La Storia di Glauco: Capitolo 7

 

Capitolo 7 - Germania

Vindobona

Glauco aprì la porta di legno massiccio della taverna di Vindobona e le sue narici immediatamente si contrassero per i deliziosi profumi intensi di spezie e cipolla. Il suo stomaco brontolò in risposta ed egli non perse tempo nello sgomitare per farsi strada fino ad un tavolo libero, attraverso l’affollata ressa di clienti che consumavano il loro pasto di mezzogiorno. Faceva caldo fuori e molto caldo dentro la taverna dal soffitto basso, dacché dalle finestre aperte non passava aria. Il suo abbigliamento attrasse alcuni sguardi curiosi e cenni di partecipazione. Ci era abituato.  Era inusuale vedere un uomo vestito d’una tunica nera. Anche per il lutto normalmente la toga, non la tunica, era nera, perciò lui era sicuramente una rarità. A causa della calura, comunque, il suo mantello era gettato dietro le spalle e le braccia e le gambe erano nude. Indossava sandali di cuoio dai lacci intrecciati su per i polpacci muscolosi.

La sua figura non passò inosservata alla cameriera che abbandonò i suoi brontolanti clienti nel bel mezzo di un’ordinazione per accogliere il nuovo entrato.
- Salute, signore. Non ti ho mai visto qui prima e sono certa che mi ricorderei di te. - Fece un sorriso tutto denti, ma i suoi denti erano storti e marroni.

- Sono appena arrivato in città, - rispose Glauco, non desiderando avviare una conversazione con la ragazza.

- In tal caso starai cercando un posto dove alloggiare, signore. C’è una locanda dall’altra parte del mercato e a volte ha delle camere disponibili se vi arrivi abbastanza presto.

- E’ pulita? - chiese Glauco adocchiando il grembiule sporco della ragazza, incerto se fidarsi del giudizio di lei sull’adeguatezza della locanda.

- Oh, sicuro. E’ pulitissima e fornisce molti servizi per uomini come te, - strizzò l’occhio ostentatamente, - se capisci cosa intendo.

Glauco la ignorò.
- Che c’è di buono oggi?

- Ecco, il polpettone di carne è ottimo, gradevolmente speziato e con pinoli e grani di pepe. Viene servito con un rotolo appena sfornato…

- Va bene quello.

Fece un broncio per nulla grazioso e gettò indietro le trecce bionde.
- Non vuoi sapere che cos’altro abbiamo?

- No, il polpettone andrà bene. E vorrei del vino, per favore. Tenuto in fresco, se possibile.

Ella lo studiò con occhio esperto, misurando le sue braccia e la sua gamba sinistra che era visibile dietro il tavolo.
- Mi piace un uomo che sa quel che vuole.

Glauco ritirò la gamba.
- L’accampamento dell’esercito è lontano da qui?

- Chi cerchi, tesoro? - Ella fece un passo indietro e lo studiò di nuovo. - Non sei un soldato, vero? Non hai l’aspetto del soldato.

- Non ce l’ho?

- No.

- Perché no?

- Ecco… non sei vestito come un soldato e i tuoi capelli sono davvero troppo belli e hai degli occhi verdi così carini…

- I soldati non possono avere gli occhi verdi? - Si stava spazientendo con lei.

Ella respinse i suoi modi scortesi come un prodotto del suo lutto e si chinò vicino a lui, assalendogli le narici con la sua traspirazione.
- Mi dispiace per la tua perdita, - disse con voce seria.

Glauco involontariamente si allontanò da lei.
- Grazie. Ora, vorresti inoltrare la mia ordinazione? Per favore?

Lei lo onorò di un ultimo sorriso andandosene dimenando i fianchi e tutte le altre parti del corpo in modo esagerato. Clienti affamati immediatamente la chiamarono con cenni ma lei li ignorò, dirigendosi in cucina per eseguire la sua ordinazione.

Glauco si era messo in un angolo e piegò all’indietro la sedia finché fu bilanciato solo sulle due gambe posteriori. Malgrado l’apparenza rilassata, i suoi occhi svelti esaminarono gli occupanti della stanza in cerca di potenziali informatori. La maggior parte degli uomini sembrava essere gente del luogo, mercanti e contadini, con l’uomo insolito che sembrava un soldato non in servizio. Un gruppo eclettico, alcuni uomini indossavano toghe romane e alcuni indossavano il costume locale di brache e camicia. Rise al suo stesso senso di disappunto. Che cosa si era aspettato? Che un uomo riconoscesse la sua somiglianza con il defunto generale romano, Massimo, e si sedesse al suo tavolo?

Un uomo in toga si sedette al suo tavolo.

Con un tonfo sul pavimento Glauco fece abbassare le gambe anteriori della sedia, mentre guardava il suo non invitato ospite. L’uomo tese la mano che Glauco accettò lentamente.
- Nuovo qui? - Chiese l’uomo, la voce leggermente impastata a causa del suo pranzo essenzialmente liquido.

- Appena arrivato in città.

- Io sono Cario, il prefetto di Vindobona. Tu sei…?

- Mi chiamo Glauco.

- Glauco… uno strano nome.

Lui si strinse nelle spalle.
- E’ un nome come un altro.

- Sei ispanico?

- …Sì.

- L’ho capito dal tuo accento. Avevamo un generale da queste parti che era ispanico. Sai, non era molto solito venire in città.

Glauco si sentì attraversare da un’ondata di energia e si costrinse a rimanere calmo. Non aveva immaginato che un contatto sarebbe avvenuto così presto. Scelse le parole con cura.
- L’Ispania è un territorio vasto. Sono certo che avete molti ispanici qui.

- Non molti. Solo quelli nell’esercito. Ho sentito che il tempo è migliore in Ispania. Non c’è ragione di venire qui, suppongo. Che itinerario hai seguito?

- Attraverso le Alpi.

Cario grugnì.
- Una strada molto più breve, ma talvolta s’incontra del brutto tempo.

- Devo essere stato fortunato.

- E’ tuo quel cavallo fuori? Lo stallone nero?

- Ultor… sì. Perché?

- Non si vede spesso qualcuno su un cavallo come quello a parte gli ufficiali dell’esercito.

Il prefetto stava chiaramente indagando in cerca d’informazioni. Glauco si chiese se fosse sempre così impiccione.
- La mia famiglia alleva stalloni per l’esercito… e per la famiglia reale.

- Oh, ecco perché sei qui. Vendi cavalli.

Glauco si limitò a sorridere. Lasciamogli credere quel che vuole.

Cario gettò uno sguardo iniettato di sangue sulla tunica di ricercata lana nera del giovane e valutò la fibula d’oro.
- Devono pagare bene. Io sarei molto cauto con un gioiello come quello, se fossi in te.

- Lo sono, credimi. C’è un ladro in Gallia con tre dita amputate che lo desiderava.

Cario considerò quell’informazione.
- Sei in lutto? - chiese.

- Sì.

- Parente stretto?

- Sì. - Dov’era quella cameriera?

- Oh, mi dispiace. Mio padre è morto, mia madre pure. Una terribile perdita, - aggiunse, poi si sedette quando arrivò il vino.

Con un vassoio bilanciato sopra la testa, la ragazza manovrò il proprio corpo in modo che i seni dondolanti fossero vicini al viso di Glauco. Era così occupata a guardarlo che non notò che il calice pieno di vino che tirò giù dal vassoio traboccò e aggiunse un’altra macchia sul suo grembiule.
- Ho mandato un ragazzo alla locanda e ti terranno la loro camera migliore.

Riluttante, Glauco cercò una moneta nella sacca e gliela porse.

- Oh, grazie, signore, - squittì lei. - Non ce n’era bisogno! - Ma sveltamente depose la moneta sul davanti della veste dove senza dubbio sarebbe rimasta annidata tra i suoi seni voluminosi.

- Un altro calice per il prefetto qui, per favore. E spero che il cibo arriverà presto? - suggerì Glauco.

- Lo porto subito, signore.

Glauco spinse il proprio calice verso il prefetto che lo accettò senza obiettare. Il giovane lo guardò scolarne la metà poi chiese in tono casuale.
- Chi è il generale qui, adesso?

- Vesnio. E’ il braccio destro dell’imperatore così Settimio Severo viene qui spesso. Fu egli stesso generale qui prima di prendere le sue truppe e marciare su Roma. - Il prefetto ruttò. - Il generale non starà qui molto, comunque.

- No? Perché no?

- E’ ambizioso, quello, come sembrano tutti i comandanti d’esercito in questi giorni. Passa il suo tempo… e il tempo dell’esercito… combattendo con gli opponenti politici piuttosto che con gli stranieri.

- Allora non è un buon generale?

- Buono come un altro, immagino. I suoi uomini certamente lo sostengono. Dovrebbero. Non ho mai visto dei soldati con tanto denaro o tanto tempo a disposizione per spenderlo.

- La cosa dovrebbe renderti felice.

- Oh, è una cosa buona per Vindobona, non v’è dubbio. Non come era una volta, comunque, quando i soldati venivano pagati solo per quello che valevano ed erano leali al loro generale perché il generale meritava la loro lealtà. No, non è più come una volta.

- La legione si trova nell’accampamento adesso?

- No. I soldati sono spesso via da qualche parte a fare chissà cosa. Non so quando torneranno. Vanno e vengono come piace loro e non ci fanno sapere niente di niente.

- La fortezza è lontana dalla città?

- No, è molto vicina. Prendi verso nord sulla strada principale e ci arrivi. E’ proprio vicina al fiume.

Il vino e il cibo di Glauco arrivarono ed egli ignorò i seni che gli dondolavano in faccia mentre la ragazza gli metteva il piatto di fronte.
- Ci sono molti uomini con la legione che avrebbero potuto essere qui… forse, venti anni fa?

- No, pochissimi.

Le speranze di Glauco crollarono.

- C’è il vecchio Giovino, però. Andò in pensione, ma decise di tornare qui perché suo figlio è sepolto qui. Ha una casetta lungo la strada ed è facile da riconoscere. Era il capo ingegnere dell’esercito al tempo di Massimo, come gli piace ricordare alla gente. Ecco, quelli erano i giorni dei bravi soldati, mio giovane amico.

- Vorresti dell’altro vino, prefetto? - L’uomo più anziano scosse la testa, ma Glauco fece comunque cenno alla ragazza di fare un altro giro. Voleva far continuare a parlare l’uomo.

- Conoscevi il generale Massimo? - Glauco cercò di mantenere un tono casuale.

- Non personalmente. A quei tempi un generale non legava molto con i locali, ma era sempre qui per noi quando avevamo bisogno di lui. Ci fu un momento terribile quando le tribù attaccarono Vindobona e per prima cosa Massimo evacuò l’intera città, prima di pensare a se stesso o ai suoi uomini. Era un brav’uomo… o almeno noi pensavamo che lo fosse.

Glauco stava per assaggiare un morso del polpettone dall’odore delizioso, ma lentamente lo rimise sul piatto e fissò pacatamente Cario.
- Che cosa vuoi dire?

- Mhhh?

- Hai detto che pensavate che il generale Massimo fosse un brav’uomo. Perché avete cambiato opinione su di lui?

- Ecco… - l’alticcio prefetto raddrizzò la schiena, cercando di mettere insieme un po’ di dignità confacente alla sua carica. - Fu un terribile shock per tutti, ma venimmo a sapere che stava complottando per rovesciare l’imperatore e usurpare il titolo per sé. Fu giustiziato per questo, proprio dopo che l’imperatore stesso morì. - Cario fece cenno al giovane di avvicinarsi, il che Glauco fece, e si prese un’alitata rancida in pieno viso. - Alcuni pensano perfino che l’imperatore sia morto prima e che fu Massimo ad uccidere il vecchio.

Glauco saltò in piedi, i pugni chiusi, le unghie affondate nei palmi delle mani.
- E’ pazzesco, - ruggì. - Non avrebbe avuto nulla da guadagnare facendolo. Commodo ereditò il trono, non lui.

Cario sollevò entrambe le mani cercando di placare lo straniero.
- Ti sto solo dicendo quel che ho sentito, ecco tutto.

Glauco aveva perso completamente l’appetito adesso, e spinse via il piatto.

Cario scosse la testa tristemente.
- Credo che tutti gli uomini in quella posizione abbiano simili ambizioni. Pensavamo soltanto che il generale Massimo fosse diverso, ecco tutto. Invece, si rivelò essere proprio come il resto di loro.

Glauco si strofinò il mento, un’abitudine che aveva quando era teso, stanco o pensieroso. Non riusciva a sopportare di udire quelle cose.
- Dove posso trovare quest’uomo, Giovino?

- Discendi la strada per la fortezza. Vedrai la casa sulla sinistra. Non puoi sbagliarti.

Glauco si alzò senza offrire la mano all’uomo.
- Grazie. Apprezzo la tua disponibilità, - disse piuttosto freddamente.

- Buona fortuna nella vendita dei tuoi cavalli, giovanotto. Ultor? E’ così che hai detto che si chiama il tuo cavallo? - Cario rise. - Perché lo hai chiamato così? Stai cercando vendetta?

- Neanche te lo immagini, - borbottò Glauco con amarezza mentre si gettava lo zaino sulla spalla e si faceva strada a gomitate  fuori della taverna affollata.