La Storia di Glauco: Capitolo 3

 

 

Capitolo 3 - La rivelazione

Glauco osservò incuriosito da suo padre a suo nonno mentre lo accompagnavano nella grande cameraa da letto di Marco. Aveva fatto qualcosa di sbagliato?

- Siediti, ragazzo mio, oh, credo che non dovrei più chiamarti così, vero? - rise Marco.

- Va benissimo per me, nonno. Sarò sempre il tuo ragazzo, non importa quanto crescerò.

Marco porse a Glauco un calice di vino.
- Pensavo che noi tre uomini potremmo celebrare in privato e parlare da uomini.

Glauco bevve un sorso e arricciò il naso prima di sforzarsi di rilassare il viso. Il vino non era stato annacquato nella misura alla quale era abituato. Tossicchiò, poi sorrise a suo padre che lo guardava pensieroso.

- Glauco, il nonno ed io abbiamo un argomento importante da discutere con te. E’ molto difficile per noi, ma ne abbiamo discusso a lungo e riteniamo, ora che sei un uomo, che tu abbia il diritto di conoscere alcune cose sulla tua vita che al momento ti sono ignote.

Le farfalle cominciarono a turbinare nella pancia del giovane ed egli si dimenò un poco nella sedia. Di che cosa stavano parlando? I suoi occhi si spostarono dall’uno all’altro uomo. Qualunque cosa fosse, era una cosa seria.

Tito continuò.
- Lascia che cominci con l’assicurarti che quello che abbiamo da dirti non altera nemmeno un po’ il tuo status all’interno di questa famiglia, né quello che proviamo per te. Questo lo devi capire.

Glauco strinse il calice di vino e inghiottì a fatica. Le farfalle sbattevano contro le pareti del suo stomaco come uccelli selvaggi prigionieri in una gabbia.

Tito si allungò per prendere la mano del figlio e gliela strinse in modo rassicurante.
- Le circostanze della tua nascita non sono esattamente quelle che credi che siano. - Tito trasse un profondo respiro. - Io sono tuo padre solo di nome, non il padre che ti ha generato, e Augusta è tua madre soltanto di nome.

Occhi verdi sbarrati fissarono Tito in risposta, poi cercarono il viso dell’uomo più anziano.

- Sii certo, Glauco, che io sono il tuo vero nonno, - sorrise Marco con gentilezza.

I due uomini più anziani aspettarono pazientemente, per qualche istante, fino a che lo sbalordimento sul viso di Glauco fu sostituito da tormentata perplessità.
- Ma…

- Lasciaci spiegare, - continuò Tito. - E’ una storia semplice, ma è difficile parlarne. Vedi, tu sei il figlio di mia sorella, Olivia, che è morta quando avevi soltanto due anni. Il nome di tuo padre era Massimo… Massimo Decimo Meridio… e anche lui è morto. Quando la tua famiglia morì, tu venisti a vivere con noi, e mia moglie ed io ti abbiamo cresciuto come un nostro stesso figlio.

- Non sei mio padre? - chiese Glauco, sconcertato, cercando ancora di assimilare quella terribile notizia.

- Non sono l’uomo che ti ha dato la vita, ma ti amo come un figlio. Tu per me sei mio figlio come Tacito e Claudio.

- Sei mio zio. - Glauco digerì l’informazione, il suo intero corpo tremava. - Mia madre è mia zia. Mi avete adottato?

- Sono tuo zio, ma no, non ti ho adottato, per un ottimo motivo che tra poco ti dirò.

I due uomini osservavano le emozioni contrastanti che attraversavano il volto del ragazzo.
- Tacito e Claudio non sono miei fratelli.

- Sono tuoi cugini, ma ti amano come un fratello. Questo lo devi capire.

- Loro sanno di questo?

- Sì. Sono abbastanza più grandi di te da ricordarsi tua madre e tuo padre, anche se a mala pena.

- Lo hanno mantenuto segreto, - rifletté Glauco, il tono leggermente accusatorio, le mani serrate nel tentativo di controllare il loro tremito.

Marco decise che era giunto per lui il momento d’intervenire.
- Fu una mia decisione, Glauco. Volevamo che crescessi felice e sano senza struggerti per una famiglia che non avresti mai avuto. Ordinai ai tuoi fratelli di non dirti nulla. Fu mia la decisione. Sanno che ti stiamo raccontando la verità, adesso, e sono entrambi piuttosto preoccupati per te. Sono anche molto preoccupati di perdere il loro fratellino. Ti amano moltissimo.

Glauco si rosicchiò il pollice e batté rapidamente le palpebre, in preda ad emozioni completamente in subbuglio.
- Come avete detto che si chiamava mio padre?

- Massimo Decimo Meridio.

- Allora... allora il mio nome vero è Decimo, non Valerio.

- Sì.

- Petavio Decimo Glauco?

- Il tuo nome in realtà è Massimo... Massimo Decimo Glauco. Sei stato chiamato come tuo padre. Glauco è per i tuoi occhi verdi, ovviamente. Tuo padre si chiamava Meridio, per il luogo in cui era nato.

- Bevi un altro sorso di vino, Glauco, - suggerì Marco dolcemente.

- Non posso. Mi sento come se stessi per vomitare. - Glauco incrociò le braccia sul proprio stomaco scombussolato, la mente in un turbinio di confusione, sconcerto e domande. - Che cosa… che cosa accadde loro?

- Ci fu un incidente. Un terribile incidente… - esordì Tito.

Marco lo interruppe con tono d’ammonimento.
- Tito, eravamo d’accordo di dire al ragazzo l’intera verità.

Tito si rivolse a suo padre.
- Lo so, ma non sono sicuro che lui sia pronto per essa. Guardalo. E’ molto scosso.

Glauco afferrò la toga del padre.
- Vi prego, dovete dirmela. Devo sapere.

Tito cercò ancora di interporsi.
- Glauco, hai davvero sentito abbastanza per oggi. Perché non ci pensi sopra e ne riparliamo domani?

- Papà… - cominciò a dire, poi si fermò bruscamente, fissando Tito, non sapendo, ora, come rivolgersi a lui.

Tito si protese e lisciò i riccioli ribelli del ragazzo, la voce gentile come la sua mano.
- Sarei molto onorato se ti rivolgessi a me ancora in questo modo. So che mia moglie si sentirebbe devastata se non la chiamassi  ‘Mamma’. Tu sei il suo piccolino, lo sai.

Glauco annuì in silenzio.
- Vi prego, ditemi che cosa accadde loro, papà... nonno. Immaginerò tutte le cose più terribili se non lo farete.

Marco tirò la sua sedia vicino al ragazzo, sapendo che nulla sarebbe stato più terribile di questa verità.
- D’accordo, ti dirò quello che so. Purtroppo, ci sono alcune cose che non capiamo. - Bevve un bel sorso di vino poi trasse un egual gran respiro e iniziò il suo racconto. - Io ho avuto quattro figli ed una figlia. Mia figlia, tua madre, si chiamava Olivia. Quando Olivia era una giovane donna, conobbe e s’innamorò del soldato che possedeva la proprietà confinante con la nostra.

Glauco sembrava perplesso.

- La casa bruciata che si trova qualche collina più in là, - spiegò Marco.

Glauco si raddrizzò lentamente mentre la comprensione si faceva strada nella sua mente.
- Quella dove vado io? I miei genitori vivevano là?

Marco annuì.
- Era una fattoria meravigliosa e ricca, con campi pieni di raccolti, e molti animali.

Ma Glauco lo ascoltava a mala pena. Il luogo che lo attraeva con una sorta di forza invisibile era stato la casa dei suoi genitori.
- Mo… morirono nell’incendio che distrusse la casa?

- Lasciami continuare. Il nome del giovane soldato era Massimo e faceva parte di una legione di stanza in Germania. Era un uomo molto valido ed aveva raggiunto il grado di legato, che precede quello di generale... il che è notevole per un uomo delle province. Era tornato a casa dopo essere stato assente fin da quando era ragazzo. Vedi, Glauco, quella casa era bruciata un’altra volta, prima… quando Massimo era un ragazzo… ed egli aveva perso i suoi genitori ed un fratello.

Glauco immediatamente capì il nesso.
- Come me.

- Sì, come te. Egli tornò per cercare di stabilire un collegamento con il suo passato e tua madre lo vide. Era un giovane attraente… tu gli somigli moltissimo… e fu lei a cominciare a corteggiare lui portandogli del cibo. Noi non ne eravamo al corrente. Alla fine lei lo invitò a cena e noi lo conoscemmo. Indossava l’uniforme e aveva un aspetto semplicemente splendido. Bene, anche lui s’innamorò di tua madre, e poco tempo dopo si sposarono. Costruirono una casetta sulle fondamenta di quella bruciata e col passare del tempo la ingrandirono gradualmente, finché divenne proprio una prospera fattoria ben avviata. Ma, poco dopo il loro matrimonio, quando tua madre stava aspettando tuo fratello Marco…

- Mio fratello? - Glauco si alzò sbalordito. - Ho un fratello, un fratello vero?

- No, - soggiunse Marco in fretta, vergognandosi di come se lo fosse lasciato sfuggire. - Siediti, ragazzo, siediti, - lo calmò.

Glauco riluttante si sedette, il cuore martellante ma lo spirito spento. Aveva avuto un fratello, ma anche lui era chiaramente morto nell’incendio.
- Marco, - bisbigliò.

- Come stavo dicendo… il pretoriano dell’imperatore giunse a cavallo con la notizia che Massimo era stato promosso generale e che doveva partire subito per la Germania.

- Mio padre era un generale? - Glauco chiese in cerca di delucidazione. Il titolo in realtà significava ben poco per lui.

Marco e Tito annuirono entrambi.

- Che cosa accadde a mio fratello? - domandò il ragazzo.

 - Morì nell’incendio, Glauco, - rispose Tito con la maggior delicatezza possibile. Capiva che Glauco riusciva a rapportarsi molto di più con la morte di un fratello… un ragazzo come lui… che con quella di genitori che non riusciva nemmeno a raffigurarsi.

Il ragazzo confermò la sua supposizione annuendo, quindi rivolse di nuovo i suoi pensieri al suo omonimo.
- Mio padre era un generale.

Marco glielo confermò di nuovo.
- Sì, era un generale. Marco Aurelio lo elevò a quel grande onore. Marco Aurelio e Lucio Vero condivisero le funzioni di imperatore per un breve periodo e quando Lucio Vero morì, Marco Aurelio aveva bisogno di un comandante valoroso nel nord e scelse tuo padre. Era un grandissimo onore e tuo padre non poté rifiutarlo.

- Prova solo a pensarci, Glauco, - aggiunse Tito. - Tuo padre era un grande generale. Un grande comandante. Era il prediletto di un imperatore.

Il giovane annuì lentamente, stentando ad afferrare tutto quello che stava udendo. Il suo vero nome era Massimo. Massimo Decimo. Massimo Decimo Glauco. Suo padre era stato un generale. Un generale che aveva una fattoria.

Marco continuò.
- Tuo padre vinse molte battaglie importanti e salvò persino l’impero dalle mani di un usurpatore di nome Cassio. Fu tenuto così occupato da Marco Aurelio che ebbe raramente l’occasione di tornare a casa. Devi capire, Glauco, che tuo padre era un vero uomo di famiglia. Non desiderava altro che fare il contadino e starsene a casa con la sua famiglia, ma i suoi talenti e le sue capacità erano così grandi che gli fu negata quest’opportunità. Ogni volta che ti vedo sul tuo stallone, penso a lui. Gli regalammo due stalloni, Scarto e Argento, della stessa linea di sangue del tuo Apollo.

Glauco trovò più facile al momento concentrarsi su un argomento futile.
- Cavalcava bene?

- Cavalcava in modo eccellente ed era ancor più bravo con la spada. Non aveva eguali, - disse Marco sorridendo.

- Con la spada? Io non sono molto bravo con la spada. Sono più bravo con l’arco.

- Tuo padre entrò molto giovane nell’esercito e cominciò ad usare la spada in età precoce. Fece molta pratica e…

- Come avvenne l’incendio? - lo interruppe Glauco, la sua mente rifutando di accettare il fatto terribile che la sua famiglia fosse perita in modo tanto orrendo.

Marco sospirò.
- Ecco, questo ci porta alla parte più difficile della storia. E’ difficile perché è molto dolorosa e perché non siamo del tutto certi di quel che accadde. Un giorno, quando avevi due anni, tua madre ti portò qui per farti restare con noi. Lo faceva spesso, quando tuo fratello non stava bene. Poco tempo dopo, Tito, tuo zio Eusebio ed io partimmo per un viaggio nell’Ispania del sud ed in Italia per comprare dei cavalli. Il viaggio era stato organizzato precedentemente e a quel tempo non vedemmo alcuna ragione per rimandarlo. Le donne ed i bambini erano al sicuro, qui, ragionammo. C’erano parecchi schiavi nei dintorni e molta gente ad occuparsi di voi.

Glauco osservò suo nonno con occhi attenti. Era evidente che raccontare questa storia era molto penoso per l’anziano uomo.

- Mentre eravamo assenti, accadde qualcosa di terribile. La fattoria dei tuoi genitori fu attaccata e tua madre e tuo fratello furono uccisi.

- Uccisi? - Glauco spalancò la bocca. - Vuoi dire che furono assassinati? Non morirono in un incendio? Hai appena detto di sì. - L’accusa di Glauco era alimentata dall’ira.

Tito intervenne ancora.
- Glauco, la storia è molto complicata ed entrambe le cose sono vere. L’incendio fu appiccato dagli assalitori, crediamo, e tua madre e tuo fratello furono… raggiunti da esso.

- Allora, perché mio padre non li salvò? - Glauco si era rimesso in piedi.

- Era in Germania.

- Non morì con loro?

- No, morì più tardi, - rispose Marco, consapevole che la storia non stava avendo alcun senso per il ragazzo.

Glauco scosse la testa confuso e si lasciò cadere di nuovo nella sedia. Si passò una mano sugli occhi.
- Io non capisco.

Tito accarezzò di nuovo i riccioli setosi, un atto che aveva sempre confortato il ragazzo quando era molto piccolo.
- Anche noi non capiamo completamente, Glauco. Quando tornammo dal nostro viaggio era passata circa una settimana. Trovammo la casa bruciata, i raccolti bruciati ed i corpi dei servi sparsi dappertutto. Trovammo anche due tombe recenti con sopra dei fiori appassiti. Inutile dire, non eravamo certi di sapere chi vi fosse sepolto… così le dissotterrammo. Erano tua madre e tuo fratello.

Glauco rabbrividì mentre una visione di resti carbonizzati riempiva la sua mente.
- Furono gli schiavi a seppellirli?

- No. Dissero di no. Quando compresero quel che era accaduto e raggiunsero la fattoria, erano già stati seppelliti.

- Chi lo fece, allora?

- Non siamo sicuri, ma pensiamo che sia stato tuo padre.

Glauco sospirò per l’esasperazione e la confusione, sopraffatto dalla morte spaventosa di una madre e di un fratello che non aveva mai conosciuti.
- Credevo avessi detto che era in Germania.

- Pensavamo che lo fosse, ma chi altri avrebbe perso tempo a seppellire tua madre e tuo fratello e a posare dei fiori sulla tomba tanto amorevolmente? Chiedemmo a tutti nel raggio di miglia e nessun altro lo aveva fatto. Qualcuno di passaggio non si sarebbe preoccupato di farlo con tale cura.  Certamente non coloro che avevano appiccato il fuoco.

Glauco cercò di risolvere il mistero nella propria mente.
- Tornò dalla Germania per trovarli morti?

- Crediamo di sì.

- Allora che cosa accadde a mio padre? Dove andò?

- Qui il mistero s’infittisce. Scomparve nel nulla.

- Vuoi dire che fuggì? - chiese il ragazzo, stupito.

- No, no, Glauco, - disse Marco con durezza. - Tuo padre non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Qualcosa di terribile dev’essergli accaduta... soltanto che non sappiamo cosa.

Il silenzio riempì la stanza mentre Tito e Marco insieme osservavano il ragazzo affranto, la cui vita era stata completamente cambiata nel giro di poche ore.

- Potrebbe essere ancora vivo, - disse, la voce strozzata dall’emozione.

- No, non è vivo.

- Come lo sai? Potrebbe esserlo! Mio padre potrebbe essere ancora vivo. Non lo avete visto morire. Non avete visto il suo corpo. Lo avete appena detto!

Marco cercò di calmare il suo agitato nipote. Capiva il bisogno del ragazzo di aggrapparsi alla speranza, ma non poteva lasciarglielo fare quando non ve n’era.
- Se fosse vivo, Glauco, sarebbe ritornato alla sua casa, e non l’ha mai fatto. Non restare aggrappato alla speranza che sia vivo. Ti prego. Credo che abbiamo parlato abbastanza per oggi, Glauco. Perché non…

- No! - Glauco si sforzò di controllare il suo tono. - Io... non potete smettere adesso. Dovete dirmi tutto. Io devo sapere.

- Figliolo, - disse Tito. - Una settimana dopo partii per la Germania per cercare tuo padre, nel caso fosse venuto a casa, avesse trovato la sua famiglia morta e fosse ritornato alle sue legioni. Sarebbe stata una cosa molto strana da fare ma avrebbe potuto, per lo sconvolgimento. - Tito lanciò un’occhiata a Marco per farsi forza. - Laggiù trovai un nuovo generale e costui mi disse che tuo padre era stato messo a morte per tradimento.

- Che cosa? - Glauco scattò in piedi tanto velocemente da urtare il vino e il liquido rosso si sparse per tutto il tavolo e gocciolò sul tappeto al di sotto. - Avete detto che era un grand’uomo! Avete detto… - S’interruppe bruscamente, sopraffatto da un senso di tradimento. Suo padre aveva tradito il suo imperatore ed in tal modo aveva tradito anche il suo figliolo sopravvissuto. - Perché Marco Aurelio avrebbe messo a morte un così grande generale per tradimento?

- Marco Aurelio era morto, Glauco, ed il nuovo imperatore era suo figlio, Commodo. Marco Aurelio morì in Germania… alcuni dicono in circostanze sospette. I soldati erano riluttanti a parlare con me per ovvi motivi, ma alcuni mi cercarono per parlarmi in privato e dissero che tuo padre pensava che Commodo avesse assassinato Marco Aurelio, per questo Massimo si era rifiutato di sostenere il nuovo imperatore. Fu Commodo, non Marco Aurelio, ad ordinare che tuo padre fosse messo a morte. Apparentemente, fu proprio il legato di tuo padre, Quinto, a dare l’ordine della sua esecuzione. Fu tuo padre ad essere tradito, Glauco.

La voce di Marco stillava veleno.
- Commodo era uno degli uomini più incompetenti e più irresponsabili che abbia mai governato l’impero. Ha meritato la sua fine per mano di un gladiatore a Roma. Tuo padre non avrebbe mai acconsentito a sostenere un tal uomo. Ma vedi, Glauco, tuo padre era un uomo incredibilmente potente. Aveva la lealtà dell’intero esercito romano e avrebbe potuto radunarlo contro Comodo… forse persino avocare a sé il titolo di ‘imperatore’. Perciò, Commodo doveva disfarsi di lui in fretta se sperava di assicurarsi il trono.

- Il guaio è, - disse Tito, - nessuno dei soldati riuscì a trovare il corpo di Massimo e lo cercarono per settimane. Volevano dargli un funerale adeguato, capisci. Alla fine presunsero che il suo corpo doveva essere stato portato via da animali selvatici. Avresti dovuto vedere i soldati che incontrai, Glauco. Uomini duri, grandi e grossi che crollavano e singhiozzavano quando parlavano di tuo padre. Lo amavano molto.

Glauco respinse le lacrime e tirò su dal naso.

Tito lisciò all’indietro il ciuffo arricciato di capelli che ricadeva sulla fronte del ragazzo.
- Massimo non sarà mai morto finché tu sei vivo. Tu sei l’immagine di tuo padre. Conobbi Massimo quando era appena un po’ più giovane di te e mi ricordo dell’aspetto che aveva. I suoi capelli erano un po’ più scuri ed i suoi occhi più azzurri che verdi ma, a parte questo, tu sei tuo padre. - Tito si appoggiò all’indietro nella sedia. - Cercai di raccogliere i suoi effetti personali, ma erano tutti scomparsi. O nessuno sapeva che cosa ne fosse accaduto o non me lo vollero dire. Mi sarebbe piaciuto poterti dare qualcosa di suo… la sua spada forse… ma non c’era niente. Era come se non fosse mai esistito.

Glauco era silenzioso poiché stava lottando per soffocare le lacrime. Quando infine parlò, la sua voce era poco più d’un bisbiglio.
- Se fu giustiziato in Germania non avrebbe potuto seppellire mia madre e mio fratello qui.

- Ci sono tanti misteri che circondano la scomparsa di tuo padre, - continuò Tito. - La mancanza del suo corpo, per dirne uno. Il fatto che i soldati in realtà trovarono tre guardie pretoriane morte nella foresta. I loro cavalli erano spariti. I pretoriani erano stati uccisi con le loro stesse spade.

Glauco alzò lo sguardo colmo di speranza.
- Pensi che mio padre li uccise e poi fuggì?

Tito sorrise e scrollò le spalle.
- Non mi stupirei di nulla riguardo tuo padre. Era un uomo coraggioso ed intelligente. - Tito osservò Glauco pensare per qualche istante, sapendo che presto avrebbe dovuto affrontare la domanda che stava temendo. Non dovette attendere a lungo.

Quando Glauco infine parlò di nuovo, le sue parole furono molto misurate.
- Se mio padre fuggì e tornò a casa soltanto per trovare mia madre e mio fratello morti, perché non venne a prendermi?

Tito e Marco si scambiarono un’occhiata e Tito chiuse gli occhi, come se quell’atto potesse cancellare la domanda.

Marco si alzò e versò un altro calice di vino per suo nipote.
- Bevine un po’, Glauco, ne avrai bisogno.

Glauco lo ignorò e fece dei respiri profondi per calmare il suo stomaco ribollente, la tensione nei due uomini più anziani facendogli temere ciò che stava per venire.

Tito disse con gentilezza:
- Non so come dirtelo, non è facile, Glauco... perciò mi limiterò a dirlo e basta. Massimo non sapeva nulla di te.

Il giovane era stato molto coraggioso fino a quel momento, ma ora appoggiò i gomiti sul tavolo e affondò le nocche negli occhi. Quando infine parlò, la sua voce era soffocata dalle lacrime.
- Com’è possibile?

Tito gli spiegò di Massimo che non era presente alla sua nascita, e delle preoccupazioni quasi irrazionali di sua madre sul perdere lui. Tito sapeva che ciò non avrebbe alleviato il dolore del ragazzo e infatti non accadde.

Da dietro la parete delle sue mani Glauco chiese:
- Non mi ha nemmeno mai visto?

- No.

- Non sapeva il mio nome?

- No.

- Io non esistevo, per quanto lo riguardava.

- Glauco, non ho mai visto un uomo che amasse la sua famiglia più di Massimo, anche se raramente poteva stare con loro. Se ti avesse conosciuto, avrebbe amato anche te, ed ora sa di te. Ti sta vegliando dall’alto, credimi.

Marco guardò Tito facendo segno che lui avrebbe aggiunto il resto.
- Glauco, la ragione per cui tu sei vivo è perché Massimo non sapeva di te.

Le lacrime infine si riversarono e scivolarono lungo le guance del giovane.
- Che cosa vuoi dire?

Marco stesso si strofinò gli occhi prima di proseguire.
- Quando disseppellimmo tua madre e tuo fratello scoprimmo qualcosa che ci sconvolse ancor più delle loro morti. Non furono assassinati casualmente. C’erano fori di chiodo nelle loro mani. Trovammo due croci fracassate. Erano stati crocifissi… un’esecuzione di stato. - Marco si sfregò il collo, il suo viso all’improvviso sembrava molto vecchio. - Le loro morti dovevano avere qualcosa a che fare con l’esecuzione ... o tentata esecuzione… di tuo padre. Quando un uomo viene ucciso per motivi politici, la sua famiglia al completo viene condannata a morte con lui, così che non possano crescere dei figli a chiedere giustizia. Se i pretoriani avessero saputo di te, avrebbero cercato fino a che non ti avessero trovato e avrebbero ucciso anche te, a dispetto del fatto che fossi soltanto un bimbetto. Fu la cosa migliore, che Massimo non sapesse, capisci. In tal modo… ha lasciato un figlio a tramandare il suo nome. E’ un grande onore essere il figlio del generale Massimo Decimo Meridio. Un grande onore.

Tito continuò.
- Ma noi vivevamo con la paura che qualcuno scoprisse di te e ritornasse per completare l’opera… persino anni dopo… per questo ti crebbi come figlio mio e ti chiamammo con un nome diverso per celare la tua identità. Anche ora, è più sicuro non usare mai il tuo vero nome in pubblico. Specialmente dal momento che non sappiamo quel che infine accadde a tuo padre.

- Ma avete detto che assomiglio a lui. La gente saprà.

- Sì, è vero… ma come ho detto, ci sono delle differenze. I tuoi occhi sono verdi mentre i suoi erano più azzurri. I tuoi capelli sono castano scuri come quelli di mia madre… i suoi erano neri. Tu li porti molto più lunghi e piuttosto ondulati. Massimo li portava cortissimi, in stile militare. E lui aveva una barba curata e tu sei ancora senza. - Tito sorrise brevemente. - Non sei alto quanto Massimo, ma sono sicuro che lo diventerai. Non sei nemmeno muscoloso quanto lui, ma penso che potrai diventare anche quello. La voce di tuo padre era molto profonda, ma la tua promette di trasformarsi nella stessa. Così, mentre noi vediamo enormi somiglianze fra te e tuo padre, l’osservatore casuale non può.

Glauco si alzò e fissò la propria immagine riflessa nel calice lungo di suo nonno.
- C’è qualcos’altro che dovete dirmi?

Tito tracciava ghirigori nel vino rovesciato sul tavolo.
- Glauco, voglio che tu conosca il motivo per cui non ti ho adottato. Presi seriamente in considerazione la cosa, davvero. Ma tuo padre era della classe senatoriale perché era stato adottato da un senatore per essere nominato generale. Questo fa anche di te un appartenente a quella classe. Se ti avessi adottato, avresti perso quello status e tutti i privilegi che ne derivano. - Tito lanciò un’occhiata a Marco. - Non abbiamo pensato che fosse saggio. Ti prego, cerca di capire.

Glauco continuò a fissare il proprio viso.

Marco aggiunse.
- Glauco, tuo padre è morto ma noi non sappiamo dove o come è morto... o quando esattamente. Nel corso degli anni abbiamo cercato le risposte… e ci sono state delle voci… voci pazzesche... ma non abbiamo mai scoperto niente di sicuro. A volte ci vuole molto tempo, prima di venire a sapere qualcosa in questa parte dell’impero. A volte non ci riusciamo mai. Massimo semplicemente scomparve.

Glauco esaminò i propri lineamenti e cercò di immaginare il suo viso con gli occhi azzurri, una barba curata e corti capelli neri.
- Devo sapere che cosa gli accadde.

- Abbiamo provato, Glauco…

- Devo sapere. Potrebbe essere ancora vivo. Potrebbe essere in prigione. Non aveva alcun motivo di ritornare qui perché non sapeva di avere un figlio ancora vivo.

Tito e Marco quasi rabbrividirono alla determinazione nella sua voce. Sembrava così simile al padre. Per qualche istante guardarono il ragazzo osservare se stesso quasi in uno stato di ipnosi, poi uscirono dalla stanza per lasciarlo solo con i suoi pensieri.

- Io sono vivo, padre, - bisbigliò. - Tu hai un figlio vivo... e io scoprirò il tuo destino.