La Storia di Glauco: Capitolo 10
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Il sole era appena tramontato dietro gli alberi a ridosso della casa di Katerina, quando Glauco bussò alla porta. Ella l’aprì prontamente, come se lo avesse aspettato, e lui fece un piccolo inchino e le porse i fiori che aveva appena colto dal giardino di Giovino. Sperò che al vecchio non dispiacesse. Stava ancora russando quando Glauco era uscito, così aveva scritto in fretta un appunto spiegando la sua assenza, e ordinato a Zeus di restare lì.
Ella affondò il naso tra le rose e i gigli mentre valutava i cambiamenti nel giovane da quella mattina. Si era chiaramente fatto il bagno e i suoi capelli erano spazzolati all’indietro in onde gonfie ancora leggermente umide. Ciò nonostante una ciocca caparbia spuntava impudente e gli ricadde sulla fronte in un ricciolo ondeggiante. La sua barba castano chiaro era accuratamente spuntata, ed egli indossava un mantello nero gettato sopra una corta tunica dello stesso colore, con una fibula ingemmata alla spalla sinistra. Le sue forti gambe abbronzate erano visibili dalla sommità degli stivali all’orlo della tunica, che finiva ben al di sopra delle ginocchia proporzionate. Ella gettò indietro i propri riccioli sciolti e sorrise con approvazione. La descrizione che circolava in città non era stata accurata. Non era attraente… era splendido.
Glauco lanciò un’occhiata alla casa mentre la seguiva all’interno. Era una costruzione di canne e malta come quelle che aveva notato in precedenza e quasi si aspettava di trovare anche all’interno rami conficcati nell’argilla. I muri erano leggermente intonacati, invece, e dipinti di un rosso smorzato. La casa si estendeva senza ordine ed era chiaro che fosse stata ampliata nel corso degli anni. La stanza in cui si trovava era spaziosa, con un basso soffitto, e palesemente era stata la casa originale. Al di là si trovava una stanza più ampia, dalla quale aromi deliziosi aleggiarono fino alle sue narici. Non aveva mangiato per tutto il giorno e si premette lo stomaco quando brontolò rumorosamente.
Katerina rise.
- Non essere imbarazzato. Lo considero un complimento. Sei mai stato in una
casa come questa, Glauco? - chiese conducendolo in cucina.
- No, mia signora. Le ho viste solo dalla strada.
Katerina mise i fiori
in un vaso di ceramica a strisce blu e li dispose attentamente a seconda del colore
e dell’altezza.
- Per favore, chiamami Katerina. Non c’è bisogno di formalità, qui. - Gli
sorrise, un bel sorriso caloroso che lo fece rispondere allo stesso modo. - La
casa è piuttosto vecchia. Mio padre la comprò quando sposò mia madre, poi
aggiunse altre stanze. Faceva il soldato nell’esercito romano, era originario dell’Italia,
e mia madre era germanica. All’inizio la casa era una grande stanza che la
gente condivideva con i propri animali. - Katerina rise all’aria sbigottita di Glauco. - Sì… nemmeno io riesco ad immaginarlo,
ma molti contadini in campagna vivono tuttora in quel modo.
- Dov’è la tua famiglia?
- Ci sono solo io adesso. - Allo sguardo sorpreso di Glauco ella spiegò. - Mi sposai quando avevo quattordici anni con un altro soldato che era molto più vecchio di me. Morì in un incidente a cavallo… mio padre era morto anni prima, alcuni anni dopo che i tuoi mancarono. Così, mia madre ed io eravamo entrambe sole ed io tornai qui per prendermi cura di lei. Morì proprio l’anno scorso e ora sono sola. Faccio la lavandaia e lavori di cucito per guadagnarmi da vivere.
- Devi sentirti triste qui da sola.
- A volte mi manca non avere nessuno vicino… ma più spesso mi godo la libertà di fare le mie scelte. Poche donne della mia età hanno questa opportunità.
- Non molte donne della tua età sono vedove.
- No… e la vedovanza porta grande libertà, insieme ai suoi problemi. Sono libera di andare ovunque io voglia e di vivere ovunque io voglia. A volte penso di andare a Roma. Ci sei mai stato?
- No, mia si… Katerina. In realtà questa è la mia prima avventura lontano dall’Ispania.
- La tua famiglia possiede una fattoria.
Le sopracciglia di
Glauco scattarono in su.
- Sì. Come lo sapevi?
- Vuoi scherzare, - rise Katerina. - L’intera città sta parlando del figlio del grande generale Massimo. Si diceva che l’intera famiglia del generale era stata distrutta, per questo sei proprio una sorpresa, senza dubbio. Chiunque ha parlato con te sta mettendo in giro voci e ancora di più ne vengono inventate dalle persone che affermano di aver parlato con te.
Glauco fu di colpo
cauto.
- E’ per questo che mi hai invitato qui stasera? Per confermare le voci?
Katerina si mise le mani
sui fianchi e drizzò la testa, e gli sorrise.
- Accidenti, come sei cinico. No… Pensavo semplicemente che potessi goderti un
po’ di buona cucina tanto per cambiare, dato che non credo che sia un talento
del vecchio Giovino. E… volevo conoscerti. Quando ero piccola mio padre era
solito parlare sempre di tuo padre.
Glauco incrociò le braccia.
- Davvero? Ed era con lui o contro di lui?
- Scusa?
- Trovo che le persone qui abbiano due opinioni. O credono che mio padre fosse un grand’uomo trattato ingiustamente, o un traditore che ebbe quel che si meritava.
- Io credo quel che mio padre diceva di lui. Amava tuo padre e diceva che era un uomo coraggioso, onesto e leale. La legione fu devastata dopo la sua morte. Il morale era talmente basso che furono tutti trasferiti fuori della Germania. Mio padre scelse di congedarsi pur di non andare con loro. Poi venimmo a sapere che la legione era stata dispersa completamente, quindi mio padre fece una scelta saggia. Vorresti un po’ di vino, Glauco?
- Sì, grazie.
Katerina sorrise
maliziosamente mentre versava il liquido rosso in due bicchieri di vetro
colorato.
- Dovrò solo controllare che non ne consumi tanto quanto la notte scorsa.
- Giovino e io avevamo avuto una giornata piuttosto insoddisfacente alla fortezza. Suppongo fosse il nostro modo di annegare il disappunto.
- Molti generali hanno servito là dopo tuo padre. Siediti, Glauco.
Egli trasse una sedia
per lei e ne prese una per sé da un tavolo di legno nella cucina, dove lei
poteva tenere d’occhio il cibo che bolliva.
- Lo so. Sono stato puerile a sperare che niente sarebbe cambiato.
Katerina lo osservò
attentamente.
- Stavi cercando il murale, vero?
Glauco era sbalordito.
- Lo conosci?
- Sì, una volta lo vidi. Per un po’ qui ci fu grande agitazione quando, dopo la morte di Comodo, il governo a Roma cambiò spesso di mano. Non ne avremmo mai saputo nulla, se non per il fatto che i generali cambiavano ogni volta che cambiava l’imperatore. Ci furono delle volte in cui nessuno era al comando e mio padre una volta mi fece entrare per mostrarmi come era fatta una casa romana in pietra. - Sorrise. - Ricordo che all’inizio il murale mi fece paura. Era così grande e… formidabile. - Rabbrividì. - Sembrava proprio che tuo padre stesse per uscire dal muro a cavallo.
Glauco pensosamente
guardò il liquido rosso roteare nel suo bicchiere.
- Venni qui con la speranza di vederlo, ma è stato sovradipinto. La gente mi
dice che somiglio a mio padre ma io non ho mai visto il suo ritratto.
- A giudicare dalla reazione delle persone in città certamente devi somigliargli. - Katerina allungò la mano, diede un colpetto a quella di Glauco e non fece alcuna mossa per ritrarla. Dopo qualche istante egli girò la propria mano così che il palmo di lei era posato nel suo e lui chiuse le dita sopra quelle di lei. - Sei sposato? - chiese lei con finta casualità.
Glauco scosse la testa.
- No.
- Non è insolito per un uomo del tuo ceto non essere sposato alla tua età?
- Non del tutto. Ho avuto troppi pensieri dall’età di quindici anni, anche solo per pensare di prendere moglie.
- Che cosa accadde quando avevi quindici anni?
- Fu allora che appresi per la prima volta qual era la mia vera famiglia… e che cosa era accaduto a mia madre e mio fratello. Ancora non so quale fu il destino di mio padre. - Le accarezzò le dita, morbide e arrendevoli nonostante il suo lavoro.
- E’ doloroso non sapere, - sussurrò lei.
- E’ probabilmente più doloroso che sapere la verità anche se la verità fosse orribile. - Egli le accarezzò di nuovo le dita. - Non sei preoccupata di essere qui sola con me?
- Dovrei esserlo?
Egli sapeva cosa lei
intendeva ma decise di interpretare diversamente.
- La gente chiacchiera. Non ti preoccupi di quello che dirà? Anche se tutto
quel che faremo sarà stare qui seduti a parlare e mangiare, la gente dirà frottole
che potrebbero rovinarti la reputazione. Le donne non dovrebbero star da sole
con…
- Glauco, io sono una vedova, non una vergine. Quando la verginità se ne va una donna non ha più valore come moglie anche se è giovane e… ragionevolmente graziosa.
- Bella. Tu sei bella.
Katerina cercò di respingere il suo complimento con una risata, ma un leggero rossore le salì al collo. Ritrasse la mano e si alzò per mescolare lo stufato.
- Non hai dei figli? - le chiese ancora Glauco e si pentì della domanda quando la vide irrigidirsi.
- Ho avuto una bambina che nacque morta. Avevo solo quindici anni.
- Mi dispiace, - sussurrò Glauco, sinceramente rammaricato per aver sollevato l’argomento.
- Va tutto bene. Non dovrebbe importarmi ancora… ma è così. Sono troppo sensibile… - Continuò a rimestare lo stufato anche se non era più necessario. - Non ci sono molti uomini in città come te. Per la maggior parte sono soldati o contadini o mercanti che viaggiano in continuazione.
Glauco rise.
- Odio disilluderti, ma io sono un contadino. Come lo era mio padre prima di me,
quando non stava comandando le legioni settentrionali dell’esercito di Marco
Aurelio. Mia madre era la moglie di un contadino.
Katerina tornò al
tavolo e si appoggiò col fianco contro di esso.
- Tu sei diverso, comunque.
Glauco si alzò e le
si avvicinò prendendole di nuovo la mano nella propria. Lei non si allontanò.
- In che cosa sono diverso? - le sussurrò nei capelli.
Lei si accostò alle
labbra di lui.
- Sei istruito… più raffinato in certo qual modo. Forse è a causa di dove sei
cresciuto. Deve essere alquanto diverso da qui. - Lei staccò la mano e gli avvolse
le braccia attorno alla schiena sotto il mantello che si era scordato di togliere. Le dita di lei
accarezzarono la lana fine e soffice della sua tunica, poi i caldi muscoli
saldi al di sotto. - Sei un uomo con una missione… un uomo che sa quel che
vuole e come ottenerlo.
- Vorrei che quell’ultima parte fosse vera, - sussurrò Glauco contro la bocca di lei prima di prenderle gentilmente il labbro superiore tra le proprie labbra, poi il labbro inferiore, prima che lei li socchiudesse per un bacio profondo.
Una delle sue mani sosteneva la nuca di lei mentre l’altra le premeva la vita contro il proprio corpo. Lei si sciolse contro di lui poi non si oppose quando la sollevò a sedere sul robusto tavolo di legno, sollevandole la gonna quanto bastava per separarle le gambe e sistemarsele a ciascun fianco. Il bacio divenne più profondo mentre lei avidamente gli attirava la lingua nella propria bocca e le mani di lui le afferravano le natiche, premendole contro di sé. Invece di ritrarsi dalle sue labbra, ella si dimenò contro di lui, così Glauco osservò il tavolo apparecchiato, cercando di decidere se fermare il loro amoreggiare abbastanza a lungo da spostare con attenzione i piatti di ceramica o limitarsi a toglierli di mezzo facendoli cadere sul pavimento e comprarle un nuovo servizio l’indomani. Aveva appena optato per la seconda ipotesi quando il fuoco sibilò e sfrigolò, facendo volare scintille mentre lo stufato traboccava schizzando sulle fiamme al di sotto. In un lampo, Katerina sollevò le gambe, si liberò dalla sua presa e salì sul tavolo, facendosi attentamente strada tra i piatti prima di saltar giù e fare un balzo verso la pentola in ebollizione. Afferrò una presina e sollevò la pesante pentola sul pavimento di pietra prima che andasse sprecato altro cibo.
Nel frattempo, Glauco
afferrò gli angoli del tavolo nello sforzo supremo di controllare la propria
passione. Sollevò gli occhi scoprendo che lei lo stava guardando con manifesto
desiderio.
- Hai occhi molto belli, - sussurrò lei, e in un istante fu sul tavolo e tra le
sue braccia in attesa.
Egli la sollevò
contro il proprio petto e mormorò:
- Dov’è la tua camera? - Seguì lo sguardo di lei e con un calcio aprì la porta
che sbatté contro il muro della camera per poi rimbalzare contro la spalla di
Glauco.
- Aspetta! - disse lei irrigidendosi tra le sue braccia e sforzandosi di ascoltare. - Che cos’è?
- Non ho sentito niente, - disse Glauco catturandole di nuovo la bocca. Per un momento ella rispose al bacio con eguale passione poi staccò la bocca così in fretta che la guancia di lui s’incavò per la suzione.
Ella cominciò a divincolarsi.
- Mettimi giù, Glauco. C’è qualcuno alla porta e sa che sono in casa.
Con riluttanza egli
la mise in piedi e disse:
- Liberatene. Ti aspetterò a letto.
Ella annuì e corse alla porta, fermandosi solo un attimo per ravviarsi i capelli. Quando aprì un grande cane nero scattò nella stanza, seguito da un vecchio i cui giorni scattanti erano trascorsi da lungo tempo.
- Giovino! - disse lei a voce alta, sperando che Glauco potesse udire dietro la porta chiusa della stanza da letto.
- Ho visto il bucato, mia cara, e mi sono reso conto che non ti ho pagata. Non mi piace essere in debito con qualcuno. - Giovino cercò di guardare oltre la donna, anche se i suoi occhi riuscivano a vedere pochissimo. - Ho visto un appunto di Glauco. E’ venuto a cena qui?
- Sì, sì, l’ha fatto. Glauco è venuto a cena qui, Giovino! - Katerina parlò a Giovino, ma aveva la testa rivolta verso la camera.
- Non c’è bisogno di gridare, ragazza mia. Non sono mica sordo. - Annusò l’aria. - Mmm… Che profumino delizioso.
- E’ stufato. Ho appena fatto lo stufato. - Attese che Giovino se ne andasse, ma egli se ne rimase lì con un sorriso di aspettativa sul volto. - Ti… ti piacerebbe unirti a noi, Giovino?
- Mi piacerebbe molto, mia cara. Grazie mille per l’invito. - La superò con sorprendente rapidità e si diresse verso la cucina dove quasi cozzò contro Glauco, che stava uscendo dalla stanza da letto sforzandosi di tener giù uno Zeus molto contento.
- Giovino… Io… stavo posando il mio mantello sul letto. - Be’, era vero. Non indossava più il mantello e aveva fatto in modo di rimettersi la tunica. - Che cosa ti porta qui?
- Sono stato invitato a cena, - disse Giovino allegramente protendendosi a raddrizzare la tunica del giovane sul collo. Talvolta Glauco era convinto che il vecchio poteva vedere molto più di quel che lasciava intendere. Mentre Giovino andava avanti per prender posto al tavolo, Katerina alzò le spalle impotente rivolta a Glauco.
Per tutta la cena Katerina parlò poco con Giovino, laddove Glauco contribuì alla conversazione soltanto quando gli veniva rivolta una domanda diretta. Era molto scontento di Giovino e ignorandolo voleva che il vecchio lo sapesse. Mentre la sera avanzava Glauco cercò di accennare più di una volta che era passata l’ora di andare a letto per l’anziano uomo, ma Giovino ignorò il suggerimento dicendo che aveva dormito tutto il giorno e si sentiva alquanto rinvigorito. E… che avrebbe gradito dell’altro vino, grazie.
Alla fine, Katerina
uscì per rinfrescarsi e Giovino frugò nel proprio mantello in cerca di un
pacchettino arrotolato che buttò sul tavolo
davanti a Glauco.
- Ecco, - sibilò. - Se insisti ad andare a letto con la ragazza almeno usa
questo. Tuo padre stava attento a non lasciare in giro bastardi e mi aspetto
che tu faccia lo stesso.
Glauco era ammutolito
e annaspò in cerca di una risposta.
- Non preoccuparti… Katerina probabilmente usa una spugna.
- Non correre rischi.
Glauco srotolò il pacchettino, il suo stupore trasformato in ilarità perché sapeva benissimo che cos’era. Proruppe in uno scroscio di risa quando scoprì la condizione pietosa della guaina di pelle di pesce.
- Di che ridi? - sibilò Giovino. - Usalo!
Glauco stava ancora
ridendo.
- Ho i miei, Giovino, e sono molto più recenti di questo qui. - Tenne controluce
l’oblunga guaina traslucida e finse di esaminarla. - Mi sembra di vederci
qualche buco. Quanti anni ha? Ha l’aria che possa averla usata mio padre.
- Tuo padre non ne aveva bisogno, - disse Giovino indignato.
- Oh, davvero? - sogghignò Glauco. - Preferiva vivere pericolosamente?
- No, tuo padre era completamente fedele a tua madre.
Ci volle un momento
perché l’implicazione di quella frase si facesse strada in Glauco.
- Vuoi dire… vuoi dire, che rimase anni senza una donna?
- Sì, - disse Giovino, alquanto piccato dallo scetticismo di Glauco.
- Cos… - Glauco era totalmente sbalordito, - cosa c’era che non andava in lui? - Il corpo e la mente mezzo eccitati del giovane ventenne non riuscivano a comprendere una cosa del genere.
- Non c’era nulla di sbagliato in lui. Era un uomo perfettamente normale in tutto…
- Giovino, - interruppe Glauco. - Quello non è normale. Probabilmente semplicemente tu non sai che cosa faceva. Molto probabilmente aveva una splendida donna nascosta in ogni accampamento lungo il Danubio. Nessuna meraviglia che viaggiasse tanto, - Glauco rise fragorosamente.
La faccia di Giovino
era di pietra come la sua voce.
- Insulti sia tuo padre che tua madre. Molte donne volevano tuo padre… non ne hai
nemmeno idea. Donne importanti e regali, non piccole lavandaie.
Tuo padre era un uomo onesto e fedele. Quando sposò tua madre giurò di esserle
fedele e lo fu. Era alquanto diverso quando aveva la tua età ed era celibe.
Spero che quando un giorno troverai una donna che vuoi sposare sarai
altrettanto devoto a lei quanto lo fu tuo padre a tua madre.
Glauco sedette con i
gomiti sul tavolo e le dita intrecciate sotto il naso, completamente avvilito.
- Mi dispiace, Giovino, - disse da dietro le mani. - Sono felice che
fosse fedele a mia madre. E’ solo uno dei molti aspetti per cui io non sarò mai
alla sua altezza. - Glauco guardò il tavolo. - Lui era perfetto.
- Tu sarai in grado di fare lo stesso quando troverai la donna giusta.
- Per anni? Non lo credo. - Sospirò e abbassò le mani per prendere un cucchiaio e farlo girare e rigirare, studiandone il riflesso distorto. - Giovino, chi era la donna che hai menzionato… la donna importante e regale… chi voleva mio padre?
- Lei amava tuo padre.
- Lei? Lei chi?
- Te lo dirò domani. - Giovino si alzò. - Al presente, sono molto stanco e voglio andare a casa.
- Ti accompagno a casa, - si offrì Glauco.
- Non c’è bisogno, puoi restare qui.
Glauco si alzò e
prese il braccio dell’uomo anziano.
- Oh, io intendo tornare, Giovino. E’ solo che non mi piace il pensiero di te
che inciampi su una pietra e giaci sulla strada tutta notte con un’anca rotta. - Fece l’occhiolino a Katerina
superando la porta della sua camera che lei aveva socchiuso, e si chiese quanto
avesse udito la “piccola lavandaia”. Si fermò un attimo per accarezzarle la guancia
liscia e lei gli baciò le dita ad indicare che era il benvenuto nonostante
quello che ella avesse potuto udito per caso.