sé… così controllato!

 

Giulia non sapeva se era più sbalordita dalle prodezze gladiatorie di Massimo o dall’inatteso entusiasmo del suo sofisticato amico. Massimo non era per nulla cambiato. Era ancora in tutto e per tutto un generale e lei chiuse gli occhi e pregò ogni dio che conosceva di risparmiargli la vita.

 

Quando aprì gli occhi sobbalzò mentre l’uomo con la spada e l’elmo attaccava, ma Massimo si limitò a deviare la spada con la propria, si accosciò e fece un affondo, seppellendo la propria spada nella gola dell’uomo e il tridente nella sua coscia. Il sangue zampillante intrise sia l’uomo morente che il suo uccisore mentre Massimo ritraeva le armi e le conficcava con la punta nel terreno, prima di allontanarsi a grandi passi dai cadaveri e dall’imperatore. Ignorando gli strilli della folla si diresse direttamente verso il cancello da dove aveva fatto il suo ingresso. Non si aprì. Giulia si afferrò lo stomaco e voltò lo sguardo impaurito verso l’imperatore. Stava sorridendo a denti stretti, mentre la sorella sedeva col viso pallido e teso accanto a lui. Lentamente, Massimo si voltò per mettersi di fronte al suo tormentatore, e perfino da quella considerevole distanza tra di loro, Giulia riuscì a vedere le labbra di lui curvarsi in un ringhio.
- Oh, Massimo, non provocarlo, ti prego, non provocarlo, - sussurrò.

 

Lentamente, la folla si zittì mentre i due uomini possenti si guatavano reciprocamente da un lato  all’altro della sabbia insanguinata del Colosseo. Lentamente, Massimo tornò verso Commodo, che stava in piedi davanti al pulvinare. Risolini nervosi si potevano udire percorrere tutta la folla. Il pubblico si beava quando il suo eroe affrontava l’odiato imperatore, ma sapeva che facendolo egli rischiava la vita. Commodo era più pericoloso dell’avversario più esperto. Sembrò che l’imperatore stesse considerando le proprie alternative mentre Massimo si avvicinava. Poi il coro ricominciò lentamente, e si gonfiò mentre cinquantamila voci si univano all’unisono, comprese le voci di Giulia e Apollinario, in piedi nei loro posti. “Massimo! Massimo! Massimo!” urlarono come se le loro voci da sole avessero il potere di salvargli la vita.

 

Alla fine, l’imperatore consultò il suo prefetto pretoriano, annuì una volta, e il cancello dietro Massimo lentamente si spalancò. Egli si fermò sui suoi passi, fissò Commodo con un ultimo sguardo di odio, poi si girò e scomparve nelle buie profondità degli interni dell’arena.

 

La folla adorante lentamente fluì all’esterno, raccontando di nuovo e rivivendo ogni mossa che aveva fatto il loro eroe, contenta di quei ricordi fino a che egli fosse riapparso l’indomani pomeriggio per uccidere ancora.